2022-04-19
Gli inglesi vogliono fare la festa a Johnson
Il premier all’angolo per il presunto party a Downing Street durante il mini lockdown: oggi dovrà provare a chiarire in parlamento. I conservatori al lavoro per un sostituto. Sondaggi in calo, per gli elettori è un «bugiardo». E a maggio ci sono le amministrative.La politica britannica sa essere meravigliosa e crudele: meravigliosa perché, qualunque cosa accada, è assolutamente inconcepibile che ci siano sospensioni della democrazia, surroghe tecnocratiche, indulgenze verso chicchessia per meriti acquisiti; crudele perché il vincitore del giorno prima può essere lo sconfitto del giorno dopo (si pensi a Winston Churchill, trionfatore della Seconda guerra mondiale, battuto nel 1945 dai laburisti di Clement Attlee).A suo modo, Boris Johnson può vivere un destino simile. La performance del suo governo rispetto al Covid è stata per distacco la migliore nei Paesi occidentali; il suo protagonismo geopolitico e militare nella vicenda ucraina è acclarato: eppure, in patria, ha di fronte settimane orribili per almeno tre ragioni. La prima: il suo governo non ha abbassato le tasse. La seconda: a maggio è prevista una pericolosissima tornata di elezioni locali, con sondaggi assai preoccupanti per i conservatori. La terza: la faccenda dei presunti party a Downing Street durante il pur breve lockdown imposto nella fase più dura del coronavirus è destinata a non dargli tregua.I fatti, intanto. Johnson ha già ricevuto una prima multa per il primo party: ha pagato, si è scusato, e in fondo se l’è cavata trattandosi, in quel primo episodio «incriminato», di un piccolo incontro in occasione del suo compleanno. Ma già si metterà peggio nel secondo caso, relativo al 13 novembre 2020, in cui Johnson (e ci sarebbero anche fotografie, non ancora pubblicate) avrebbe addirittura «istigato» i suoi collaboratori a trasformare una riunione in un vero e proprio party: secondo alcune testimonianze, l’assembramento già c’era in occasione dell’uscita dal team di Lee Cain, allora direttore della comunicazione di Downing Street, ma sarebbe stato proprio Johnson, una volta arrivato sul posto, a pronunciare un discorso e a versare da bere per se stesso e per gli altri, insomma a trasformare tutto in una festicciola. Ancora ieri, dopo le rivelazioni in tal senso del Sunday Times, Downing Street ha negato questa versione, cioè il ruolo centrale di Johnson nel party, ma il clima è ormai arroventato in vista della sessione parlamentare di oggi, quando il primo ministro dovrà dar conto a Westminster su tutta questa vicenda.Le contestazioni a suo carico sono tre: aver violato le regole, aver lasciato che anche i suoi collaboratori le violassero, e non aver detto il vero al Parlamento nei suoi precedenti interventi. Il primo punto è decisivo nella mentalità britannica: un lawmaker non può essere un lawbreaker, meno che mai di una legge da lui stesso introdotta. Il secondo aggrava pesantemente la posizione del primo ministro. Il terzo la rende quasi insostenibile, avendo Johnson continuato a sostenere di non essere stato consapevole di alcuna violazione.E qui siamo davanti a un bivio: da un lato, c’è il destino di Johnson davanti ai suoi colleghi parlamentari; dall’altro, quello davanti agli elettori. Sul primo fronte, appare assai improbabile che, nel pieno di una guerra, ben 54 deputati conservatori (tanti ne servirebbero) inneschino una procedura per cacciarlo. Anche perché al momento non c’è un leader più popolare di lui tra i Tories, e pure il Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, su cui alcuni puntavano, è tre volte nei guai (è stato multato anche lui; non ha abbassato le tasse; e sua moglie, figlia di un miliardario indiano, ha usufruito di un regime fiscale privilegiato, cosa legittima ma politicamente assai inopportuna). Per una eventuale sostituzione, suggeriremmo di annotare i nomi della ministra degli Esteri Liz Truss, oppure del ministro della Difesa Ben Wallace, oppure di Tom Tugendhat (veterano di guerra in Iraq e Afghanistan e presidente della commissione Esteri): tutte leadership saldamente atlantiste, ovviamente.Altro conto è il destino di Johnson davanti agli elettori. La scadenza elettorale locale di maggio è un ostacolo oggettivo e insidiosissimo, una vera trappola. E quello, a eventuale risultato negativo ottenuto, sarebbe il momento in cui il suo partito potrebbe vederlo non più come un asset (cioè una risorsa positiva) ma come una liability (cioè un peso) E non sono da meno i sondaggi di chi lo ritiene un «liar», un bugiardo, per le zoppicanti giustificazioni sui party. Sta qui il punto. I cittadini britannici non tollerano l’idea che i politici consentano a se stessi ciò che hanno vietato a loro: sia pure per un tempo infinitamente più breve rispetto alle restrizioni imposte in Italia, anche in Uk ci sono state famiglie costrette a non partecipare ai funerali di un congiunto, oppure nozze rinviate, oppure feste di compleanno annullate. Un taxpayer britannico che abbia subito queste limitazioni non è disposto né a perdonare né a dimenticare un leader politico che abbia fatto eccezione per se stesso. Il paradosso è dunque che Johnson, il meno chiusurista di tutti i leader occidentali, rischia di pagare care proprio quelle limitatissime chiusure che lui stesso fece di tutto per ridurre al minimo.Occhio, il problema delle violazioni riguarda anche altri: il leader laburista Keir Starmer, che oggi cannoneggia contro Johnson, è a sua volta accusato di aver rotto il lockdown (birra con il suo staff in ufficio), e anche la leader scozzese Nicola Sturgeon è nei guai per non aver indossato la mascherina al chiuso. Ma il bersaglio più grosso è ovviamente il primo ministro.