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2020-05-19
Infamie e delazioni per fare carriera. «È pieno di magistrati affini ai boss»
Dino Petralia (Ansa)
Il mercato delle toghe è spietato e non si ferma alla politica, agli accordi fra correnti, agli sgambetti e ai sotterfugi. A volte per la battaglia per arrivare a ricoprire una postazione chiave si usa l'artiglieria pesante. E si tirano fuori parenti di magistrati noti alle Procure, congiunti mafiosi o papà con grane finanziarie.
Una chat tra il pm romano Luca Palamara e la consigliera di Corte d'appello a Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo (attualmente capo dei gip sempre a Reggio Calabria), esponente di Unicost e anche componente della giunta esecutiva centrale dell'Anm, sembra fotografare l'inquietante spaccato. Lo scambio di messaggi tra i due comincia il 24 giugno 2017 e si protrae fino alla vigilia dello scandalo scoperto dalla Procura di Perugia. L'ultimo vocale, infatti, è del 29 maggio 2019. Nell'arco dei due anni fitti di contatti i due portano avanti il progetto della Cotroneo per la copertura del posto da presidente di sezione nel tribunale reggino che si era appena liberato. Cotroneo, però, sente che la presenza di alcuni colleghi dello stesso distretto potrebbe sbarrarle la strada. E con un messaggio avverte Palamara: «So che Cappuccio e Tassone stanno facendo di tutto per infangarmi». Non solo. Nella guerra di posizionamento, sulla scacchiera di Reggio Calabria c'è un pezzo da 90: Dino Petralia, in quel momento procuratore generale e ora a capo del Dap, dove ha sostituito il dimissionario Francesco Basentini. E Petralia è un altro ostacolo che sembra frapporsi tra la Cotroneo e la sua ambizione. A poco più di un mese dal Plenum, Cotroneo racconta a Palamara un episodio che in questa vicenda sembra avere un suo peso specifico: «Petralia mi ha convocata», scrive la giudice calabrese, «per avvertirmi che ha comunicato al Csm, perché doveva, la vicenda sull'altro mio cugino, il secondo di cui ti avevo parlato. Dicendomi che era incontestabile la mia condotta. Era la seconda vicenda di parentela che doveva comunicare». E ancora: «Comunque, sostanzialmente, si tratta di due cugini, come ti avevo detto da subito». Cotroneo precisa che i fatti sono vecchi, che non ha nulla a che fare con i parenti, e che convive da sempre con questo problema. E mentre Palamara si accinge a risponderle che è nel bel mezzo di una tormenta di neve e che per questo motivo l'avrebbe richiamata più tardi, lei continua a sfogarsi: «Quanto mai tempestivi Petralia e company». E in un altro Whatsapp: «Non più di un mese fa Cappuccio mi aveva detto, “ma tu hai due cugini". Questi l'hanno fatto apposta». La giudice è ormai incontenibile: «Petralia avrà approfittato dell'arresto del fratello della collega per tirare anche me su suggerimento dei locali come Cappuccio, Gerardis e company... le vicende dei miei parenti sono state sempre conosciute dalla Procura, da Pignatone in avanti e anche prima». Palamara nel frattempo è tornato online ed è già pronto a sostenere con tutte le sue forze la collega: «Avranno pane per i loro denti». Lei prende coraggio: «Se non ci fossi tu mi farebbero a pezzi, tanto gli sto su cazzo».
Lo stratega Palamara sembra avere ben chiara la situazione ed è lapidario: «La risposta è un'altra, ci temono. E molto. Ma non hanno fatto bene i conti». Cotroneo, quindi, piangendosi addosso, introduce il tema dei mafiosi: «Ci sono tanti magistrati che qui hanno parenti e affini mafiosi e solo me hanno tirato fuori». Anche se Palamara le dice che ha tutto chiaro, lei continua: «C'è sempre di mezzo Gerardis, in ogni cosa che mi riguardi. E Petralia e Gerardis sono amici intimi». Palamara affila le armi: «Con lui saprò togliermi i sassi dalle scarpe».
Di materiale Tommasina ne fornisce a iosa. Come quando riferisce a Palamara di una collega che ha «un padre pieno di reati fiscali». Poco dopo lui le chiede: «Sui reati fiscali del padre mi dai qualche elemento in più?». La battaglia al Plenum si avvicina. E Cotroneo comincia ad avere qualche problema di insonnia: «Stanotte ho passato l'inferno. Solo tu ce la puoi fare. Con la tua grandezza e il tuo acume». Palamara sa come renderla tranquilla: «Questa volta gli faccio male, te lo prometto». Lei gli ricorda «che Petralia è un vigliacco e se sente fiuto di Csm... mente». Cotroneo, invece, sente aria di complotto. Ritiene che Petralia e Gerardis si siano incontrati prima di inviare la nota sui suoi parenti. Tra le paure per un comunicato che la corrente di Area sembra muoverle contro e le presunte interferenze dei colleghi al Csm, il Plenum si avvicina. Palamara lavora sotto traccia e aggiorna la collega: «Tesoro, ho terrorizzato Ardituro (Antonio Ardituro, consigliere del Csm). Gli ho detto che sarò una belva e lui ha detto ricomponiamo tutto. Guai a chi ti tocca». Lei risponde con due smile che hanno i cuori al posto degli occhi.
L'11 gennaio tutto sembra essersi risolto. Alle 8 del mattino Palamara scrive: «Buongiorno tesoro, salutami Petralia». Cotroneo da quelle due parole ha capito tutto: «Sei pazzesco, sai tutto in tempo reale [...] ci vogliono le palle per certe situazioni». L'ufficialità arriva il 2 maggio: «Undici a nove». La linea dello stratega è passata. E con ben due voti di scarto.
Le toghe rosse accusano «La Verità»
Proprio nel giorno in cui gli atti dell'inchiesta di Perugia sono stati inviati dai pm umbri alla Procura generale della Cassazione e al ministero della Giustizia per le rispettive competenze in materia disciplinare, l'Anm si sveglia e, dopo gli scoop della Verità sulle chat imbarazzanti del pm Luca Palamara, ha diffuso un comunicato, firmato dalla giunta esecutiva centrale, con il quale ritiene di aver preso una posizione «netta e inflessibile».
«Negli ultimi giorni», si legge nella nota, «alcuni quotidiani hanno iniziato a pubblicare stralci di conversazioni e di chat Whatsapp dalla lettura delle quali emergono possibili violazioni di natura etica e deontologica e, in particolare, dell'articolo 10 del Codice etico, che fa divieto ai magistrati di servirsi del ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi (il riferimento sembra anche ai biglietti per lo stadio che alcuni esponenti di Area cercavano gratuitamente, ndr) per sé o per altri o di influire impropriamente per ottenere promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e incarichi di ogni natura cui aspirino». E siccome alcuni appartenenti all'Anm sono stati segnalati al collegio dei probiviri, l'associazione dei magistrati chiede copia dei documenti. Man mano che si va avanti con la lettura del comunicato le parole si fanno però sempre più cerchiobottiste. E se il riferimento alle intercettazioni di Palamara pubblicate un anno fa vengono definite «trame occulte», le chat di oggi diventano una «diffusa abitudine di rivolgersi ai consiglieri superiori o esponenti delle correnti per ottenere nomine, incarichi o trasferimenti». Aver rotto il silenzio, però, sembra già qualcosa. Domenica la corrente di Area, infastidita per quanto sta strabordando dal pentolone dell'inchiesta, è stata durissima. E se l'è presa con la Verità: «È in atto un attacco concentrico di una parte della stampa e di una parte della magistratura alla vigilia dell'inizio del processo e dei procedimenti disciplinari per i protagonisti delle tristi vicende dell'albergo Champagne. Un attacco anche al nostro gruppo ma, soprattutto, al cambiamento che è stato avviato in prassi e comportamenti all'interno del Csm dopo l'indignazione di maggio 2019». I resoconti di giudiziaria devono bruciare molto ad Area, che si è espressa così: «Si riportano stralci di atti giudiziari che rappresentano segmenti di fatti, che vengono poi completati e chiosati ad arte al fine di accreditare un malcostume diffuso a tutti i livelli della magistratura».
Magistratura indipendente, la corrente dei moderati, la più penalizzata un anno fa dallo scandalo Csm e dal resoconto giornalistico in quel momento decisamente parziale sull'inchiesta, è stata la prima a scendere in campo, attaccando i progressisti proprio per le imbarazzanti telefonate con Palamara di alcuni dei loro esponenti. Si parla di una «nemesi storica» per chi «con un insopportabile moralismo di maniera» si è accanito «in modo feroce contro pochi individui»: «Per uno strano scherzo del destino, i protagonisti involontari dei nuovi dialoghi sono i Savonarola di un tempo: i duri e puri che gridavano il loro sdegno li vediamo arroccati nel bunker, si cimentano in sottili distinguo o in maldestri equilibrismi dialettici». In conclusione Mi chiede, «anziché sommari processi di piazza, un doveroso accertamento dei fatti e una ferma indicazione etica».
Altrettanto duro il comunicato (intitolato «Afrore di ipocrisia») dei componenti di Mi dentro al Cdc (il Comitato direttivo centrale) dell'associazione dei magistrati: «Il governo dell'Anm è nelle mani dei moralizzatori […], gli stessi che nel recente passato hanno auspicato che un nuovo umanesimo defibrillasse le moribonde coscienze dei protagonisti della giurisdizione». Però adesso, di fronte al nuovo scandalo, quel governo «con alla guida Area, tace, osserva, medita e non si scandalizza, non favella; eppure alcuni dei timonieri attuali si stracciarono le vesti nel mese di maggio 2019 a fronte di pubblicazioni di intercettazioni con protagonisti (in parte) diversi».
Tra questi conquista una menzione speciale Giuseppe Cascini, esponente di punta di Area, che un anno fa assimilò lo scandalo Csm a quello della P2. Un anno dopo i magistrati moderati gli rinfacciano quell'incauta presa di posizione e passano al contrattacco: «Chiediamo che la Giunta esecutiva centrale prenda chiara posizione sugli accadimenti recenti».
La prima commissione del Csm intanto ha annunciato di aver avviato la ricognizione complessiva degli atti per le iniziative in materia di incompatibilità ambientale. I nodi sembrano essere arrivati al pettine.
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Quando Tommasina Cotroneo, oggi capo dei gip reggini, puntava alla promozione, due rivali la screditarono presso il pg Dino Petralia: «Ha cugini mafiosi». Lei invocò Luca Palamara: «Qui tanti hanno amici nelle cosche. Aiutami, stratega».Area parla di «attacco concentrico» di stampa e avversari interni. Replica la corrente dei moderati: «Nemesi sugli ex duri e puri». E l'Anm minimizza le chat imbarazzanti.Lo speciale contiene due articoliIl mercato delle toghe è spietato e non si ferma alla politica, agli accordi fra correnti, agli sgambetti e ai sotterfugi. A volte per la battaglia per arrivare a ricoprire una postazione chiave si usa l'artiglieria pesante. E si tirano fuori parenti di magistrati noti alle Procure, congiunti mafiosi o papà con grane finanziarie. Una chat tra il pm romano Luca Palamara e la consigliera di Corte d'appello a Reggio Calabria, Tommasina Cotroneo (attualmente capo dei gip sempre a Reggio Calabria), esponente di Unicost e anche componente della giunta esecutiva centrale dell'Anm, sembra fotografare l'inquietante spaccato. Lo scambio di messaggi tra i due comincia il 24 giugno 2017 e si protrae fino alla vigilia dello scandalo scoperto dalla Procura di Perugia. L'ultimo vocale, infatti, è del 29 maggio 2019. Nell'arco dei due anni fitti di contatti i due portano avanti il progetto della Cotroneo per la copertura del posto da presidente di sezione nel tribunale reggino che si era appena liberato. Cotroneo, però, sente che la presenza di alcuni colleghi dello stesso distretto potrebbe sbarrarle la strada. E con un messaggio avverte Palamara: «So che Cappuccio e Tassone stanno facendo di tutto per infangarmi». Non solo. Nella guerra di posizionamento, sulla scacchiera di Reggio Calabria c'è un pezzo da 90: Dino Petralia, in quel momento procuratore generale e ora a capo del Dap, dove ha sostituito il dimissionario Francesco Basentini. E Petralia è un altro ostacolo che sembra frapporsi tra la Cotroneo e la sua ambizione. A poco più di un mese dal Plenum, Cotroneo racconta a Palamara un episodio che in questa vicenda sembra avere un suo peso specifico: «Petralia mi ha convocata», scrive la giudice calabrese, «per avvertirmi che ha comunicato al Csm, perché doveva, la vicenda sull'altro mio cugino, il secondo di cui ti avevo parlato. Dicendomi che era incontestabile la mia condotta. Era la seconda vicenda di parentela che doveva comunicare». E ancora: «Comunque, sostanzialmente, si tratta di due cugini, come ti avevo detto da subito». Cotroneo precisa che i fatti sono vecchi, che non ha nulla a che fare con i parenti, e che convive da sempre con questo problema. E mentre Palamara si accinge a risponderle che è nel bel mezzo di una tormenta di neve e che per questo motivo l'avrebbe richiamata più tardi, lei continua a sfogarsi: «Quanto mai tempestivi Petralia e company». E in un altro Whatsapp: «Non più di un mese fa Cappuccio mi aveva detto, “ma tu hai due cugini". Questi l'hanno fatto apposta». La giudice è ormai incontenibile: «Petralia avrà approfittato dell'arresto del fratello della collega per tirare anche me su suggerimento dei locali come Cappuccio, Gerardis e company... le vicende dei miei parenti sono state sempre conosciute dalla Procura, da Pignatone in avanti e anche prima». Palamara nel frattempo è tornato online ed è già pronto a sostenere con tutte le sue forze la collega: «Avranno pane per i loro denti». Lei prende coraggio: «Se non ci fossi tu mi farebbero a pezzi, tanto gli sto su cazzo». Lo stratega Palamara sembra avere ben chiara la situazione ed è lapidario: «La risposta è un'altra, ci temono. E molto. Ma non hanno fatto bene i conti». Cotroneo, quindi, piangendosi addosso, introduce il tema dei mafiosi: «Ci sono tanti magistrati che qui hanno parenti e affini mafiosi e solo me hanno tirato fuori». Anche se Palamara le dice che ha tutto chiaro, lei continua: «C'è sempre di mezzo Gerardis, in ogni cosa che mi riguardi. E Petralia e Gerardis sono amici intimi». Palamara affila le armi: «Con lui saprò togliermi i sassi dalle scarpe». Di materiale Tommasina ne fornisce a iosa. Come quando riferisce a Palamara di una collega che ha «un padre pieno di reati fiscali». Poco dopo lui le chiede: «Sui reati fiscali del padre mi dai qualche elemento in più?». La battaglia al Plenum si avvicina. E Cotroneo comincia ad avere qualche problema di insonnia: «Stanotte ho passato l'inferno. Solo tu ce la puoi fare. Con la tua grandezza e il tuo acume». Palamara sa come renderla tranquilla: «Questa volta gli faccio male, te lo prometto». Lei gli ricorda «che Petralia è un vigliacco e se sente fiuto di Csm... mente». Cotroneo, invece, sente aria di complotto. Ritiene che Petralia e Gerardis si siano incontrati prima di inviare la nota sui suoi parenti. Tra le paure per un comunicato che la corrente di Area sembra muoverle contro e le presunte interferenze dei colleghi al Csm, il Plenum si avvicina. Palamara lavora sotto traccia e aggiorna la collega: «Tesoro, ho terrorizzato Ardituro (Antonio Ardituro, consigliere del Csm). Gli ho detto che sarò una belva e lui ha detto ricomponiamo tutto. Guai a chi ti tocca». Lei risponde con due smile che hanno i cuori al posto degli occhi. L'11 gennaio tutto sembra essersi risolto. Alle 8 del mattino Palamara scrive: «Buongiorno tesoro, salutami Petralia». Cotroneo da quelle due parole ha capito tutto: «Sei pazzesco, sai tutto in tempo reale [...] ci vogliono le palle per certe situazioni». L'ufficialità arriva il 2 maggio: «Undici a nove». La linea dello stratega è passata. E con ben due voti di scarto.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/infamie-e-delazioni-per-fare-carriera-e-pieno-di-magistrati-affini-ai-boss-2646028513.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-toghe-rosse-accusano-la-verita" data-post-id="2646028513" data-published-at="1589838219" data-use-pagination="False"> Le toghe rosse accusano «La Verità» Proprio nel giorno in cui gli atti dell'inchiesta di Perugia sono stati inviati dai pm umbri alla Procura generale della Cassazione e al ministero della Giustizia per le rispettive competenze in materia disciplinare, l'Anm si sveglia e, dopo gli scoop della Verità sulle chat imbarazzanti del pm Luca Palamara, ha diffuso un comunicato, firmato dalla giunta esecutiva centrale, con il quale ritiene di aver preso una posizione «netta e inflessibile». «Negli ultimi giorni», si legge nella nota, «alcuni quotidiani hanno iniziato a pubblicare stralci di conversazioni e di chat Whatsapp dalla lettura delle quali emergono possibili violazioni di natura etica e deontologica e, in particolare, dell'articolo 10 del Codice etico, che fa divieto ai magistrati di servirsi del ruolo istituzionale o associativo per ottenere benefici o privilegi (il riferimento sembra anche ai biglietti per lo stadio che alcuni esponenti di Area cercavano gratuitamente, ndr) per sé o per altri o di influire impropriamente per ottenere promozioni, trasferimenti, assegnazioni di sede e incarichi di ogni natura cui aspirino». E siccome alcuni appartenenti all'Anm sono stati segnalati al collegio dei probiviri, l'associazione dei magistrati chiede copia dei documenti. Man mano che si va avanti con la lettura del comunicato le parole si fanno però sempre più cerchiobottiste. E se il riferimento alle intercettazioni di Palamara pubblicate un anno fa vengono definite «trame occulte», le chat di oggi diventano una «diffusa abitudine di rivolgersi ai consiglieri superiori o esponenti delle correnti per ottenere nomine, incarichi o trasferimenti». Aver rotto il silenzio, però, sembra già qualcosa. Domenica la corrente di Area, infastidita per quanto sta strabordando dal pentolone dell'inchiesta, è stata durissima. E se l'è presa con la Verità: «È in atto un attacco concentrico di una parte della stampa e di una parte della magistratura alla vigilia dell'inizio del processo e dei procedimenti disciplinari per i protagonisti delle tristi vicende dell'albergo Champagne. Un attacco anche al nostro gruppo ma, soprattutto, al cambiamento che è stato avviato in prassi e comportamenti all'interno del Csm dopo l'indignazione di maggio 2019». I resoconti di giudiziaria devono bruciare molto ad Area, che si è espressa così: «Si riportano stralci di atti giudiziari che rappresentano segmenti di fatti, che vengono poi completati e chiosati ad arte al fine di accreditare un malcostume diffuso a tutti i livelli della magistratura». Magistratura indipendente, la corrente dei moderati, la più penalizzata un anno fa dallo scandalo Csm e dal resoconto giornalistico in quel momento decisamente parziale sull'inchiesta, è stata la prima a scendere in campo, attaccando i progressisti proprio per le imbarazzanti telefonate con Palamara di alcuni dei loro esponenti. Si parla di una «nemesi storica» per chi «con un insopportabile moralismo di maniera» si è accanito «in modo feroce contro pochi individui»: «Per uno strano scherzo del destino, i protagonisti involontari dei nuovi dialoghi sono i Savonarola di un tempo: i duri e puri che gridavano il loro sdegno li vediamo arroccati nel bunker, si cimentano in sottili distinguo o in maldestri equilibrismi dialettici». In conclusione Mi chiede, «anziché sommari processi di piazza, un doveroso accertamento dei fatti e una ferma indicazione etica». Altrettanto duro il comunicato (intitolato «Afrore di ipocrisia») dei componenti di Mi dentro al Cdc (il Comitato direttivo centrale) dell'associazione dei magistrati: «Il governo dell'Anm è nelle mani dei moralizzatori […], gli stessi che nel recente passato hanno auspicato che un nuovo umanesimo defibrillasse le moribonde coscienze dei protagonisti della giurisdizione». Però adesso, di fronte al nuovo scandalo, quel governo «con alla guida Area, tace, osserva, medita e non si scandalizza, non favella; eppure alcuni dei timonieri attuali si stracciarono le vesti nel mese di maggio 2019 a fronte di pubblicazioni di intercettazioni con protagonisti (in parte) diversi». Tra questi conquista una menzione speciale Giuseppe Cascini, esponente di punta di Area, che un anno fa assimilò lo scandalo Csm a quello della P2. Un anno dopo i magistrati moderati gli rinfacciano quell'incauta presa di posizione e passano al contrattacco: «Chiediamo che la Giunta esecutiva centrale prenda chiara posizione sugli accadimenti recenti». La prima commissione del Csm intanto ha annunciato di aver avviato la ricognizione complessiva degli atti per le iniziative in materia di incompatibilità ambientale. I nodi sembrano essere arrivati al pettine.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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