2021-10-09
Industriali pentiti: fermate il pass
Carlo Bonomi (Getty Images)
A meno di una settimana dall'introduzione dell'obbligo per accedere al lavoro, le aziende si trovano di fronte a difficoltà enormi e invocano almeno di posticipare la scadenza. Altre si attrezzano per offrire test gratis ai dipendenti. Su tutto regna il green caos.Più che verso l'adozione totalitaria del green pass, stiamo procedendo spediti verso l'adesione a un totale green caos. Manca meno di una settimana all'entrata in vigore dell'obbligo di possedere il certificato verde per accedere ai luoghi di lavoro, ma a differenza di quanto aveva immaginato il governo, la politica di rendere la vita difficile ai no vax non sta producendo i risultati sperati. Se con il giro di vite del passaporto a puntini, Speranza e compagni pensavano di indurre i riluttanti a vaccinarsi, a meno di non perdere il lavoro e avere forti limitazioni nella vita sociale, ora scoprono di aver ottenuto l'effetto contrario, ovvero una radicalizzazione delle posizioni, con milioni di persone decise a non sottostare al diktat a qualunque costo. Secondo il generale Francesco Paolo Figliuolo, sono quasi tre milioni gli italiani con più di 50 anni che ancora non hanno ricevuto neppure una dose. E visto che il periodo trascorso tra l'annuncio dell'obbligo di green pass e la sua effettiva introduzione è stato piuttosto ampio, è facile immaginare che questi tre milioni non siano intenzionati a offrire il braccio alla patria, ma piuttosto abbiano deciso di resistere all'imposizione della puntura.Per il ministro della Salute e per tutti coloro che fino a ieri sui giornali ne decantavano i successi, il green pass era uno strumento che funzionava e che, in maniera gentile, stava accompagnando le persone verso i centri vaccinali. Tuttavia, da settimane si registrava un calo del numero di somministrazioni di dosi giornaliere e questo non sembrava affatto confermare la propaganda dell'esecutivo e dei suoi cantori. L'altroieri ne abbiamo avuto conferma dalle ultime rilevazioni della Fondazione Gimbe, che fino a pochi giorni fa era più citata dell'oracolo di Delfi, ma da quando si è messa a dare numeri che non piacciono alla gente che piace, vede i suoi report finire tra le brevi a fondo pagina sui principali organi di disinformazione. Già, secondo l'istituto presieduto da Nino Cartabellotta, nonostante in frigorifero ci siano 13,4 milioni di vaccini anti Covid, le prenotazioni per sottoporsi all'inoculazione calano, fino a ridursi a poche decine di migliaia al giorno, un numero che ha indotto il governo a spostare il traguardo del raggiungimento dell'immunità di gregge. La meta tanto agognata dell'80% di popolazione vaccinata era stata fissata per il 30 settembre, ma visto il rilento con cui procede la somministrazione delle dosi, l'obiettivo è stato rinviato un po' più in là e scomputando ovviamente i minori di 12 anni. Oggi la previsione si è avverata, ma nel frattempo, a causa del contagio di chi è già stato vaccinato e della riduzione della copertura contro il coronavirus dopo un certo numero di mesi, si comincia a prevedere un innalzamento della soglia. Non più l'80%, ma il 90. Anzi, forse il 95%. Una meta che, green pass o no, sembra realisticamente irraggiungibile.Ma a preoccupare, oltre alla lentezza con cui la macchina vaccinale procede, e certo non per colpa di medici e volontari, è il fatto che l'obbligo del certificato verde, invece di spingere le persone a vaccinarsi, le sta inducendo a «tamponarsi». Sì, non c'è farmacia in cui si effettui il prelievo che non registri il tutto esaurito. In Friuli Venezia Giulia l'associazione di categoria ha già lanciato l'allarme, annunciando che di questo passo, presto sarà difficile anche acquistare una medicina, per le file che si allungheranno oltre le vetrine dei distributori di pillole. Ci sarà un'ondata di lavoratori che chiedono il green pass breve, quello che si ottiene per 48 ore, dopo il tampone. E a pagare spesso saranno le aziende, per evitare di perdere manodopera preziosa. Un costo che, inevitabilmente, finirà scaricato poi sul consumatore, perché se alla busta paga si aggiunge il prezzo di due o tre tamponi settimanali, 120 o 180 euro mensili qualcuno alla fine li deve scucire. Che ci sia allarme per quanto succederà fra una settimana, lo testimonia anche il presidente della Confindustria dell'Emilia, Valter Calumi, il quale chiede di rinviare l'obbligo del certificato verde in azienda e per poi sollecitare l'estensione a 72 ore della validità dei tamponi rapidi, in modo da ridurre i costi ed evitare affollamenti ai gazebo dove si effettuano i test. Insomma, la situazione rischia di sfuggire di mano, con un esercito di non vaccinati pronti a marcare visita, cioè a presentare un certificato di malattia per evitare la sospensione: lo si capisce parlando con gli avvocati specializzati in diritto del lavoro, i quali confessano di essere subissati di richieste da parte di aziende che non sanno come comportarsi. Insomma, se per il presidente dell'Istituto superiore di sanità Silvio Brusaferro la circolazione del virus è in fase discendente, quella del green caos è in fase ascendente e nei prossimi giorni il barometro registra aria di peggioramento.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)