2019-02-20
Industria italiana ai minimi dal 2009. Ora il Def deve invertire la discesa
A dicembre 2018 la produzione è calata del 7,3% rispetto al 2017. Entro il 10 aprile l'esecutivo dovrà presentare il documento di programmazione economica: in vista un nuovo scontro con l'Ue per ottenere più investimenti.Inutile girarci intorno. I dati Istat resi noti ieri su produzione industriale, fatturato e ordinativi sono negativi sotto ogni punto di vista. A dicembre 2018, diminuzione del 3,5% rispetto a novembre; nel quarto trimestre dello scorso anno, calo dell'1,6% dell'indice complessivo rispetto al trimestre precedente; su base annua, una caduta del 7,3%. È la flessione tendenziale più accentuata dal novembre del 2009.Cattivi segnali pure dagli ordinativi dell'industria: sempre nel mese di dicembre, segno negativo dell'1,8% rispetto al mese precedente (e del 2%, se si considera la performance del quarto trimestre 2018 rispetto al terzo trimestre); su base annua, meno 5,3%, la più significativa da luglio 2016. Considerando la media di tutto il 2018, per le commesse si registra un +2%, in deciso rallentamento a confronto con il +6,3% del 2017 (valori grezzi). In frenata anche il fatturato media: la crescita si ferma al 2,3% rispetto al +5,6% dell'anno precedente. A dicembre, secondo l'analisi Istat, tutti i raggruppamenti e settori hanno fatto registrare un dato congiunturale negativo: -1,8% per i beni di consumo; -5,5% per i beni strumentali; -1,7% per i beni intermedi e -9,7% per l'energia. E ancora: farmaceutica -13%, chimica -8,5%. Un dato che ha pesato in modo generalizzato è stata la cattiva performance sul mercato estero: in sostanza, in un'economia a domanda interna già debole, nel momento in cui anche fuori confine si sono registrati risultati meno buoni, la frenata si è fatta particolarmente pronunciata. Dati i numeri, ora più che mai occorre riflettere su cosa possano e vogliano fare governo e maggioranza. E anche cercare di interpretare la battuta del sottosegretario Giancarlo Giorgetti sull'ipotesi di un'eventuale manovra correttiva («Lo vedremo nei prossimi mesi»). Le scadenze oggettive, del resto, incombono: tra meno di due mesi il governo è chiamato a scrivere il Def. E certo, con dati simili immaginare aumenti di tasse di qualunque tipo sarebbe letteralmente suicida: cosa che per fortuna - a quanto ci risulta - nessuno ipotizza nella maggioranza.È forse da mettere in conto un nuovo round del pesante confronto a cui si è assistito con Bruxelles da settembre a dicembre? Onestà intellettuale vuole che si ricordi (La Verità è stato l'unico quotidiano a rimarcarlo a suo tempo) che le richieste della Commissione Ue ci hanno restituito una legge di bilancio per molti aspetti peggiorata. Come? Con più tasse (la webtax), meno investimenti (4 miliardi di sforbiciata) e soprattutto più clausole di salvaguardia, cioè bombe pronte a esplodere, o comunque a complicare il cammino delle prossime leggi di bilancio, sotto forma di minacce di aumenti Iva. Va infatti ricordato che la prima stesura della manovra sterilizzava le clausole lasciate dai governi Pd per il 2019, e prevedeva solo 13,7 miliardi di clausole nel 2020 e 15,6 miliardi nel 2021. L'ultima stesura, successiva all'accordo con Bruxelles, prevede invece ben 23,1 miliardi nel 2020 (con l'Iva che balzerebbe al 25,2%) e 28,8 miliardi nel 2021 (Iva al 26,5%). Come si vede, un aumento di ulteriori 9,4 miliardi nel 2020 e di ulteriori 13,2 nel 2021: un vero e proprio macigno del quale dobbiamo «ringraziare» la Commissione, che si è ben guardata dal chiedere qualcosa di simile alla Francia di Emmanuel Macron, che sforerà clamorosamente i parametri (deficit al 3,5%) per il decimo anno degli ultimi undici. Un inaccettabile doppio standard ai danni dell'Italia, nel gran silenzio delle massime istituzioni della Repubblica. Va dunque smentita la tesi secondo cui a Roma ci sarebbero i «malati» e a Bruxelles i «dottori». E anzi, più che mai si conferma una mancanza di strategia dell'Ue rispetto al rischio recessione: la Francia è nelle condizioni che sappiamo, la Germania ha già dimezzato le previsioni di crescita per quest'anno; molti Paesi arretrano, anche se non hanno ancora registrato i due trimestri consecutivi negativi. Dinanzi a tutto ciò, Bruxelles continua a dire pervicacemente no alle uniche due risposte che andrebbero messe in campo: un taglio choc (quindi non in dose omeopatica) delle tasse, e un forte irrobustimento degli investimenti. Gli euroburocrati sgranano il rosario dei loro parametri e degli zero virgola. E non conforta pensare che anche la prossima manovra avrà come interlocutrice la stessa Commissione: avranno gli scatoloni in mano, saranno politicamente debolissimi e in articulo mortis, ma ci saranno ancora loro. Perché le nuove nomine sono previste a novembre.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)