
Sale la tensione tra i 5 stelle nella Capitale. Dopo l'arresto del presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, anche l'assessore allo Sport è accusato di corruzione. Lui si autosospende e replica: «Parnasi non ha mai ottenuto favori da me per il nuovo stadio».L'inchiesta Parnasi è nata perché gli inquirenti volevano far luce su presunte tangenti e intrallazzi che ruotavano intorno alla costruzione del nuovo stadio della Roma, però man mano che va avanti si allarga a macchia d'olio il numero di politici romani coinvolti. Fermo restando che l'impianto si farà, come hanno assicurato a più riprese i magistrati, va da sé che tra gli indagati non poteva mancare l'assessore allo Sport della giunta capitolina, Daniele Frongia. Nei confronti del «fedelissimo» di Virginia Raggi pende l'accusa di corruzione. È questa la novità emersa ieri dagli uffici della Procura di Roma. Occorre subito precisare che l'iscrizione di Frongia si inserisce nel filone principale del procedimento su Parnasi, dunque non è inerente alle misure cautelari eseguite 48 ore fa. Quelle, per intenderci, che hanno portato in carcere, fra gli altri, anche l'ex presidente del Campidoglio, Marcello De Vito. È stato uno degli interrogatori (svolto lo scorso giugno) di Parnasi a inguaiare Frongia. Il costruttore edile, di fronte agli inquirenti coordinati dal procuratore aggiunto, Paolo Ielo, e dai pm, Barbara Zuin e Luigia Spinelli, avrebbe rivelato di aver chiesto al rappresentante della giunta romana il nominativo di una persona da assumere in una delle sue aziende: la Ampersand. A questo punto Frongia, nella versione sostenuta da Parnasi, avrebbe fatto il nome di una donna di circa 30 anni. L'assunzione della giovane, però, è saltata a causa degli arresti del 13 giugno scorso che hanno rivelato l'esistenza dell'inchiesta sullo stadio romano. Inoltre Parnasi, a chi sta indagando, avrebbe precisato che Frongia non ha esercitato pressioni di alcun tipo su di lui. Circostanza che alimenta il mistero, già di per sé assai elevato nei fatti che riguardano la cronaca giudiziaria. Comunque se questo comportamento di Frongia dovesse essere confermato il politico del Movimento 5 stelle non avrebbe nulla da temere. A questo punto la sua posizione viaggerebbe verso l'archiviazione, come si affrettano a far filtrare in maniera insistente alcune fonti M5s e i suoi avvocati. «Ho piena fiducia nella magistratura», ha detto il diretto interessato, annunciando in serata la decisione, per questione di «opportunità politica», di autosospendersi dal M5s «e di riconsegnare le deleghe attribuitemi dal sindaco». Già a poche ore dalla notizia, si era comunque dichiarato sereno: «Ho appreso di essere coinvolto nell'indagine Rinascimento per la quale non ho mai ricevuto alcuna comunicazione, elezione di domicilio o avviso di garanzia». L'uomo dei 5 stelle ha confermato: «A seguito di informazioni assunte presso la Procura, il procedimento a mio carico trarrebbe origine dall'interrogatorio di Parnasi del 20 settembre 2018». E ancora: «Lo stesso in cui (Parnasi, ndr) sottolineava più volte di non aver mai chiesto né ottenuto favori dal sottoscritto». Nel carcere di Regina Coeli, invece, ieri è stata la giornata degli interrogatori di garanzia. L'ex presidente dell'assemblea capitolina, Marcello De Vito, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il suo legale, Angelo Di Lorenzo, ha riferito ai cronisti presenti che il suo assistito si farà ascoltare nei prossimi giorni. «Chiarirò tutto. Sono sereno», ha affermato De Vito, «anche se molto dispiaciuto per quanto sta succedendo». «Gli ho chiesto di avvalersi della facoltà di non rispondere», ha precisato Di Lorenzo, «per darmi modo di organizzare la difesa e di chiedere che sia ascoltato in un secondo momento». Scelta difensiva diametralmente opposta quella di Camillo Mezzacapo, quest'ultimo ha risposto alle domande del gip, Maria Paola Tomaselli. «Non ha percepito nessuna tangente», ha affermato il suo difensore, Francesco Petrelli, «ma solo compensi per attività professionali. Curava transazioni e attività che si svolgono di norma nella pubblica amministrazione. Faremo ricorso al Riesame». Secondo l'accusa, a De Vito e Mezzacapo sarebbero giunti versamenti per 230.000 euro e altri 160.000 ne avrebbero dovuti ricevere. Denaro che sarebbe stato versato nei conto della Mdl brr, società «cassaforte» nata per custodire i profitti raccolti illecitamente da De Vito, anche se a lui non direttamente riconducibili. Tre, secondo gli inquirenti, i gruppi immobiliari coinvolti: quello di Parnasi, per lo stadio e un progetto legato alla ex Fiera di Roma, quello di Pierluigi e Carlo Toti, che avrebbero pagato per ottenere l'autorizzazione alla riqualificazione degli ex mercati generali all'Ostiense, e quello di Giuseppe Statuto per un piano legato alla ex stazione di Trastevere. Gli arresti dei pentastellati hanno avuto delle pesanti conseguenze all'interno dello stesso Movimento 5 stelle. Infatti c'è stato un vero e proprio botta e risposta tra i deputati Davide Galantino e Giuseppe D'Ambrosio. Per il primo siamo in presenza di «un gogna vergognosa. Siamo tornati al Medioevo… Solidarietà per un uomo che non può difendersi». Non è finita qui: «Chi lo conosce (De Vito, ndr) tra noi lo descrive come un incorruttibile. Ho la nausea per l'accanimento di certi soggetti». Poi la stoccata finale: «De Vito è già fuori dal M5s, senza che si sia nemmeno difeso, senza che il collegio dei probiviri si sia pronunciato». Di tutt'altro tenore le dichiarazioni di D'Ambrosio: «È inutile nascondersi, fa tanto male la vicenda che vede il nostro presidente del consiglio comunale di Roma, Marcello De Vito, arrestato per corruzione. La magistratura farà il suo corso, ma la politica deve muoversi prima. Le istituzioni devono essere tenute lontane da queste pericolose vicende». È l'eterno dibattito fra garantisti e giustiziasti.
Scontri fra pro-Pal e Polizia a Torino. Nel riquadro, Walter Mazzetti (Ansa)
La tenuità del reato vale anche se la vittima è un uomo in divisa. La Corte sconfessa il principio della sua ex presidente Cartabia.
Ennesima umiliazione per le forze dell’ordine. Sarà contenta l’eurodeputata Ilaria Salis, la quale non perde mai occasione per difendere i violenti e condannare gli agenti. La mano dello Stato contro chi aggredisce poliziotti o carabinieri non è mai stata pesante, ma da oggi potrebbe diventare una piuma. A dare il colpo di grazia ai servitori dello Stato che ogni giorno vengono aggrediti da delinquenti o facinorosi è una sentenza fresca di stampa, destinata a far discutere.
Mohamed Shahin (Ansa). Nel riquadro, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero (Imagoeconomica)
Per il Viminale, Mohamed Shahin è una persona radicalizzata che rappresenta una minaccia per lo Stato. Sulle stragi di Hamas disse: «Non è violenza». Monsignor Olivero lo difende: «Ha solo espresso un’opinione».
Per il Viminale è un pericoloso estremista. Per la sinistra e la Chiesa un simbolo da difendere. Dalla Cgil al Pd, da Avs al Movimento 5 stelle, dal vescovo di Pinerolo ai rappresentanti della Chiesa valdese, un’alleanza trasversale e influente è scesa in campo a sostegno di un imam che è in attesa di essere espulso per «ragioni di sicurezza dello Stato e prevenzione del terrorismo». Un personaggio a cui, già l’8 novembre 2023, le autorità negarono la cittadinanza italiana per «ragioni di sicurezza dello Stato». Addirittura un nutrito gruppo di antagonisti, anche in suo nome, ha dato l’assalto alla redazione della Stampa. Una saldatura tra mondi diversi che non promette niente di buono.
Nei riquadri, Letizia Martina prima e dopo il vaccino (IStock)
Letizia Martini, oggi ventiduenne, ha già sintomi in seguito alla prima dose, ma per fiducia nel sistema li sottovaluta. Con la seconda, la situazione precipita: a causa di una malattia neurologica certificata ora non cammina più.
«Io avevo 18 anni e stavo bene. Vivevo una vita normale. Mi allenavo. Ero in forma. Mi sono vaccinata ad agosto del 2021 e dieci giorni dopo la seconda dose ho iniziato a stare malissimo e da quel momento in poi sono peggiorata sempre di più. Adesso praticamente non riesco a fare più niente, riesco a stare in piedi a malapena qualche minuto e a fare qualche passo in casa, ma poi ho bisogno della sedia a rotelle, perché se mi sforzo mi vengono dolori lancinanti. Non riesco neppure ad asciugarmi i capelli perché le braccia non mi reggono…». Letizia Martini, di Rimini, oggi ha 22 anni e la vita rovinata a causa degli effetti collaterali neurologici del vaccino Pfizer. Già subito dopo la prima dose aveva avvertito i primi sintomi della malattia, che poi si è manifestata con violenza dopo la seconda puntura, tant’è che adesso Letizia è stata riconosciuta invalida all’80%.
Maria Rita Parsi critica la gestione del caso “famiglia nel bosco”: nessun pericolo reale per i bambini, scelta brusca e dannosa, sistema dei minori da ripensare profondamente.






