2022-07-01
Incubo Ffp2 al lavoro fino a ottobre. E c’è pure chi le rivuole nei locali
A poche ore dalla scadenza del protocollo precedente, governo e sindacati siglano quello nuovo, che opta per la «raccomandazione». L’assessore di Zinga sragiona: «Torni l’obbligo al chiuso per salvare il turismo».Dite la verità: pensavate di averle sentite tutte. I vaccinati che non si contagiano, i non vaccinati che si contagiano, muoiono e fanno morire, il green pass che rende liberi… Eh, no. Alessio D’Amato, assessore alla Sanità della Regione Lazio, ha messo la freccia e ha sorpassato persino la più greve balla pandemica di Mario Draghi. «Abbiamo chiesto al governo», ha proclamato, «di valutare il ritorno dell’obbligo della mascherina al chiuso. Anche per salvare la stagione turistica». Premio Nobel, subito. Per la medicina? Meglio la letteratura fantascientifica: nel suo romanzo, c’è un universo parallelo in cui gli stranieri pensano di correre in Italia, così, con 40 gradi all’ombra, si godranno la Ffp2 coatta su treni, autobus, metro (c’è davvero) e pure nei musei, nei bar e nei ristoranti (dove l’aquila del Pd vorrebbe reintrodurla). «Tra un po’ non ci saranno gli operatori in ristoranti e alberghi perché isolati a casa con il Covid», ha osservato giustamente D’Amato. Solo che, a suo avviso, la soluzione non è meno divieti; è più obblighi. C’è troppa gente in quarantena? Direte: eliminiamola anche per i positivi, come hanno fatto in Gran Bretagna mesi fa, senza che arrivassero ad accatastare i morti. Figurarsi. L’isolamento è «uno dei capisaldi» della nostra brillante strategia antivirus, ha ricordato sulla Stampa Andrea Crisanti. Piuttosto, si riportino in auge le museruole: così le persone s’infetteranno lo stesso (che i bavagli non bastino a schermarci dalle sottovarianti di Omicron lo sostengono i virologi, mica i negazionisti), non andranno al lavoro lo stesso, ma almeno i turisti avranno potuto scegliere altre mete. Dove gli esperti non propongono di coprirsi naso e bocca in spiaggia - l’ha fatto l’inossidabile Fabrizio Pregliasco. L’assessore di Nicola Zingaretti, citato dal Messaggero, s’è impegnato a difendere l’istanza rigorista in sede di Conferenza Stato-Regioni. Il prossimo incontro dovrebbe tenersi il 6 luglio e, per adesso, come ci conferma il presidente Massimiliano Fedriga, non s’è discusso dell’arguta idea, caldeggiata altresì dalla Fondazione Gimbe. Si è invece discusso, ieri, del nuovo protocollo da adottare nei luoghi di lavoro privati. E qui, il protagonista è il metodo caotico e pasticcione di Roberto Speranza e compagnia. Benché ieri scadesse ufficialmente il precedente vademecum, per il placet a quello nuovo si è dovuta attendere la serata. Il documento, redatto dai ministeri della Salute e del Lavoro e sottoscritto dalle parti sociali, prevede che, fino al 31 ottobre, si continuino a usare le Ffp2 ogniqualvolta si lavori a contatto con il pubblico, oppure non sia possibile mantenere la distanza interpersonale di un metro. Nella versione che era approdata al tavolo tecnico con l’Inail, lo spazio di sicurezza era invece fissato a due metri. Stavolta, l’esecutivo, che celebra le mascherine in quanto «presidio importante», ha preferito nascondersi dietro la «forte raccomandazione», surrogato retorico dell’obbligo, che potrà poi essere imposto dalle singole aziende, specie a «particolari gruppi di lavoratori», o qualora scoppiasse un focolaio. Se Confcommercio chiedeva «misure chiare e semplificate», si può dedurne che non sia stata accontentata. Tra l’altro, tornerà il rito della misurazione della temperatura all’ingresso: con 37,5, il dipendente sarebbe rispedito a casa. Per entrate, uscite e accessi alle aree comuni, andranno previsti turni e orari scaglionati. Compare un riferimento alla «ventilazione continua dei locali», che era un’eresia quando Giorgia Meloni e Luca Ricolfi la proponevano come soluzione per le scuole, al posto dei banchi a rotelle del duo Lucia Azzolina-Domenico Arcuri. Ai fragili è raccomandato di restare in smart working. E il governo ci tiene a sottolineare: non è un libera tutti. Ce n’eravamo accorti.Visto il silenzio del dicastero di Renato Brunetta, si erano moltiplicati i dubbi sul destino degli impiegati pubblici. Nel pomeriggio di ieri è intervenuta una nota, per confermare che le misure sulle mascherine, con la celebre «raccomandazione», «possono essere considerate tuttora un valido supporto». Idem per il lavoro da casa, garantito ai fragili. Nel Draghistan, la fonte del diritto sono i comunicati stampa. Insomma, il regimetto Covid, per l’estate, finge di dismettere i panni del poliziotto cattivo. Ma prepara una stagione fredda da incubo. Perde il pelo delle prescrizioni, non il vizio dei ritardi e della confusione normativa. E s’industria per tenere la tensione a un livello sufficiente a preparare il terreno per «una campagna di vaccinazione in autunno», come ha annunciato Speranza. Così, i suoi pupilli vanno a raccontare che le restrizioni sono cadute troppo presto. Il suo consigliere, Walter Ricciardi, ha vaticinato «un ottobre terribile e un aumento pazzesco della mortalità tra tutti i fragili». Se ci unite la fame e la distruzione causate da inflazione e crisi energetica, sembrerà di stare nella Germania Est. Mancherebbe solo la riesumazione del coprifuoco. Ma non vorremmo suggerire...
(Guardia di Finanza)
I peluches, originariamente disegnati da un artista di Hong Kong e venduti in tutto il mondo dal colosso nella produzione e vendita di giocattoli Pop Mart, sono diventati in poco tempo un vero trend, che ha generato una corsa frenetica all’acquisto dopo essere stati indossati sui social da star internazionali della musica e del cinema.
In particolare, i Baschi Verdi del Gruppo Pronto Impiego, attraverso un’analisi sulla distribuzione e vendita di giocattoli a Palermo nonché in virtù del costante monitoraggio dei profili social creati dagli operatori del settore, hanno individuato sette esercizi commerciali che disponevano anche degli iconici Labubu, focalizzando l’attenzione soprattutto sul prezzo di vendita, considerando che gli originali, a seconda della tipologia e della dimensione vengono venduti con un prezzo di partenza di circa 35 euro fino ad arrivare a diverse migliaia di euro per i pezzi meno diffusi o a tiratura limitata.
A seguito dei preliminari sopralluoghi effettuati all’interno dei negozi di giocattoli individuati, i finanzieri ne hanno selezionati sette, i quali, per prezzi praticati, fattura e packaging dei prodotti destavano particolari sospetti circa la loro originalità e provenienza.
I controlli eseguiti presso i sette esercizi commerciali hanno fatto emergere come nella quasi totalità dei casi i Labubu fossero imitazioni perfette degli originali, realizzati con materiali di qualità inferiore ma riprodotti con una cura tale da rendere difficile per un comune acquirente distinguere gli esemplari autentici da quelli falsi. I prodotti, acquistati senza fattura da canali non ufficiali o da piattaforme e-commerce, perlopiù facenti parte della grande distribuzione, venivano venduti a prezzi di poco inferiori a quelli praticati per gli originali e riportavano loghi, colori e confezioni del tutto simili a questi ultimi, spesso corredati da etichette e codici identificativi non conformi o totalmente falsificati.
Questi elementi, oltre al fatto che in alcuni casi i negozi che li ponevano in vendita fossero specializzati in giocattoli originali di ogni tipo e delle più note marche, potevano indurre il potenziale acquirente a pensare che si trattasse di prodotti originali venduti a prezzi concorrenziali.
In particolare, in un caso, l’intervento dei Baschi Verdi è stato effettuato in un negozio di giocattoli appartenente a una nota catena di distribuzione all’interno di un centro commerciale cittadino. Proprio in questo negozio è stato rinvenuto il maggior numero di pupazzetti falsi, ben 3.000 tra esercizio e magazzino, dove sono stati trovati molti cartoni pieni sia di Labubu imbustati che di scatole per il confezionamento, segno evidente che gli addetti al negozio provvedevano anche a creare i pacchetti sorpresa, diventati molto popolari proprio grazie alla loro distribuzione tramite blind box, ossia scatole a sorpresa, che hanno creato una vera e propria dipendenza dall’acquisto per i collezionisti di tutto il mondo. Tra gli esemplari sequestrati anche alcune copie più piccole di un modello, in teoria introvabile, venduto nel mese di giugno a un’asta di Pechino per 130.000 euro.
Soprattutto in questo caso la collocazione all’interno di un punto vendita regolare e inserito in un contesto commerciale di fiducia, unita alla cura nella realizzazione delle confezioni, avrebbe potuto facilmente indurre in errore i consumatori convinti di acquistare un prodotto ufficiale.
I sette titolari degli esercizi commerciali ispezionati e destinatari dei sequestri degli oltre 10.000 Labubu falsi che, se immessi sul mercato avrebbero potuto fruttare oltre 500.000 euro, sono stati denunciati all’Autorità Giudiziaria per vendita di prodotti recanti marchi contraffatti.
L’attività s’inquadra nel quotidiano contrasto delle Fiamme Gialle al dilagante fenomeno della contraffazione a tutela dei consumatori e delle aziende che si collocano sul mercato in maniera corretta e che, solo nell’ultimo anno, ha portato i Baschi Verdi del Gruppo P.I. di Palermo a denunciare 37 titolari di esercizi commerciali e a sequestrare oltre 500.000 articoli contraffatti, tra pelletteria, capi d’abbigliamento e profumi recanti marchi delle più note griffe italiane e internazionali.
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