2024-04-13
Dietro il sistema Emiliano spunta il baffo di D’Alema
Massimo D'Alema (Getty Images)
I gargoyle dem posti a guardia della roccaforte di Michele Emiliano si stanno sgretolando uno dopo l’altro. Due nomi in particolare hanno causato una deflagrazione tra i sostenitori del governatore pugliese. Il primo è quello di Filippo Caracciolo, finito nei guai da assessore all’Ambiente nel 2017 con l’accusa di aver pilotato una gara d’appalto in cambio di sostegno elettorale e solo un mese fa rinviato a giudizio. L’altro giorno si è dimesso, per le polemiche innescate dalle inchieste, da capogruppo del Pd in Consiglio regionale. Il secondo, invece, è quello di Michele Mazzarano, condannato nel 2022 in appello a 9 mesi di reclusione (pena sospesa) per corruzione elettorale, che dal gruppo del Pd si è autosospeso, per gli stessi motivi di Caracciolo. Quest’ultimo, barlettano molto legato al suo territorio, è arrivato a digerire perfino i rimbrotti della Corte dei conti sugli extra per l’autista pagato dal gruppo Pd a Emiliano e sulla sua fedeltà al governatore nessuno nella sinistra pugliese ha mai nutrito dubbi. Al congresso dem del 2013, quello che vedeva Matteo Renzi contrapposto a Gianni Cuperlo, inizialmente non nascose la voglia di mettere un freno al campione del fu Rottamatore, Fabrizio Ferrante, che tutti davano come capolista scontato. Massimo D’Alema, per tentare di neutralizzare Renzi, si schierò con Cuperlo e decise di guidare a Bari una delle tre liste che sosteneva il triestino (poi sconfitto). Alla fine qualcosa andò storto anche a Barletta e Caracciolo scelse i renziani, lasciando sbigottita la stampa locale, che la definì «una conversione al renzismo». Di certo sguazzava solo nell’area dalemiana, invece, Mazzarano, baffo alla D’Alema e un atteggiamento che sin da quando era un giovincello ricordava i modi di fare del lider Massimo. Ultimo segretario regionale dei Democratici di sinistra prima dello scioglimento del partito, si è poi barcamenato tra D’Alema ed Emiliano. Nel 2007, quando è nato il Partito democratico, è diventato il numero due, proprio durante la segreteria di Emiliano. Al suo quartier generale di Grottaglie era di casa il senatore Nicola Latorre, ovvero il braccio destro pugliese di Baffino. Prima che il suo nome finisse nei verbali della Procura di Bari perché Gianpaolo Tarantini lo indicava come beneficiario di tangenti, Mazzarano era responsabile organizzativo del partito. Proprio nel 2007, raccontarono le cronache, organizzò una cena, pagata da Tarantini, al ristorante barese la Pignata: vi parteciparono tra gli altri D’Alema ed Emiliano (che era sindaco di Bari). Alla fine l’accusa ricostruì che Tarantini aveva dato a Mazzarano 10.000 euro per il concerto di Eugenio Bennato all’evento di chiusura della campagna elettorale del Pd a Massafra, ma l’ipotesi di reato si è prescritta nel 2015. Quello stesso anno però è saltato fuori un patto con l’imprenditore tarantino Emilio Pastore, che fornì a Mazzarano sostegno elettorale, mettendogli a disposizione un locale e garantendogli voti per le regionali in cambio di un posto di lavoro per ciascuno dei suoi due figli. E la sentenza è passata in giudicato. Insomma sotto le macerie del sistema Emiliano fumano anche quelle dalemiane. Molto gradito in quest’area è pure uno degli uomini che i fratelli Alfonso e Vincenzo Pisicchio, finiti ai domiciliari nell’ultima inchiesta della Procura di Bari, avevano compulsato per tentare (inutilmente) di far vincere una gara bandita da Aeroporti di Puglia a una delle società che promuovevano in cambio di assunzioni e sostegno elettorale: Alessandro Di Bello, all’epoca alla guida di InnovaPuglia, la partecipata regionale per la programmazione strategica a sostegno dell’innovazione, e ora ai vertici della campana Soresa, società che studia azioni finalizzate alla razionalizzazione della spesa sanitaria. Un manager legatissimo al governatore pugliese, il gemello, politicamente parlando, di Vincenzo De Luca. E con le radici nell’area dalemiana c’è anche un altro assessore citato negli atti dell’inchiesta (ma non indagato): Cosimo Borraccino. I Pisicchio si sarebbero rivolti anche a lui per far sbloccare un finanziamento europeo a una delle società dalle quali avrebbero ricevuto utilità. Le intercettazioni risalgono al 2019 e allora Borraccino era assessore allo Sviluppo economico, mentre ora è consigliere delegato di Emiliano. La sua vicinanza al governatore, quindi, è indiscussa. Ai tempi della costituente di Articolo uno, però, si era lasciato trasportare probabilmente dalle fascinazioni della sua gioventù da militante dell’area comunista di Armando Cossutta e da consigliere regionale di Sinistra italiana accompagnò Baffino a Taranto per presentare la nuova piattaforma dalemiana, quella che poi ha partorito Roberto Speranza. Nel 2016 pure Borraccino si trovò in una brutta storia giudiziaria nella quale si ipotizzava la corruzione elettorale, ma al momento della contestazione, il reato risultò già prescritto e i pm mandarono in archivio il fascicolo. Stando alle ricostruzioni dell’epoca, Borraccino avrebbe organizzato colloqui con dei cittadini ai quali sarebbe stata prospettata la possibilità di un’assunzione in una società di vigilanza in cambio del voto. Una strategia che ricorda da vicino l’inchiesta sui Pisicchio. Che avevano addirittura delle liste dalle quali attingere. Le aziende che avrebbero aiutato nelle gare d’appalto si sospetta che avrebbero fatto girare dei soldi: «A fronte della promessa della dazione di 245.000 euro», scrivono gli inquirenti, «verosimilmente è stata consegnata a Vincenzo Pisicchio una somma inferiore, 156.000, il cui residuo, 65.000, è stato trovato durante una perquisizione in un sacco per i rifiuti sul balcone della cucina della sua abitazione». Ma anche dei regali (una Fiat 500, un iPhone, un tablet) e l’offerta dei banchetti per un evento politico di Alfonso e per la festa di laurea della figlia di Vincenzo. I due, però, oltre a ottenere dalle stesse società l’assunzione fittizia dei rispettivi figli, avrebbero fornito dei nominativi pescati in un lungo elenco contenente nome e cognome dei segnalati, titolo di studio, età, esperienze ed eventuale indicazione dell’appartenenza a categorie protette. «Alfonsino», si legge negli atti giudiziari, «ha deciso i candidati da far assumere, mentre Vincenzo, quale suo alter ego, si è esposto chiamando o preavvisando i candidati», che per rapporti di parentela o di militanza politica sarebbero stati riconducibili ai loro movimenti politici. Un abile lavoro di filiera che avrebbe ingrossato le file elettorali delle liste di Pisicchio. A sostegno di Emiliano.
Continua a leggereRiduci
Il capogruppo Pd in consiglio regionale dimessosi l’altro ieri, il consigliere dem autosospeso, un ex assessore e un manager citati nell’ordinanza: ecco tutti i pezzi del cerchio magico dell’ex premier scossi dalle indagini.I gargoyle dem posti a guardia della roccaforte di Michele Emiliano si stanno sgretolando uno dopo l’altro. Due nomi in particolare hanno causato una deflagrazione tra i sostenitori del governatore pugliese. Il primo è quello di Filippo Caracciolo, finito nei guai da assessore all’Ambiente nel 2017 con l’accusa di aver pilotato una gara d’appalto in cambio di sostegno elettorale e solo un mese fa rinviato a giudizio. L’altro giorno si è dimesso, per le polemiche innescate dalle inchieste, da capogruppo del Pd in Consiglio regionale. Il secondo, invece, è quello di Michele Mazzarano, condannato nel 2022 in appello a 9 mesi di reclusione (pena sospesa) per corruzione elettorale, che dal gruppo del Pd si è autosospeso, per gli stessi motivi di Caracciolo. Quest’ultimo, barlettano molto legato al suo territorio, è arrivato a digerire perfino i rimbrotti della Corte dei conti sugli extra per l’autista pagato dal gruppo Pd a Emiliano e sulla sua fedeltà al governatore nessuno nella sinistra pugliese ha mai nutrito dubbi. Al congresso dem del 2013, quello che vedeva Matteo Renzi contrapposto a Gianni Cuperlo, inizialmente non nascose la voglia di mettere un freno al campione del fu Rottamatore, Fabrizio Ferrante, che tutti davano come capolista scontato. Massimo D’Alema, per tentare di neutralizzare Renzi, si schierò con Cuperlo e decise di guidare a Bari una delle tre liste che sosteneva il triestino (poi sconfitto). Alla fine qualcosa andò storto anche a Barletta e Caracciolo scelse i renziani, lasciando sbigottita la stampa locale, che la definì «una conversione al renzismo». Di certo sguazzava solo nell’area dalemiana, invece, Mazzarano, baffo alla D’Alema e un atteggiamento che sin da quando era un giovincello ricordava i modi di fare del lider Massimo. Ultimo segretario regionale dei Democratici di sinistra prima dello scioglimento del partito, si è poi barcamenato tra D’Alema ed Emiliano. Nel 2007, quando è nato il Partito democratico, è diventato il numero due, proprio durante la segreteria di Emiliano. Al suo quartier generale di Grottaglie era di casa il senatore Nicola Latorre, ovvero il braccio destro pugliese di Baffino. Prima che il suo nome finisse nei verbali della Procura di Bari perché Gianpaolo Tarantini lo indicava come beneficiario di tangenti, Mazzarano era responsabile organizzativo del partito. Proprio nel 2007, raccontarono le cronache, organizzò una cena, pagata da Tarantini, al ristorante barese la Pignata: vi parteciparono tra gli altri D’Alema ed Emiliano (che era sindaco di Bari). Alla fine l’accusa ricostruì che Tarantini aveva dato a Mazzarano 10.000 euro per il concerto di Eugenio Bennato all’evento di chiusura della campagna elettorale del Pd a Massafra, ma l’ipotesi di reato si è prescritta nel 2015. Quello stesso anno però è saltato fuori un patto con l’imprenditore tarantino Emilio Pastore, che fornì a Mazzarano sostegno elettorale, mettendogli a disposizione un locale e garantendogli voti per le regionali in cambio di un posto di lavoro per ciascuno dei suoi due figli. E la sentenza è passata in giudicato. Insomma sotto le macerie del sistema Emiliano fumano anche quelle dalemiane. Molto gradito in quest’area è pure uno degli uomini che i fratelli Alfonso e Vincenzo Pisicchio, finiti ai domiciliari nell’ultima inchiesta della Procura di Bari, avevano compulsato per tentare (inutilmente) di far vincere una gara bandita da Aeroporti di Puglia a una delle società che promuovevano in cambio di assunzioni e sostegno elettorale: Alessandro Di Bello, all’epoca alla guida di InnovaPuglia, la partecipata regionale per la programmazione strategica a sostegno dell’innovazione, e ora ai vertici della campana Soresa, società che studia azioni finalizzate alla razionalizzazione della spesa sanitaria. Un manager legatissimo al governatore pugliese, il gemello, politicamente parlando, di Vincenzo De Luca. E con le radici nell’area dalemiana c’è anche un altro assessore citato negli atti dell’inchiesta (ma non indagato): Cosimo Borraccino. I Pisicchio si sarebbero rivolti anche a lui per far sbloccare un finanziamento europeo a una delle società dalle quali avrebbero ricevuto utilità. Le intercettazioni risalgono al 2019 e allora Borraccino era assessore allo Sviluppo economico, mentre ora è consigliere delegato di Emiliano. La sua vicinanza al governatore, quindi, è indiscussa. Ai tempi della costituente di Articolo uno, però, si era lasciato trasportare probabilmente dalle fascinazioni della sua gioventù da militante dell’area comunista di Armando Cossutta e da consigliere regionale di Sinistra italiana accompagnò Baffino a Taranto per presentare la nuova piattaforma dalemiana, quella che poi ha partorito Roberto Speranza. Nel 2016 pure Borraccino si trovò in una brutta storia giudiziaria nella quale si ipotizzava la corruzione elettorale, ma al momento della contestazione, il reato risultò già prescritto e i pm mandarono in archivio il fascicolo. Stando alle ricostruzioni dell’epoca, Borraccino avrebbe organizzato colloqui con dei cittadini ai quali sarebbe stata prospettata la possibilità di un’assunzione in una società di vigilanza in cambio del voto. Una strategia che ricorda da vicino l’inchiesta sui Pisicchio. Che avevano addirittura delle liste dalle quali attingere. Le aziende che avrebbero aiutato nelle gare d’appalto si sospetta che avrebbero fatto girare dei soldi: «A fronte della promessa della dazione di 245.000 euro», scrivono gli inquirenti, «verosimilmente è stata consegnata a Vincenzo Pisicchio una somma inferiore, 156.000, il cui residuo, 65.000, è stato trovato durante una perquisizione in un sacco per i rifiuti sul balcone della cucina della sua abitazione». Ma anche dei regali (una Fiat 500, un iPhone, un tablet) e l’offerta dei banchetti per un evento politico di Alfonso e per la festa di laurea della figlia di Vincenzo. I due, però, oltre a ottenere dalle stesse società l’assunzione fittizia dei rispettivi figli, avrebbero fornito dei nominativi pescati in un lungo elenco contenente nome e cognome dei segnalati, titolo di studio, età, esperienze ed eventuale indicazione dell’appartenenza a categorie protette. «Alfonsino», si legge negli atti giudiziari, «ha deciso i candidati da far assumere, mentre Vincenzo, quale suo alter ego, si è esposto chiamando o preavvisando i candidati», che per rapporti di parentela o di militanza politica sarebbero stati riconducibili ai loro movimenti politici. Un abile lavoro di filiera che avrebbe ingrossato le file elettorali delle liste di Pisicchio. A sostegno di Emiliano.
Ansa
L’accordo è stato siglato con Certares, fondo statunitense specializzato nel turismo e nei viaggi, nome ben noto nel settore per American express global business travel e per una rete di partecipazioni che abbraccia distribuzione, servizi e tecnologia legata alla mobilità globale. Il piano è robusto: una joint venture e investimenti complessivi per circa un miliardo di euro tra Francia e Regno Unito.
Il primo terreno di gioco è Trenitalia France, la controllata con sede a Parigi che negli ultimi anni ha dimostrato come la concorrenza sui binari francesi non sia più un tabù. Oggi opera nell’Alta velocità sulle tratte Parigi-Lione e Parigi-Marsiglia, oltre al collegamento internazionale Parigi-Milano. Dal debutto ha trasportato oltre 4,7 milioni di passeggeri, ritagliandosi il ruolo di secondo operatore nel mercato francese. A dominarlo il monopolio storico di Sncf il cui Tgv è stato il primo treno super-veloce in Europa. Intaccarne il primato richiede investimenti e impegno. Il nuovo capitale messo sul tavolo servirà a consolidare la presenza di Fs non solo in Francia, ma anche nei mercati transfrontalieri. Il progetto prevede l’ampliamento della flotta fino a 19 treni, aumento delle frequenze - sulla Parigi-Lione si arriverà a 28 corse giornaliere - e la realizzazione di un nuovo impianto di manutenzione nell’area parigina. A questo si aggiunge la creazione di centinaia di nuovi posti di lavoro e il rafforzamento degli investimenti in tecnologia, brand e marketing. Ma il vero orizzonte strategico è oltre il Canale della Manica. La partnership punta infatti all’ingresso sulla rotta Parigi-Londra entro il 2029, un corridoio simbolico e ad altissimo traffico, finora appannaggio quasi esclusivo dell’Eurostar. Portare l’Alta velocità italiana su quella linea significa non solo competere su prezzi e servizi, ma anche ridisegnare la geografia dei viaggi europei, offrendo un’alternativa all’aereo.
In questo disegno Certares gioca un ruolo chiave. Il fondo americano non si limita a investire capitale, ma mette a disposizione la rete di distribuzione e le società in portafoglio per favorire la transizione dei clienti business verso il treno ad Alta velocità. Parallelamente, l’accordo guarda anche ad altro. Trenitalia France e Certares intendono promuovere itinerari integrati che includano il treno, semplificare gli strumenti di prenotazione e spingere milioni di viaggiatori a scegliere la ferrovia come modalità di trasporto preferita, soprattutto sulle medie distanze. L’operazione si inserisce nel piano strategico 2025-2029 del gruppo Fs, che punta su una crescita internazionale accelerata attraverso alleanze con partner finanziari e industriali di primo piano. Sarà centrale Fs International, la divisione che si occupa delle attività passeggeri fuori dall’Italia. Oggi vale circa 3 miliardi di euro di fatturato e conta su 12.000 dipendenti.
L’obiettivo, come spiega un comunicato del gruppo, combinare l’eccellenza operativa di Fs e di Trenitalia France con la potenza commerciale e distributiva globale di Certares per trasformare la Francia, il corridoio Parigi-Londra e i futuri mercati della joint venture in una vetrina del trasporto europeo. Un’Europa che viaggia veloce, sempre più su rotaia, e che riscopre il treno non come nostalgia del passato, ma come infrastruttura del futuro.
Continua a leggereRiduci
Brigitte Bardot guarda Gunter Sachs (Ansa)
Ora che è morta, la destra la vorrebbe ricordare. Ma non perché in passato aveva detto di votare il Front National. Semplicemente perché la Bardot è stata un simbolo della Francia, come ha chiesto Eric Ciotti, del Rassemblement National, a Emmanuel Macron. Una proposta scontata, alla quale però hanno risposto negativamente i socialisti. Su X, infatti, Olivier Faure ha scritto: «Gli omaggi nazionali vengono organizzati per servizi eccezionali resi alla Nazione. Brigitte Bardot è stata un'attrice emblematica della Nouvelle Vague. Solare, ha segnato il cinema francese. Ma ha anche voltato le spalle ai valori repubblicani ed è stata pluri-condannata dalla giustizia per razzismo». Un po’ come se esser stata la più importante attrice degli anni Cinquanta e Sessanta passasse in secondo piano a causa delle sue scelte politiche. Come se BB, per le sue idee, non facesse più parte di quella Francia che aveva portato al centro del mondo. Non solo nel cinema. Ma anche nel turismo. Fu grazie a lei che la spiaggia di Saint Tropez divenne di moda. Le sue immagini, nuda sulla riva, finirono sulle copertine delle riviste più importanti dell’epoca. E fecero sì che, ricchi e meno ricchi, raggiungessero quel mare limpido e selvaggio nella speranza di poterla incontrare. Tra loro anche Gigi Rizzi, che faceva parte di quel gruppo di italiani in cerca di belle donne e fortuna sulla spiaggia di Saint Tropez. Un amore estivo, che però lo rese immortale.
È vero: BB era di destra. Era una femmina che non poteva essere femminista. Avrebbe tradito sé stessa se lo avesse fatto. Del resto, disse: «Il femminismo non è il mio genere. A me piacciono gli uomini». Impossibile aggiungere altro.
Se non il dispiacere nel vedere una certa Francia voltarle le spalle. Ancora una volta. Quella stessa Francia che ha dimenticato sé stessa e che ha perso la propria identità. Quella Francia che oggi vuole dimenticare chi, Brigitte Bardot, le ricordava che cosa avrebbe potuto essere. Una Francia dei francesi. Una Francia certamente capace di accogliere, ma senza perdere la propria identità. Era questo che chiedeva BB, massacrata da morta sui giornali di sinistra, vedi Liberation, che titolano Brigitte Bardot, la discesa verso l'odio razziale.
Forse, nelle sue lettere contro l’islamizzazione, BB odiò davvero. Chi lo sa. Di certo amò la Francia, che incarnò. Nel 1956, proprio mentre la Bardot riempiva i cinema mondiali, Édith Piaf scrisse Non, je ne regrette rien (no, non mi pento di nulla). Lo fece per i legionari che combattevano la guerra d’Algeria. Una guerra che oggi i socialisti definirebbero colonialista. Quelle parole di gioia possono essere il testamento spirituale di BB. Che visse, senza rimpiangere nulla. Vivendo in un eterno presente. Mangiando la vita a morsi. Sparendo dalla scena. Ora per sempre.
Continua a leggereRiduci
«Gigolò per caso» (Amazon Prime Video)
Un infarto, però, lo aveva costretto ad una lunga degenza e, insieme, ad uno stop professionale. Stop che non avrebbe potuto permettersi, indebitato com'era con un orologiaio affatto mite. Così, pur sapendo che avrebbe incontrato la riprova del figlio, già inviperito con suo padre, Giacomo aveva deciso di chiedergli una mano. Una sostituzione, il favore di frequentare le sue clienti abituali, consentendogli con ciò un'adeguata ripresa. La prima stagione della serie televisiva era passata, perciò, dalla rabbia allo stupore, per trovare, infine, il divertimento e una strana armonia. La seconda, intitolata La sex gurue pronta a debuttare su Amazon Prime video venerdì 2 gennaio, dovrebbe fare altrettanto, risparmiandosi però la fase della rabbia. Alfonso, cioè, è ormai a suo agio nel ruolo di gigolò. Non solo. La strana alleanza professionale, arrivata in un momento topico della sua vita, quello della crisi con la moglie Margherita, gli ha consentito di recuperare il rapporto con il padre, che credeva irrimediabilmente compromesso. Si diverte, quasi, a frequentare le sue clienti sgallettate. Peccato solo l'arrivo di Rossana Astri, il volto di Sabrina Ferilli. La donna è una fra le più celebri guru del nuovo femminismo, determinata ad indottrinare le sue simili perché si convincano sia giusto fare a meno degli uomini. Ed è questa convinzione che muove anche Margherita, moglie in crisi di Alfonso. Margherita, interpretata da Ambra Angiolini, diventa un'adepta della Astri, una sua fedele scudiera. Quasi, si scopre ad odiarli, gli uomini, dando vita ad una sorta di guerra tra sessi. Divertita, però. E capace, pure di far emergere le abissali differenze tra il maschile e il femminile, i desideri degli uni e le aspettative, quasi mai soddisfatte, delle altre.
Continua a leggereRiduci
iStock
La nuova applicazione, in parte accessibile anche ai non clienti, introduce servizi innovativi come un assistente virtuale basato su Intelligenza artificiale, attivo 24 ore su 24, e uno screening audiometrico effettuabile direttamente dallo smartphone. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità del servizio clienti e promuovere una maggiore consapevolezza dell’importanza della prevenzione uditiva, riducendo le barriere all’accesso ai controlli iniziali.
Il lancio avviene in un contesto complesso per il settore. Nei primi nove mesi dell’anno Amplifon ha registrato una crescita dei ricavi dell’1,8% a cambi costanti, ma il titolo ha risentito dell’andamento negativo che ha colpito in Borsa i principali operatori del comparto. Lo sguardo di lungo periodo restituisce però un quadro diverso: negli ultimi dieci anni il titolo Amplifon ha segnato un incremento dell’80% (ieri +0,7% fra i migliori cinque del Ftse Mib), al netto dei dividendi distribuiti, che complessivamente sfiorano i 450 milioni di euro. Nello stesso arco temporale, tra il 2014 e il 2024, il gruppo ha triplicato i ricavi, arrivando a circa 2,4 miliardi di euro.
Il progetto della nuova app è stato sviluppato da Amplifon X, la divisione di ricerca e sviluppo del gruppo. Con sedi a Milano e Napoli, Amplifon X riunisce circa 50 professionisti tra sviluppatori, data analyst e designer, impegnati nella creazione di soluzioni digitali avanzate per l’audiologia. L’Intelligenza artificiale rappresenta uno dei pilastri di questa strategia, applicata non solo alla diagnosi e al supporto al paziente, ma anche alla gestione delle esigenze quotidiane legate all’uso degli apparecchi acustici.
Accanto alla tecnologia, resta centrale il ruolo degli audioprotesisti, figure chiave per Amplifon. Le competenze tecniche ed empatiche degli specialisti della salute dell’udito continuano a essere considerate un elemento insostituibile del modello di servizio, con il digitale pensato come strumento di supporto e integrazione, non come sostituzione del rapporto umano.
Fondato a Milano nel 1950, il gruppo Amplifon opera oggi in 26 Paesi con oltre 10.000 centri audiologici, impiegando più di 20.000 persone. La prevenzione e l’assistenza rappresentano i cardini della strategia industriale, e la nuova Amplifon App si inserisce in questa visione come leva per ampliare l’accesso ai servizi e rafforzare la relazione con i pazienti lungo tutto il ciclo di cura.
Il rilascio della nuova applicazione è avvenuto in modo progressivo. Dopo il debutto in Francia, Nuova Zelanda, Portogallo e Stati Uniti, la app è stata estesa ad Australia, Belgio, Germania, Italia, Olanda, Regno Unito, Spagna e Svizzera, con l’obiettivo di garantire un’esperienza digitale omogenea nei principali mercati del gruppo.
Ma l’innovazione digitale di Amplifon non si ferma all’app. Negli ultimi anni il gruppo ha sviluppato soluzioni come gli audiometri digitali OtoPad e OtoKiosk, certificati Ce e Fda, e i nuovi apparecchi Ampli-Mini Ai, miniaturizzati, ricaricabili e in grado di adattarsi in tempo reale all’ambiente sonoro. Entro la fine del 2025 è inoltre previsto il lancio in Cina di Amplifon Product Experience (Ape), la linea di prodotti a marchio Amplifon già introdotta in Argentina e Cile e oggi presente in 15 dei 26 Paesi in cui il gruppo opera.
Già per Natale il gruppo aveva lanciato la speciale campagna globale The Wish (Il regalo perfetto) Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, oggi nel mondo circa 1,5 miliardi di persone convivono con una forma di perdita uditiva (o ipoacusia) e il loro numero è destinato a salire a 2,5 miliardi nel 2050.
Continua a leggereRiduci