2020-08-11
In politica la riservatezza non conta. Fuori subito i nomi dei disonorevoli
L'ultima vergogna di cui si sarebbero macchiati degli eletti spazza via ogni indugio. In questa vicenda nulla deve rimanere privato, gli italiani devono sapere chi ha compiuto questo gesto. Che è legale, ma immorale.Fuori i nomi. Senza se e senza ma. E senza dopo. Subito. I cinque (dis) onorevoli meschini e cialtroni che hanno incassato il bonus Covid da 600 euro, sempre ammesso che esistano davvero, devono essere resi noti. Immediatamente. Senza indugio. E senza scuse. Invocare la legge sulla privacy non ha alcun senso: chi viene eletto in Parlamento, o ha una carica pubblica, ha l'obbligo della trasparenza, tanto è vero che è tenuto a pubblicare le proprie dichiarazioni dei redditi. La tutela della propria riservatezza viene attutita nel momento in cui ci si propone come rappresentanti del popolo. Così, per dire, possiamo conoscere che auto si è comprato un deputato, o un senatore, durante l'anno. E dunque: vi pare sensato che possiamo conoscere che auto si è comprato un parlamentare con i suoi soldi privati e non possiamo conoscere se ha incassato soldi pubblici versati dai contribuenti? Qui stiamo parlando, è evidente, di un contributo pubblico a una persona che riveste un incarico pubblico. Che diavolo c'entra la privacy? Che cosa c'è di privato in questa storia, a parte le istituzioni, naturalmente, che vengono così private di ogni residua decenza? È chiaro che l'origine del male è in una legge fatta come peggio non si potrebbe. Una legge che ha generato soltanto caos e opportunismi, dentro i quali non hanno sguazzato solo (sempre che sia vero) i cinque parlamentari, ma anche altri 2.000 amministratori locali (così pare), imprenditori, professionisti, persino star della tv. Bastava poco per evitare il pasticcio. Bastava, per dire, mettere un tetto di reddito per poter presentare domanda. Non lo hanno fatto. Risultato: la furbata degli onorevoli con il bonus Covid è perfettamente legale. Epperò essa resta perfettamente immorale. Indegna. Vergognosa. Quando si impone a un parlamentare di pubblicare la sua dichiarazione dei redditi non lo si fa perché si pensa che lì dentro ci sia qualcosa di illegale. Ma perché si pensa che la trasparenza possa e debba evitare comportamenti inopportuni a chi sta rappresentando il popolo italiano. Perché allora dovremmo rinunciare a quella trasparenza? Proprio adesso che siamo davanti a un comportamento evidentemente inopportuno (eufemismo)? Perché dobbiamo lasciare che questa furbata (lo ripeto: legale, ma offensiva) rimanga nell'ombra? A chi giova che i cittadini siano tenuti all'oscuro? Il governo e l'Inps hanno già fatto un pasticcio facendo una legge vergognosa. Ora evitino la vergogna bis. Permettere infatti che la notizia circoli (senza smentirla) e non fare i nomi dei colpevoli è da infami. Perché fa partire la caccia alle streghe. Che infatti è partita. Già circolano le ipotesi. I partiti. Tre della Lega. Uno dei 5 stelle. Uno di Italia viva. Italia viva dice: «Nessuno dei nostri coinvolto». Sarà vero? Intanto impazzano le voci. Le insinuazioni. Le indiscrezioni. Le speculazioni. Cinque hanno chiesto. Tre hanno ricevuto. Forse. O forse no. Si fa il nome di un leghista, che smentisce. Si fa il nome di un 5 stelle. Poi si scopre che non ha nemmeno la partita Iva. Veleni. Agguati. Vendette. Possibili vendette. Nemici da colpire. Accuse e controaccuse. Nell'acqua torbida tutto è possibile. Il governo e l'Inps non possono permettersi, sul bonus da 600 euro, un secondo abisso ancor peggio del primo: o smentiscono l'ipotesi circolata dei cinque parlamentari furbetti. O fanno i loro nomi. Tertium non datur. Qualcuno dice: non sono questi i problemi degli italiani. Ci permettiamo di dissentire. Sono questi i problemi degli italiani. Proprio questi. Il problema degli italiani, dal quale tutti gli altri discendono, è che hanno una classe politica che quando viene eletta pensa a sé stessa, alle proprie cariche, alle proprie poltrone, alle proprie prebende, anziché pensare al bene di coloro che l'hanno eletta. E questa vicenda (sempre che sia vera) è la più plastica rappresentazione di questa sconcertante realtà: mentre gli italiani vengono azzoppati dal coronavirus, mentre ci sono bar che chiudono e ristoranti falliti, mentre ci sono cassa integrati che ancora non hanno ricevuto quanto spetta loro, infatti, i parlamentari che fanno? Non provano ad alleviare le sofferenze di coloro che dovrebbero rappresentare. Ma pensano a mettersi in tasca una manciata di monete in più: 600 euro. Come se non bastassero i 13.000 euro al mese… E lo sappiamo tutti benissimo che non sono quei 600 euro per cinque parlamentari a risolvere il problema economico dell'Italia. Ma sappiamo tutti benissimo anche che non si risolve il problema economico dell'Italia (e nessun altro problema) senza una classe politica un po' meno attenta ai propri interessi e un po' più attenta agli interessi degli italiani. Per cui: fuori i nomi. Facciamo chiarezza. Ne guadagnerebbe il dibattito pubblico, anche in vista del referendum di settembre sul taglio dei parlamentari. Qualcuno mormora che all'Inps sapessero dei cinque disonorevoli furbetti già a fine maggio e che la notizia sia stata tenuta nascosta finora per alimentare l'antiparlamentarismo e sostenere, di conseguenza, il partito del sì alla riduzione. Anche queste dietrologie si alimentano nell'acquario reso torbido dal silenzio. Vi dico come la penso: il taglio dei parlamentari è sacrosanto. Zac zac. Perché la democrazia non dipende dal numero dei parlamentari, ma dall'efficienza del suo funzionamento. E dalla sua dignità. È questo Parlamento di cambiacasacche e traditori, pronto a votare anche Belzebù pur di non mollare la cadrega, sempre muto anche di fronte ai provvedimenti autoritari annunciati di notte via Facebook, è il comportamento troppo spesso vergognoso degli eletti che scredita davvero le istituzioni. Che mette a rischio la democrazia. Non il numero dei posti da distribuire: quello interessa difenderlo solo ai partiti. Ma per evitare che anche questo dibattito così importante per il nostro Paese sia avvelenato dall'origine, bisogna fare in modo di spazzare via il venticello del sospetto e del complottismo. E dunque non c'è che una strada. Quella della massima chiarezza. Fuori i nomi. E i cognomi. Subito. Nell'interesse di tutti. Se anche la legge sulla privacy imponesse davvero il silenzio (e non lo credo), il governo cambi la norma. Intervenga subito. Faccia una nota interpretativa, un decreto, quello che serve. È stato capace di chiudere gli italiani dentro casa, può non essere in grado di imporre all'Inps di fare cinque nomi? Ne va della sua (poca) residua dignità. Sempre ammesso, naturalmente, che quei nomi ci siano davvero.
Jose Mourinho (Getty Images)