2018-10-21
In nome del gender e dei diritti trans ora viene censurata pure la scienza
Gli studiosi sgraditi agli attivisti arcobaleno subiscono attacchi. Cento professori inglesi denunciano: libertà di ricerca a rischio.Di questi tempi va per la maggiore il culto della scienza, considerata l'unica depositaria della verità. Si pensa - ingenuamente - che essa sia al di sopra delle polemiche, estranea alla politica e all'ideologia. Ma i fatti dimostrano che le cose stanno in modo decisamente diverso, specie se la scienza prova ad occuparsi di argomenti scottanti, di questioni che infiammano il dibattito pubblico. Quando ciò accade, anche il ricercatore più serio è costretto a piegare il capo, a sottomettersi al pensiero unico ufficialmente riconosciuto. Di recente, negli Stati Uniti, si è verificato un caso clamoroso, di cui dalle nostre parti nessuno a parlato (se non Andrea Cogliati, autore di una puntualissima lettera alla rubrica Italians del Corriere della Sera). La protagonista di questa brutta storia è Lisa Littman, una studiosa autorevole, ricercatrice presso la School of Public Health alla Brown University (ateneo della Ivy League con sede a Providence, negli Usa). Questa signora, qualche mese fa, ha pubblicato uno studio intitolato «Rapid-onset Gender dysphoria in adolescents and young adults: a study of parental report». La ricerca si occupa della disforia di genere negli adolescenti. In particolare, si concentra sulla «disforia di genere a insorgenza rapida». La conclusione a cui giunge la Littman è interessante: dice che «il contagio sociale e tra pari» influisce sui disturbi di identità di genere di ragazzini e ragazzine. In pratica, la studiosa sostiene che l'influenza degli amici e del contesto sociale possa spingere i più giovani a identificarsi come transgender. Questo spiegherebbe il consistente aumento dei casi di disforia negli ultimi anni. E qui sorge il problema. Gli attivisti Lgbt sono sempre pronti a spiegare che il genere è un costrutto sociale, che non dipende dalla biologia ma da numerosi altri fattori. Però questa visione vale solo quando fa comodo. Se ammettiamo che il genere sia, appunto, un costrutto sociale, allora dobbiamo anche ammettere che la società possa influire sulle decisioni degli individui, spingendoli in una direzione piuttosto che un'altra. In questa chiave, le conclusioni della Littman sono cristalline: i giovani possono essere influenzati dagli amici, da ciò che leggono sul Web o vedono in tv. Agli attivisti arcobaleno, però, queste affermazioni non sono piaciute per niente. L'idea che possa essere il «contagio sociale» a spingere gli adolescenti a diventare transgender ha fatto infuriare le associazioni per i diritti arcobaleno. La contraddizione è evidente: finché serve a sostenere la causa trans, va bene affermare che il genere sia edificato socialmente. Se invece qualcuno osa far presente che, forse, è il condizionamento sociale a spingere i giovani verso il cambio di sesso, allora bisogna indignarsi. Curioso cortocircuito, non trovate? Lo studio della Littman, dicevamo, ha suscitato una feroce apposizione da parte delle associazioni Lgbt. E questo malumore ha avuto conseguenze piuttosto gravi. La ricerca della studiosa americana era stata pubblicato da una autorevole rivista scientifica chiamata Plos One. Bene, dopo le proteste arcobaleno, tale rivista ha deciso di condurre un'indagine per rivalutare il lavoro della Littman. Lo avevano già esaminato e vagliato, lo avevano trovato ben fatto e avevano deciso di pubblicarlo. Ma gli attivisti si sono lamentati, così i responsabili di Plos One hanno fatto marcia indietro. La Brown University si è comportata anche peggio. Aveva annunciato con un comunicato stampa l'uscita della ricerca di Lisa Littman, e l'aveva pure pubblicata sul proprio sito Web. Ma ecco che, dopo le contestazioni, tutto è stato rimosso da Internet. Bess Marcus, decano della School of public health, ha spiegato che lo studio della dottoressa Littman «potrebbe essere usato per screditare gli sforzi per sostenere i giovani transgender e potrebbe danneggiare le prospettive dei membri della comunità transgender». Tutto molto semplice: se uno studio scientifico non giova alla battaglia per i diritti dei transessuali, va censurato. Va rimosso dal sito dell'università che lo ha realizzato, va sottoposto a ulteriore revisione allo scopo di scovare qualche imperfezione che possa screditarlo. Fortunatamente, il caso di Lisa Littman ha suscitato lo sdegno di numerosi ricercatori. Centinaia di scienziati hanno firmato una petizione a suo favore. Qualcuno si espresso pubblicamente, come Jeffrey Flier, ex decano della Harvard Medical School, secondo cui il comportamento della Brown University è stato «completamente contrario alla libertà accademica». Eppure, il fatto che certi studiosi non intendano piegarsi ai diktat ideologici non impedisce all'eroticamente corretto di dettare legge. Nel Regno Unito, poi, la situazione è particolarmente grave. Il governo britannico, mesi fa, ha lanciato una consultazione pubblica (che si chiuderà lunedì) per modificare il Gender recognition act. Si tratta della legge, approvata nel 2004, che consente alle persone affette da disforia di genere di cambiare sesso, previo esame da parte di un medico competente. Le associazioni trans vogliono che questo esame sia eliminato, in modo che basti un'autocertificazione per cambiare sesso. In pratica, basterà dichiararsi donna (o uomo) per diventarlo. L'idea - comprensibilmente - non piace non solo ai conservatori, ma pure a molte femministe di sinistra, che vedono all'orizzonte una cancellazione della femminilità. È in questo scenario che esplode il caso di Ann Henderson, rettore dell'università di Edimburgo. Questa signora è di provata fede liberal, da sempre sostiene la causa delle associazioni gay. Eppure, ai primi di ottobre, ha commesso un errore. Tramite Twitter, ha dato notizia di un convegno dedicato alla modifica del Gender recognition act e alle sue ricadute sui diritti femminili. Immediatamente varie organizzazioni studentesche di sinistra sono insorte, accusando la Henderson di transfobia e sommergendola d'insulti. Per tutta risposta, l'università di Edimburgo ha rilasciato un comunicato ufficiale in cui prendeva le distanze dal rettore e ribadiva di essere contraria a ogni forma di discriminazione. Insomma. persino partecipare a un convegno o promuoverlo è proibito. In nome dei «diritti trans», ogni approccio critico va silenziato, censurato, eliminato. Per questo motivo, pochi giorni fa, un gruppo di oltre cento docenti universitari inglesi (medici, sociologi, psicologi, letterati, storici...) ha scritto una lettera aperta denunciando la deriva censoria delle associazioni trans. Secondo i professori, tali associazioni hanno un concetto «onnicomprensivo» di transfobia, cioè vedono discriminazioni ovunque. E questo «riduce la libertà accademica e facilita la censura del lavoro accademico». In effetti, è proprio ciò che sta accadendo: su certi argomenti fare ricerca non si può più, perché si viene accusati di razzismo. Soprattutto, è diventato impossibile occuparsi di temi come la transessualità e la disforia di genere. «Riteniamo che non sia transfobico indagare e analizzare quest'area da una serie di prospettive accademiche critiche», dicono gli studiosi inglesi, i quali chiedono al governo di proteggere le loro ricerche «dall'attacco ideologico». Purtroppo, finora, a trionfare è stata proprio l'ideologia, così forte da schiacciare pure la scienza.
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