
Gérald Darmanin in apprensione, caos nel Paese: evacuati per falsi allarmi bomba Louvre, gare de Lyon e Versailles. Fermato un aggressore in metro a Parigi: era schedato.Il giorno dopo l’attentato al liceo di Arras che è costato la vita al professore di francese Dominique Bernard, la Francia ha toccato con mano gli effetti del l’innalzamento del livello di allerta attentati. Dalla fine della mattinata ieri vari luoghi pubblici sono stati evacuati e poi chiusi. Il primo è stato il museo del Louvre, poi a metà pomeriggio è stata la volta della reggia di Versailles. Poco più tardi è stata evacuata anche una parte della gare de Lyon, la stazione ferroviaria punto di arrivo e partenza dei treni destinati o provenienti dall’Italia e dalla Svizzera. Un uomo già schedato è stato arrestato dopo aver minacciato dei passeggeri della metropolitana parigina. Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, ha dichiarato che la Francia vive in «un’atmosfera evidente di jihadismo», anche se poi ha precisato che nei luoghi sgomberati non c’era «minaccia reale». Sul fronte delle indagini si è appreso che 11 persone erano in stato di fermo. Tra esse: la madre, la sorella e due fratelli del terrorista musulmano Mohamed Mogouchkov, l’assassino del professor Bernard. Nel frattempo, nonostante il dolore, ieri l’istituto Léon Gambetta è rimasto aperto. Meno di ventiquattrore dopo l’attacco compiuto da Mogouchkov, la costernazione era ancora molto forte, sia tra coloro che hanno conosciuto il docente ucciso che tra chi ha avuto contatti con l’attentatore. Tra le testimonianze raccolte dai media francesi si ritrova spesso il ricordo del professor Bernard come un uomo che amava il proprio lavoro di insegnante. Per uno dei suoi studenti, citato da Le Figaro, il docente ucciso era «un po’ severo ma simpatico». Come detto, il liceo di Arras ieri era aperto. Un modo per affermare che il terrorismo, specie quello oscurantista islamico, non è più forte della scuola. Tra l’altro si è scoperto che proprio l’istituzione scolastica e l’insegnamento della storia in particolare erano i veri obiettivi di Mohamed Mogouchkov. Come testimoniato a Bfm tv da Martin Doussau, professore di filosofia al liceo Gambetta, mentre cercava di fermare il terrorista islamico, quest’ultimo gli ha chiesto a più riprese: «Sei un prof di storia?». Sono affiorati anche altri dettagli sulla famiglia Mogouchkov, che avrebbe dovuto essere espulsa dalla Francia già nel 2014 ed è invece rimasta al di là delle Alpi grazie a partiti e ong di sinistra. Arrivati in Francia nel 2008, i coniugi Mogouchkov e i loro figli sono stati «notati» abbastanza rapidamente dalle autorità transalpine. Il padre è stato espulso nel 2018, mentre la richiesta di asilo della madre è stata respinta. Uno dei figli è già in carcere per un progetto di attentato. Quest’ultimo sarebbe Movsar Mogouchkov che, secondo Le Monde, ha svolto il ruolo di «community manager» della jihad islamica. Il quotidiano cita i giudici dell’istruttoria a carico di Movsar Mogouchkov, i quali parlano di un «giovane membro radicalizzato della comunità cecena particolarmente virulento sui social network».Tra gli strenui oppositori all’espulsione della famiglia cecena figurano: la sezione di Rennes del Partito Comunista Francese (Pcf), l’associazione di aiuto ai migrati di ispirazione protestante Cimade, l’associazione dei professori senza frontiere Resf e il Movimento antirazzista Mrap. Alcune testate hanno contattato coloro che, nel 2014, erano responsabili di queste formazioni politiche e associative, ma nessuno ha voluto esprimersi. Oltre al Pcf e alle ong, a dare un aiutino ai Mogouchkov ci ha pensato anche Manuel Valls, che nel 2014 era ministro dell’Interno di François Hollande e che invece, quest’anno, dichiarava a Le Figaro che «dobbiamo premere il tasto stop sull’immigrazione». Ieri Europe 1 ha scoperto che, nel 2014, il Viminale parigino aveva disposto l’annullamento di un provvedimento detentivo per la famiglia cecena. Si è appreso anche che il terrorista non è stato espulso dal territorio francese a causa della protezione che la legge transalpina assicura ai migranti minori di 13 anni. Se un bambino arriva sul suolo francese prima di questa età, anche una volta cresciuto, diventa impossibile espellerlo. La presenza della famiglia del terrorista islamico di origine cecena continua quindi ad alimentare le polemiche al di là delle Alpi. Polemiche che hanno riguardato anche le parole pronunciate dal ministro Darmanin, durante il tg delle 20 di venerdì su Tf1, che annunciando l’innalzamento del livello di allerta attentati ha praticamente detto ai francesi di stare in guardia. Fa discutere anche il sostegno ad Hamas confermato da varie associazioni di studenti universitari di sinistra. Le Figaro ha fatto un giro in alcuni atenei. A Tolosa o Poitiers ha trovato scritte come «uccidete i coloni israeliani». Polemiche anche per il silenzio di vari vip. Ad esempio c’è chi ha notato che Kylian Mbappé non ha definito «piccoli angeli» i bimbi sgozzati da Hamas, come invece aveva fatto per Nahel Merzouk, il diciassettenne già noto alla polizia, la cui morte ha provocato le sommosse delle banlieue lo scorso luglio. Altri hanno invece ricordato che, in settimana, il calciatore Nabil Fekir, già titolare nella nazionale di Parigi, ha scritto su instagram che «Allah non è disattento a quello che fanno in Palestina».
2025-10-21
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(Arma dei Carabinieri)
Ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 19 persone indagate per associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro. Con l’aggravante del metodo mafioso.
Questa mattina, nei comuni di Gallipoli, Nardò, Galatone, Sannicola , Seclì e presso la Casa Circondariale di Lecce, i Carabinieri del Comando Provinciale di Lecce hanno portato a termine una vasta operazione contro un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti che operava nella zona ionica del Salento. L’intervento ha mobilitato 120 militari, supportati dai comandi territoriali, dal 6° Nucleo Elicotteri di Bari Palese, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori «Puglia», dal Nucleo Cinofili di Modugno (Ba), nonché dai militari dell’11° Reggimento «Puglia».
Su disposizione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Lecce, su richiesta della Procura Distrettuale Antimafia, sono state eseguite misure cautelari di cui 7 in carcere e 9 ai domiciliari su un totale di 51 indagati. Gli arrestati sono gravemente indiziati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, rapina con armi, tentata estorsione, incendio, lesioni personali aggravate dalla deformazione dell’aspetto e altro, con l’aggravante del metodo mafioso.
Tutto è cominciato nel giugno del 2020 con l’arresto in flagranza per spaccio di stupefacenti avvenuto a Galatone di un giovane nato nel 1999. Le successive investigazioni avviate dai militari dell’Arma hanno consentito di individuare l’esistenza di due filoni parallel ed in costante contatto, che si spartivano le due principali aree di spaccio della zona ionica del Salento, suddivise tra Nardò e Gallipoli. Quello che sembrava un’attività apparentemente isolata si è rivelata ben presto la punta dell’iceberg di due strutture criminali ramificate, ben suddivise sui rispettivi territori, capaci di piazzare gradi quantitativi di droga. In particolare, l’organizzazione che operava sull’area di Nardò è risultata caratterizzata da una struttura verticistica in grado di gestire una sistematica attività di spaccio di stupefacenti aggravata dal tipico ricorso alla violenza, in perfetto stile mafioso anche mediante l’utilizzo di armi, finalizzata tanto al recupero dei crediti derivanti dalla cessione di stupefacente, quanto al controllo del territorio ed al conseguente riconoscimento del proprio potere sull’intera piazza neretina.
Sono stati alcuni episodi a destare l’attenzione degli inquirenti. Un caso eclatante è stato quando,dopo un prelievo di denaro presso un bancomat, una vittima era stata avvicinata da alcuni individui armati che, con violenza e minaccia, la costringevano a cedere il controllo della propria auto.
Durante il tragitto, la vittima veniva colpita con schiaffi e minacciata con una pistola puntata alla gamba destra e al volto, fino a essere portata in un luogo isolato, dove i malviventi la derubavano di una somma in contanti di 350 euro e delle chiavi dell’auto.
Uno degli aggressori esplodeva successivamente due colpi d’arma da fuoco in direzione della macchina, uno dei quali colpiva lo sportello dal lato del conducente.
In un'altra circostanza invece, nei pressi di un bar di Nardò, una vittima era stata aggredita da uno dei sodali in modo violento, colpendola più volte con una violenza inaudita e sproporzionata anche dopo che la stessa era caduta al suolo con calci e pugni al volto, abbandonandolo per terra e causandogli la deformazione e lo sfregio permanente del viso.
Per mesi i Carabinieri hanno seguito le tracce delle due strutture criminose, intrecciando intercettazioni, pedinamenti, osservazioni discrete e perfino ricognizioni aeree. Un lavoro paziente che ha svelato un traffico continuo di cocaina, eroina, marijuana e hashish, smerciati non solo nei centri abitati ma anche nelle località marine più frequentate della zona.
Nell’organizzazione, un ruolo di primo piano è stato rivestito anche dalle donne di famiglia. Alcune avevano ruoli centrali, come referenti sia per il rifornimento dei pusher sia per lo spaccio al dettaglio. Altre gestivano lo spaccio e lo stoccaggio della droga, controllavano gli approvvigionamenti e le consegne, alcune avvenute anche alla presenza del figlio minore di una di loro. Spesso utilizzavano automobili di terzi soggetti estranei alla compagine criminale con il compito di “apripista”, agevolando così lo spostamento dello stupefacente.
Un’altra donna vicina al capo gestiva per conto suo i contatti telefonici, organizzava gli incontri con le altre figure di spicco dell’organizzazione e svolgeva, di fatto, il ruolo di “telefonista”. In tali circostanze, adottava cautele particolari al fine di eludere il controllo delle forze dell’ordine, come l’utilizzo di chat dedicate create su piattaforme multimediali di difficile intercettazione (WhatsApp e Telegram).
Nell’azione delle due strutture è stato determinante l’uso della tecnologia e l’ampio ricorso ai sistemi di messaggistica istantanea da parte dei fruitori finali, che contattavano i loro pusher di riferimento per ordinare le dosi. In alcuni casi gli stessi pusher, per assicurarsi della qualità del prodotto ceduto, ricontattavano i clienti per acquisire una “recensione” sullo stupefacente e quindi fidelizzare il cliente.
La droga, chiamata in codice con diversi appellativi che ricordavano cibi o bevande (come ad es. “birra” o “pane fatto in casa”), veniva prelevata da nascondigli sicuri e preparata in piccole dosi prima di essere smerciata ai pusher per la diffusione sul territorio. Un sistema collaudato che ha permesso alle due frange di accumulare ingenti profitti nel Salento ionico, fino all’intervento di oggi.
Il bilancio complessivo dell’operazione è eloquente: dieci arresti in flagranza, il sequestro di quantitativi di cocaina, eroina, hashish e marijuana, che avrebbero potuto inondare il territorio con quasi 5.000 dosi da piazzare al dettaglio.
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Lecce ha ritenuto gravi gli elementi investigativi acquisiti dai Carabinieri della Compagnia di Gallipoli, ha condiviso l’impostazione accusatoria della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, emettendo dunque l’ordinanza di custodia cautelare a cui il Comando Provinciale Carabinieri di Lecce ha dato esecuzione nella mattinata di oggi.
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