Gli immigrati non soffrono la crisi. Negli ultimi due anni boom di rimesse

Negli ultimi anni salite le rimesse degli immigrati
Negli ultimi due anni le rimesse inviate dagli immigrati residenti in Italia alle loro famiglie nei Paesi d’origine sono aumentate fin quasi a toccare la soglia record degli 8 miliardi di euro. L’aumento, che coincide con gli anni della pandemia, è in controtendenza con i dati dell’ultimo decennio.
Infatti secondo uno studio della Fondazione Leone Moressa, che ha elaborato i dati della Banca d’Italia, dal 2012 in poi l’ammontare dei soldi inviati dagli immigrati ai loro parenti era diminuito costantemente: da 7,2 miliardi a 5,8 il primo anno, fino a scendere progressivamente ai 5,2 miliardi del 2017.
Nel 2018 si è registrato un incremento a 5,9 miliardi, in parte spiegato però da Bankitalia con l’introduzione in quell’anno di una regola che imponeva «l’obbligo di segnalazione a nuove categorie di operatori di money transfer che solo in parte aderivano alla segnalazione dei flussi su base volontaria». Nel 2019 la cifra delle rimesse non è aumentata di molto, attestandosi a 6,1 miliardi. Un doppio balzo si è invece registrato come si diceva nel 2020 (6,9 miliardi) e l’anno scorso (7,7 miliardi, vicino al record di 8 miliardi del 2011).
Col termine «rimessa», spiega Bankitalia, «si indica la parte di reddito risparmiata da un lavoratore straniero e inviata al suo nucleo familiare nel paese d’origine». Ad essere monitorati sono ovviamente solo i flussi di denaro che scorrono lungo i canali ufficiali, dai money transfer alle banche alle poste. Rimane fuori dai radar il denaro che un immigrato porta con sé in contanti quando torna per qualche tempo nella patria d’origine (l’impossibilità di viaggiare nel 2020 a causa delle restrizioni anti-Covid può spiegare in parte l’aumento dei trasferimenti attraverso gli altri canali).
VERSO DOVE E DA DOVE
Nel 2021 la prima destinazione per le rimesse è stata il Bangladesh, dove sono arrivati 873 milioni di euro, cioè l’11,3% del totale delle rimesse. I bengalesi sono anche i donatori più ricchi (460 euro al mese a testa, mentre la media relativa al totale di 5,2 milioni di residenti stranieri in Italia è di 125 euro a testa). Seguono il Pakistan (597 milioni di euro), le Filippine (591 milioni), la Romania (564 milioni), il Marocco (548 milioni), il Senegal (493 milioni), l’India (405 milioni).
L’Ucraina si è piazzata al decimo posto, con 319 milioni di euro ricevuti, il 3,6% del totale. Da notare che, se si esclude la Polonia, l’Italia è il Paese europeo che prima della guerra ospitava il maggior numero di ucraini (235 mila). Da dove partono invece le rimesse? Soprattutto dalla Lombardia (1,7 miliardi, il 22,7% del totale), seguita da Lazio (1,1 miliardi), Emilia Romagna (791 milioni), Veneto (636 milioni) e Toscana (607 milioni). Se consideriamo invece le province, le prime tre sono Roma (965 milioni, il 12,5% del totale), Milano (860 milioni) e Napoli (364 milioni).
Nel nostro Paese il saldo delle rimesse è diventato negativo dalla metà degli anni ‘90. Da quel momento, cioè, i soldi mandati nelle loro patrie d’origine dagli stranieri residenti in Italia hanno superato i soldi mandati in Italia dagli italiani residenti all’estero (500 milioni di euro nel 2019).
Tra i massimi esponenti del Divisionismo italiano e fra i più sensibili osservatori del mondo naturale, a Giovanni Segantini Bassano del Grappa dedica una retrospettiva (sino al 22 febbraio 2026) di oltre 100 capolavori, mostra che inaugura ad oltre dieci anni dall’ultima esposizione italiana dedicata al grande Maestro trentino.
Nato ad Arco di Trento nel 1858, quando quella parte d’Italia era ancora terra austriaca, un’adolescenza travagliata, trascorsa tra Milano e la Valsugana, segnata anche da un arresto per vagabondaggio e un periodo in riformatorio, Giovanni Segantini (1858-1899), che nonostante le vicende personali riuscì a frequentare per quasi un triennio l’Accademia di Brera e stringere amicizie negli ambienti artistici cittadini che ne influenzarono profondamente la sua arte , è stato un artista innovativo e poliedrico, capace di catturare la bellezza della natura e la spiritualità dell'esistenza umana come pochi altri hanno saputo fare.
Visceralmente legato alla sua terra d’origine e all’Engadina (il luogo che lo ha ospitato negli ultimi anni della sua breve vita), il suo stile, caratterizzato da una profonda connessione spirituale con la montagna e la vita rurale, ha lasciato il segno nella storia dell’arte italiana e internazionale, che lo annovera fra il massimi esponenti ( se non il più importante..) del Divisionismo italiano : punto d’arrivo della sua parabola artistica , il «Segantini divisionista» abbandonerà via via i soggetti agresti per il «simbolismo naturalistico » e per una più personale interpretazione del rapporto panteistico tra Uomo e Natura, sostituendo alla tecnica tradizionale dei colori mischiati sulla tavolozza singole, piccole, nette pennellate posizionate l’una accanto all’altra sulla tela, per formare, nell’insieme, l’immagine. Mosso da una ricerca spasmodica, quasi ossessiva, di riscrivere in termini pittorici gli spazi naturali e di rappresentare la forza evocativa delle scene di vita montana che lo circondavano, Segantini, soprattutto nell’ultimo decennio della sua vita, visse quasi in totale isolamento, alimentando così il mito di un artista « eroicamente solitario ». In realtà, la sua figura e le sue straordinarie opere vanno inquadrate nei contesti artistici e culturali in cui visse e che lo influenzarono, elementi fondamentali per comprendere a fondo questo grande artista. Ed è questo l’obiettivo della mostra allestita fino al 22 febbraio 2026 ai Musei Civici di Bassano del Grappa, un'occasione davvero unica per ammirare la produzione artistica di Segantini in tutta la sua complessità e bellezza. Come ha ben sottolineato Barbara Guidi, Direttrice dei Musei Civici di Bassano del Grappa, «…la mostra sfata il mito del genio isolato per consegnarci un Segantini perfettamente integrato nei dibattiti figurativi del proprio tempo, audace sperimentatore di tecniche pittoriche, inventore di un’iconografia della montagna così potentemente evocativa, carica di poesia e sentimento, da risultare eterna e inscalfibile nella sua laica sacralità. Un’eternità oggi messa in discussione dal repentino cambiamento climatico che rende questo soggetto prepotentemente attuale».
La Mostra
Fra le iniziative più attese dell’Olimpiade Culturale di Milano Cortina 2026, un’iniziativa che accompagna i Giochi Olimpici e Paraolimpici Invernali con un ricco calendario di eventi culturali diffusi sul territorio nazionale, la retrospettiva dedicata a Giovanni Segantini offre al visitatore un percorso espositivo vario e articolato, composto da circa 100 opere tra dipinti, disegni, incisioni, ma anche fotografie e documenti archivistici. Curata da Niccolò D’Agati, la mostra è divisa in quattro sezioni, ognuna delle quali esplora un aspetto diverso dell'arte di Segantini: si parte dalla fase milanese, segnata dall'incontro con il gallerista e sodale Vittore Grubicy De Dragon, che influenzerà radicalmente l'evoluzione del suo percorso artistico, per arrivare agli ultimi anni, quando l’arte di Segantini si fa più sperimentale e caratterizzate da una profonda ricerca sulla luce e il colore. Nel mezzo, il periodo brianzolo, con quel crescente interesse per la natura e la rappresentazione della comunione tra uomo, paesaggio e animali e poi la fase svizzera, forse la più nota, durante la quale Segantini si dedica alle sue grandi e celebri composizioni della vita montana, nelle quali si legge la sua personale interpretazione del rapporto tra l’Uomo e il Creato. Opera dopo opera, passando da Ave Maria a trasbordo a Ritorno dal bosco, da Pascoli di primavera a Dopo il temporale, quello che emerge è la straordinaria capacità di Segantini di catturare la bellezza della natura e di rappresentare la spiritualità dell'esistenza umana.
Se chi ben comincia è a metà dell’opera, allora si apre una stagione con i fiocchi ai piedi del Monte Rosa. L’inverno debutta tra le valli e le vette di Ayas, Gressoney e Alagna, portando in pista una «montagna» di novità, esperienze e tecnologie di ultima generazione.
Dopo un’estate da record, con presenze in crescita del 2% e incassi saliti del 3%, il sipario si alza ora su Monterosa Ski. In scena uno dei comprensori più autentici dell’arco alpino, da vivere fino al 19 aprile (neve permettendo) con e senza gli sci ai piedi, tra discese impeccabili, panorami che tolgono il fiato e quella calda accoglienza che da sempre distingue questo spicchio di territorio che si muove tra Valle d’Aosta e Piemonte, abbracciando le valli di Ayas e Gressoney e la Valsesia.
Protagoniste assolute dell’inverno al via, le novità.
A Gressoney-Saint-Jean il baby snow park Sonne è fresco di rinnovo e pronto ad accogliere i piccoli sciatori con aree gioco più ampie, un nuovo tapis roulant per prolungare il divertimento delle discese su sci, slittini e gommoni, e una serie di percorsi con gonfiabili a tema Walser per celebrare le tradizioni della valle. Poco più in alto, a Gressoney-La-Trinité, vede la luce la nuova pista di slittino Murmeltier, progetto ambizioso che ruota attorno a 550 metri di discesa serviti dalla seggiovia Moos, illuminazione notturna, innevamento garantito e la possibilità di scivolare anche sotto le stelle, ogni mercoledì e sabato sera.
Da questa stagione, poi, entra pienamente in funzione la tecnologia bluetooth low energy, che consente di usare lo skipass digitale dallo smartphone, senza passare dalla biglietteria. Basta tenerlo in tasca per accedere agli impianti, riducendo così plastica e attese e promuovendo una montagna più smart e sostenibile, dove la tecnologia è al servizio dell’esperienza.
Sul fronte di costi e promozioni, fioccano agevolazioni e formule pensate per andare incontro a tutte le tasche e per far fronte alle imprevedibili condizioni meteorologiche. A partire da sci gratuito per bambini sotto gli otto anni, a sconti del 30 e del 20 per cento rispettivamente per i ragazzi tra gli 8 e i 16 anni e i giovani tra i 16 e i 24 anni , per arrivare a voucher multiuso per i rimborsi skipass in caso di chiusura degli impianti . «Siamo più che soddisfatti di poter ribadire la solidità di una destinazione che sta affrontando le sfide di questi anni con lungimiranza. Su tutte, l’imprevedibilità delle condizioni meteo che ci condiziona in modo determinante e ci spinge a migliorare le performance delle infrastrutture e delle modalità di rimborso, come nel caso dei voucher», dice Giorgio Munari, amministratore delegato di Monterosa Spa.
Introdotti con successo l’inverno scorso, i voucher permettono ai titolari di skipass giornalieri o plurigiornalieri, in caso di chiusure parziali o totali del comprensorio, di avere crediti spendibili in acquisti non solo di nuovi skipass e biglietti per impianti, ma anche in attività e shopping presso partner d’eccellenza, che vanno dal Forte di Bard alle Terme di Champoluc, fino all’avveniristica Skyway Monte Bianco, passando per ristoranti di charme e botteghe artigiane.
Altra grande novità della stagione, questa volta dal respiro internazionale, l’ingresso di Monterosa Ski nel circuito Ikon pass, piattaforma americana che raccoglie oltre 60 destinazioni sciistiche nel mondo.
«Non si tratta solo di un’inclusione simbolica», commenta Munari, «ma di entrare concretamente nei radar di sciatori di Stati Uniti, Canada, Giappone o Australia che, già abituati a muoversi tra mete sciistiche di fama mondiale, avranno ora la possibilità di scoprire anche il nostro comprensorio». Comprensorio che ha tanto da offrire.
Sotto lo sguardo dei maestosi 4.000 del Rosa, sfilano discese sfidanti anche per i più esperti sul carosello principale Monterosa Ski 3 Valli - 29 impianti per 52 piste fino a 2.971 metri di quota - e percorsi più soft, adatti a principianti e bambini, nella ski area satellite di Antagnod, Brusson, Gressoney-Saint-Jean, Champorcher e Alpe di Mera; fuoripista da urlo nel regno imbiancato di Monterosa freeride paradise e tracciati di sci alpinismo d’eccezione - Monterosa Ski è il primo comprensorio di sci alpinismo in Italia. Il tutto accompagnato da panorami e paesaggi strepitosi e da un’accoglienza made in Italy che conquista a colpi di stile e atmosfere genuine. Info: www.monterosaski.eu.
Alla Scala trionfa il nero (e qualche sfumatura): la Prima tra glamour, assenze e record d’incassi
Non c’è dubbio che un’opera dirompente e sensuale, che vede tradimenti e assassinii, censurata per la sua audacia e celebrata per la sua altissima qualità musicale come Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Dmítrij Šostakóvič, abbia influenzato la scelta di stile delle signore presenti.
«Quando preparo gli abiti delle mie clienti per la Prima della Scala, tengo sempre conto del tema dell’opera», spiega Lella Curiel, sessanta prime al suo attivo e stilista per antonomasia della serata più importante del Piermarini. Così ogni volta la Prima diventa un grande esperimento sociale, di eleganza ma anche di mise inopportune. Da sempre, la platea ingioiellata e in smoking, si divide tra chi è qui per la musica e chi per mostrarsi mentre finge di essere qui intendendosene. Sul piazzale, lo show comincia ben prima del do di petto. Le signore scendono dalle auto con la stessa espressione di chi affronta un red carpet improvvisato: un occhio al gradino e uno ai fotografi. Sono tiratissime, ma anche i loro accompagnatori non sono da meno, alcuni dei quali con abiti talmente aderenti che sembrano più un atto di fede che un capo sartoriale.
È il festival del «chi c’è», «chi manca» ma tutti partecipano con disinvoltura allo spettacolo parallelo: quello dei saluti affettuosi, che durano esattamente il tempo di contare quanti carati ha l’altro. Mancano sì il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio, il presidente del Senato e il presidente della Camera ma gli aficionados della Prima, e anche tanti altri, ci sono tutti visto che è stato raggiunto il record di biglietti venduti, quasi 3 milioni di euro d’incasso.
Sul palco d'onore, con il sindaco Beppe Sala e Chiara Bazoli (in nero Armani rischiarato da un corpetto in paillettes), il ministro della Cultura Alessandro Giuli, l’applaudita senatrice a vita Liliana Segre, il presidente di Regione Lombardia, Attilio Fontana accompagnato dalla figlia Cristina (elegantissima in nero di Dior), il presidente della Corte Costituzionale Giovanni Amoroso, i vicepresidenti di Camera e Senato Anna Ascani e Gian Marco Centinaio e il prefetto di Milano Claudio Sgaraglia. Nero imperante, quindi, nero di pizzo, di velluto, di chiffon ma sempre nero. Con un tocco di rosso come per l’abito di Maria Grazia compagna di Giuseppe Marotta («è un vestito di sartoria, non è firmato da nessun stilista»), con dettagli verdi scelti da Diana Bracco («sono molto rigorosa»). Tutto nero l’abito/cappotto di Andrée Ruth Shammah («metto sempre questo per la Prima con i gioielli colorati di mia mamma»). E così quello di Fabiana Giacomotti molto scollato sulla schiena («è di Balenciaga, l’ultima collezione di Demna»).
Ma esce dal coro Barbara Berlusconi, la più fotografata, in un prezioso abito di Armani dalle varie sfumature, dall’argento al rosso al blu («ho scelto questo abito che avevo già indossato per celebrarlo»), accompagnata da Lorenzo Guerrieri. Fresca di nomina nel cda della Scala (voluta da Fontana), si è soffermata con i giornalisti. «La scelta di Šostakovič - afferma - conferma che la Scala non è solo un luogo di memoria: è anche un teatro che ha il coraggio di proporre opere che fanno pensare, che interrogano il pubblico, lo sfidano, e che raccontano la complessità del nostro tempo. La Lady è un titolo "ruvido", forte, volutamente impegnativo, che non cerca il consenso facile. È un'opera intensa, profonda, scomoda, ma anche attualissima per i temi che propone». E aggiunge: «Mio padre amava l'opera e ho avuto il piacere di accompagnarlo parecchi anni fa a una Prima. Questo ruolo nel cda l'ho preso con grande impegno per aiutare la Scala a proseguire nel suo straordinario lavoro». Altra componente del cda, Melania Rizzoli, in nero vintage dell’amica Chiara Boni, arrivata con il figlio Alberto Rizzoli. In nero Ivana Jelinic, ad di Enit, agenzia nazionale del Turismo. In blu firmato Antonio Riva, Giulia Crespi moglie di Angelo, direttore della Pinacoteca di Brera. In beige Ilaria Borletti Buitoni con un completo confezionato dalla sarta su un suo disegno. Letteralmente accerchiati da giornalisti, fotografi e telecamere Pierfrancesco Favino con la moglie Anna Ferzetti, Mahmood in Versace («mi sento regale») e Achille Lauro che dice quanto sia importante che l’opera arrivi ai giovani. Debutto lirico per Giorgio Pasotti mentre è una conferma per Giovanna Salza in Armani e ospite abituale è l’artista Francesco Vezzoli.
Poi, in 500, alla cena di gala firmata dallo chef 2 stelle Michelin nella storica Società del Giardino Davide Oldani. E così la Prima resta quel miracolo annuale in cui tutti, almeno per una sera, riescono a essere la versione più scintillante (e leggermente autoironica) di sé stessi.



























