2019-09-05
Il vicedisastro mollò Letta per Renzi. Si riprende la Cultura
Dario Franceschini ha lavorato per l'accordo nonostante le risse con Beppe Grillo, che lo accusava di aiutare la carriera della moglie.Rieccolo. Dario Franceschini, dopo 15 mesi di ingiustificabile esilio, torna ministro della Cultura. Ruolo che gli aggrada immensamente. La nomina era nell'aria. E lui, aria compassata e ciuffo discolo, bruciava d'ardore. Tutto è bene quel che finisce bene. Dario si riaccomoda laddove aveva lasciato l'anima aggiungendo la delega al Turismo. Di più: diventa capo delegazione dei ministri del Pd. Una sorta di vicepremier ombra. A cui si aggiunge l'onore di essere, tra i novizi, l'unico ex ministro dem riconfermato.Tutto meritatissimo. Nei negoziati con i 5 stelle il suo ruolo è stato decisivo. Franceschini ora può finalmente convolare a nozze con i grillini, che pure non hanno esitato in passato a colpirlo sopra la cintola: dritto al cuore. Fu il più meschino dei torti. A maggio 2013 il nostro afferra il telefono e digita incauto: «Caro, se voti a Roma posso proporti di dare la preferenza a Michela Di Biase, la mia compagna, che si candida in Consiglio comunale?». Poi, colmo di premura, invia l'sms ad amici e parenti. L'innocente invito finisce però tra le grinfie di Beppe Grillo, demiurgo del nascituro governo. Il fondatore dei 5 stelle condisce il suo sfottente post con la solita ribalderia: «Si sa, tutti teniamo famiglia». Mentre Michela, 23 anni in meno del fascinoso e attuale marito, non è una miracolata: consigliere municipale dal 2006, a Centocelle, a quel tempo punta lecitamente al grande salto. E invece Grillo pubblica il messaggino, accompagnato da una foto di Franceschini, abbigliato con berretto da capotreno. Lui si difende: «Ho mandato un sms dal mio cellulare a poco più di una decina di amici per chiedere di votare la mia compagna, che fa politica da molto prima di conoscermi. C'è qualcosa di male?». Insomma, motivi per mettere una croce sopra i futuri alleati perfino sovrabbondavano. Ma il cattolico Dario non usa portar rancore. Le ragioni di Stato sopravanzano ogni piccineria. E chi meglio di lui al vertice dell'italica cultura? Così è passato sopra perfino l'altro, e ancor più subdolo, dileggio subito dal solito Grillo. «Fedez smaschera il conflitto d'interessi con la Siae di Franceschini» scrive in un tweet a giugno 2017. Ancora una volta, gli attacchi riguardano la moglie. Il rapper sostiene che la Di Biase si occupa di gestire il patrimonio immobiliare della Società italiana autori editori: la Siae, appunto. Insinuazione che costringe Franceschini a querelare Fedez e a biasimare l'incauto comico.Per Dario è acqua passata. I più perfidi ne ipotizzano i motivi: inguaribile attaccamento al potere, sfrenata mania per il comando, attitudine alle trame di Palazzo. La prova regina risiederebbe in un episodio di qualche anno addietro. Febbraio 2014: il governo guidato da Enrico Letta appare moribondo. Matteo Renzi ha appena pronunciato il suo mortifero: «Enrico stai sereno». L'allora premier vola però incautamente in Russia per l'inaugurazione delle Olimpiadi invernali. Prima di imbarcarsi, si raccomanda però con Franceschini, sodale di gioventù e suo ministro per i Rapporti con il Parlamento. Dovrà esser lui a vegliare sulle manovre del machiavellico fiorentino e a tenerlo costantemente informato. Dario s'incontra dunque più volte con i renziani. Di ritorno alla Russia, giurano i testimoni, Letta però l'avrebbe assalito: «Ti ho creduto, quando mi giuravi che quelle riunioni le facevi per il mio governo. Scopro invece che trattavi per Renzi. Mi hai pugnalato alle spalle». Franceschini, ricordano i presenti, si sarebbe limitato a carezzarsi la barba, pregustando l'incarico ai Beni culturali.Malignità. Il suo segreto va ricercato altrove: cuore d'oro e senso del dovere. Già un anno fa, era disposto a seppellire l'ascia di guerra e tentare l'avventura, poi naufragata, con i grillini. Anche allora, con devozione, si sarebbe immolato per assurgere allo scranno ministeriale. Purtroppo le cose non vanno come sperato. Gli preferiscono i leghisti. Dario mastica amaro. Ma sa che, prima o poi, il suo momento tornerà. Da ieri è bisministro. Pronto a richinarsi sulle sudate carte. Ferrarese, classe 1958, tre figli, divorziato, risposato, figlio d'arte. Il padre, Giorgio, fu deputato Dc negli anni Cinquanta. Già demitiano, prodiano e renziano, Franceschini è alla quinta legislatura. Un highlander, oramai. Nel 2009, per otto mesi, fu perfino segretario del Pd. Adesso promette di ricominciare il lavoro interrotto al ministero. Per cui incolse pure in qualche scivolone. L'ultimo l'ha rivelato alla Verità l'ex sottosegretario ai Beni culturali, Lucia Borgonzoni. La leghista accusa Franceschini d'aver «svenduto» alla Francia i 500 anni del nostro Leonardo da Vinci. Saranno celebrati in pompa magna al Louvre con un'imminente mostra. Grazie, insinua la Borgonzoni, alla supposta desistenza imposta ai direttori dei musei italiani. Polemica che segue quella lanciata a gennaio 2018 da un'ottantina di ex funzionari, storici dell'arte e archeologi. «Il codice etico del ministero», scrissero, «imbavaglia sovrintendenti e direttori, non consentendo loro di denunciare caos e paralisi create da una pretesa riorganizzazione a colpi di decreti ed emendamenti». Virulento attacco alla riforma Franceschini, improntata su presunti risparmi ed efficienze. Niente paura, però. Dario è tornato. Armato dell'usuale e disinteressato amor patrio.
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