2018-09-15
«Il viadotto del mio maestro è venuto giù per l’incuria»
Parla Romano Tucci lo storico collaboratore dell'ingegner Morandi: «Lui specificò subito che gli stralli necessitavano di manutenzione che è mancata. Fosse ancora fra noi, si sarebbe ucciso».Romano Tucci ha 79 anni, è stato per oltre un trentennio «la mano» di Riccardo Morandi, l'ingegnere che ha progettato il ponte di Genova caduto il 14 agosto, e non ha mai parlato con un giornalista. Ma quando ha sentito attaccare il professore con cui ha lavorato tutta la vita, e quando ha visto proporre soluzioni «inutilmente complicate e costose» per la ricostruzione, ha deciso di uscire allo scoperto e spiegare un po' di cose. Signor Tucci, per quanto tempo ha lavorato nello studio del professor Morandi? «Oltre 30 anni. Sono entrato che ne avevo 18, a metà degli anni '50, e in studio c'era una cinquantina di persone. C'erano ingegneri e architetti che venivano a lavorare gratis dagli Usa o dalla Svizzera, pur di stare gomito a gomito col Professore, che già all'epoca era un'autorità indiscussa». Che tipo era?«Aveva una straordinaria cultura di base, umanistica, con un grande amore per la letteratura e il cinema». E lei che faceva?«Il primo giorno, a Roma, mi hanno messo davanti una trave precompressa e mi hanno detto di farne l'armatura. Mi sono dato malato, perché avevo capito che era urgente e così pensavo di sfangarla. Torno e la ritrovo sul tavolo. A quel punto mi sono dato da fare».E dopo l'incontro con la trave in cemento precompresso?«Sono diventato la sua mano. Lui faceva i disegni di getto con il matitone, poi me li passava e io facevo disegni tecnici veri e propri. Inoltre lo seguivo in molti sopralluoghi e sui cantieri, dove lui, a differenza di molti grandi progettisti, andava regolarmente con tanto di scarponcini». Ha fatto così anche per il ponte sul Polcevera?«Faceva sempre così. Prima faceva una lunga passeggiata, percorreva il tracciato a piedi varie volte per rendersi conto delle difficoltà al momento dell'esecuzione. E girava con il martelletto, per verificare le risonanze del calcestruzzo». Come ha ottenuto la progettazione di Genova?«Guardi, Morandi non aveva appoggi politici, anche se so che era di idee socialdemocratiche, ed era universalmente ritenuto un numero uno». Torniamo a Genova, che cosa ricorda della costruzione del ponte?«Ricordo che il Professore era sempre lì, in Liguria, e che per 4 anni abbiamo lavorato in modo febbrile, con la coscienza che stavamo partecipando a un'impresa straordinaria». Straordinaria, però il ponte è crollato. Che cosa avrebbe detto o fatto Morandi, se fosse stato ancora in vita?«Per come l'ho conosciuto probabilmente si sarebbe ucciso. Ma se fosse qua, si sarebbe offerto di ricostruirlo». Ma Morandi, fatto il ponte sul Polcevera, se n'è poi disinteressato?«Assolutamente no. Ha lanciato vari messaggi, per sensibilizzare chi doveva far manutenzione sul fatto che bisognava intervenire sugli stralli». Secondo lei, com'è caduto?«Hanno ceduto gli stralli, mi sembra chiaro, perché dalle immagini si vede che si è verificata una torsione, il carico si è posto in modo decentrato. E lo ripeto: con una giusta manutenzione degli stralli, queste 43 morti si potevano evitare». Quindi, per lei, non c'erano errori di progettazione?«No e neppure fulmini o esplosioni, tanto per essere chiari. Hanno ceduto gli stralli e basta». Lei non voleva fare questa intervista, ma poi mi ha detto che, a parte difendere la memoria di Morandi, voleva fare qualcosa per i cittadini di Genova. Che cosa intendeva?«Intendo dire che i genovesi hanno bisogno che l'opera venga demolita e ricostruita in tempi rapidi e con i giusti costi. Ma di questo parliamo dopo. Ci sono anche gli sfollati…»Ecco, all'epoca che cosa c'era sotto il ponte, quando l'avete progettato?«Credo al massimo qualche capannone. Mica tutte quelle case!»E quelle case, secondo lei, ci dovevano essere? «Ma sta scherzando? Non ci dovevano essere no. S'immagina il professor Morandi che fa il suo sopralluogo tra le case?» E la salsedine?«Altra fesseria, opere del genere sono costruite con materiali che resistono alla salsedine». Senta, però il famoso ponte sulla laguna salata in Venezuela, sempre progettato da Morandi, è crollato pure quello…«Lì è successo che una nave, che è passata dalla campata sbagliata per un guasto ai comandi, ha tirato giù un pilastro. Ma a parte l'errore umano, quando Morandi fece quel ponte disse alle autorità locali che sarebbe stato utile proteggere i piloni con dei cassoni galleggianti ancorati al fondo. Ma loro non li hanno fatti per risparmiare qualche soldo». Veniamo alla demolizione. Come andrebbe fatta?«Ho sentito parlare demolitori di vario genere, come se demolire un ponte, e soprattutto quegli stralli che una volta sganciati possono avere traiettorie imprevedibili, fosse un lavoro come un altro». E per la ricostruzione? Ha visto il progetto di Renzo Piano e le altre proposte che circolano? Morandi che farebbe?«Guardi, io non sono nessuno e non mi metto a commentare i progetti degli altri. Però dopo 60 anni passati a fare ponti non capisco come mai si parli di aumentare il numero di piloni, spostandoli anche di sede. Non capisco come si possa, in un posto del genere, cambiare il tracciato, demolire fondazioni di 35-40 metri, oppure rispettare il tracciato originario senza che almeno un paio di piloni finiscano per coincidere con le sedi di quelli attuali. Non capisco tante cose, insomma, e non vorrei che qualcuno volesse a tutti i costi spendere di più, con la scusa che quello vecchio è crollato».E dando la colpa a Morandi«Appunto. Sono sicuro che Morandi opterebbe per una demolizione di tutti gli elementi fuori terra e per l'utilizzo delle fondamenta attuali, ovviamente dopo verifica sulla portanza dei pali esistenti, prevedendo in seguito una struttura in elevazione di acciaio dal peso notevolmente ridotto rispetto a quella di prima. E sempre su 11 pile. Così si abbreviano i tempi del 30% e si tagliano i costi di almeno un terzo. Io questo lo voglio dire per i genovesi, che non meritano di essere presi in giro».