2022-03-28
Dietro la maschera del presidente Zelensky: soldi offshore, oligarchi e una parte contro Trump
Volodymyr Zelensky (Ansa)
L’elezione in nome del pacifismo, l’appoggio del ricco oligarca Ihor Kolomoisky, i soldi occultati nelle società offshore, i legami col battaglione Azov: ecco chi è davvero il presidente ucraino.C’è chi lo ha definito «il nuovo Churchill». Chi lo considera un eroe. Il paladino dei valori occidentali, il baluardo contro l’oscurantismo e l’autocrazia della Russia. Certo, è impossibile non riconoscere dignità e coraggio a Volodymyr Zelensky: quando è iniziata la guerra, poteva fuggire in Polonia, o negli Stati Uniti. Invece è rimasto a Kiev, dove rischia di essere assassinato o disintegrato da un missile ipersonico di Vladimir Putin. Però un conto è il tributo al valore; un conto è l’agiografia. Sulle origini e sull’ascesa politica dell’ex comico divenuto presidente, sarebbe opportuno avanzare qualche rilievo critico. Qualche appunto che ristabilisca la verità storica, al di là dei fumi della martellante epopea bellica, tratteggiata dai giornalisti con l’elmetto. A partire da due patenti contraddizioni.La prima: lo Zelensky candidato e, poi, presidente eletto, era colui che prometteva di fare la pace con i russi. Di porre fine al conflitto nel Donbass. Per dire: subito dopo il golpe occidentalista di Euromaidan, nel 2014, quand’era ancora soltanto un attore, si era opposto alla messa al bando degli artisti russi dall’Ucraina. Ai tempi delle presidenziali, i commentatori notarono che talune sue posizioni coincidevano con quelle della Piattaforma di opposizione - Per la vita, lo schieramento vicino a Mosca, ormai secondo partito nel Parlamento ucraino, benché sospeso in virtù della legge marziale. L’irenismo di Zelensky parve sufficiente all’ex presidente, Petro Poroshenko, per rinfacciargli di aver vinto il primo turno delle elezioni grazie all’intervento di «agenti del Cremlino». Proprio lui, accusato d’intelligenza col nemico, oggi si ritrova sotto le bombe di Putin.Secondo - e più rilevante - paradosso: il populista Zelensky doveva essere il candidato anti oligarchi. Eppure, il suo sponsor politico è stato uno dei più influenti (e sicuramente il più controverso) oligarca ucraino, con cittadinanza anche israeliana e cipriota, Ihor Kolomoisky. Un patrimonio stimato da Forbes in 1,7 miliardi di dollari, presidente della squadra di calcio del Dnipro e, soprattutto, dell’emittente 1+1, la rete che ospitava la serie Servitore del popolo. Questa fiction consacrò la popolarità dell’ex comico, nei panni di un insegnante inaspettatamente eletto presidente. E il nome dello sceneggiato sarebbe poi diventato quello del partito di Zelensky, il quale lanciò la candidatura, il 31 dicembre 2018, proprio su 1+1, facendo ritardare la messa in onda del discorso di fine anno del presidente in carica, Poroshenko. L’attore si giustificò alludendo a un problema tecnico. Ma era inevitabile sospettare dello zampino di Kolomoisky, da anni in rotta con Poroshenko. Quest’ultimo, nel 2015, gli aveva sottratto la poltrona di governatore dell’oblast di Dnipropetrovsk. Come mai? Kolomoisky aveva commissionato un clamoroso assalto armato a UkrTransNafta, la compagnia di Stato che si occupa di trasporto del petrolio e di cui Poroshenko aveva silurato il presidente, persona di fiducia dell’oligarca. In Ucraina, succedono pure cose del genere.Zelensky, il cui consigliere legale, peraltro, era stato avvocato di Kolomoisky, era quasi ubiquo su 1+1. Emblematicamente, fu la voce narrante di un documentario su Ronald Reagan, «il grande comunicatore». Secondo Politico, sito americano non passibile di simpatie per lo zar russo, i media di Kolomoisky hanno garantito «sicurezza e supporto logistico alla campagna del comico». È stato come se il facoltoso ex governatore avesse incoronato un delfino, per scalzare il detestato Poroshenko. Costui, in effetti, è caduto in disgrazia dopo la sconfitta alle urne: inquisito per tradimento e supporto anche finanziario a organizzazioni terroristiche filorusse nel Donbass, a gennaio gli sono state requisite le proprietà, gli è stato tolto il passaporto e gli è stato imposto l’obbligo di dimora a Kiev. Vendetta compiuta. Nell’intreccio tra il miliardario senza scrupoli e il «presidente eroe», non è chiaro in che misura siano implicati finanziamenti diretti. È comunque assodato che il legame abbia riguardato partite economiche scottanti. Lo scorso ottobre, dai Pandora papers si è appreso che Zelensky, il suo consigliere, Serhiy Shefir e il capo dei servizi di sicurezza, Ivan Bakanov, controllavano una rete di compagnie offshore alle Isole Vergini, a Cipro e in Belize. Prima di essere eletto, Zelensky aveva trasferito le sue quote a Shefir, ma si sarebbe assicurato che i soldi di quelle società giungessero lo stesso alla sua famiglia. Forse associabile a questo scandalo, un documento già tirato fuori, nella fase più calda della campagna per le presidenziali, dall’entourage di Poroshenko, secondo cui l’attore e i suoi soci nella casa di produzione Kvartal 95 avevano ricevuto 41 milioni di dollari di finanziamenti da Privatbank. Ovvero, l’istituto di credito di cui Kolomoisky deteneva l’80% del portafoglio prestiti. Dettaglio non trascurabile: nel 2016, l’oligarca fu accusato di aver defraudato per miliardi di dollari la banca, nazionalizzata lo stesso anno. I giornalisti investigativi dei Panama papers hanno messo nero su bianco che le compagnie offshore di Zelensky avevano ricevuto pagamenti da Kolomoisky: la sua 1+1 ha acquistato serie tv, spettacoli e film realizzati da Kvartal 95.Ma per avere un’idea più precisa su chi sia il grande burattinaio della carriera politica del «nuovo Churchill», bisogna forse partire dal reportage pubblicato venerdì da Repubblica e firmato da Bernard-Henri Lévy. Filosofo francese, arcinemico dei sovranisti, presente in piazza Maidan nel 2014, dove arringò la folla che infiammava la rivoluzione filoccidentale, l’intellettuale è appena stato in visita a Odessa. Lì, si è fatto immortalare mentre passeggiava tra i soldati, in compagnia di un uomo in mimetica, Maksim Marchenko. Cosa c’entra tutto ciò con Zelensky e Kolomoisky? È presto spiegato. Governatore militare dell’oblast di Donetsk, Marchenko fu, dal 2015 al 2017, comandante del battaglione Aidar, cospicuamente finanziato, guarda caso, da Kolomoisky e macchiatosi di crimini di guerra. Occhio: le imputazioni non arrivano da cyberbulli al soldo del Cremlino; le ha formulate Amnesty international. Scoppiata la guerra nel Donbass, l’oligarca-governatore non è andato per il sottile. Anzi, ha lavorato alla fondazione di alcuni reggimenti nazionalisti per fermare il separatismo. È il caso del Dnipro 1, sulle cui violazioni dei diritti umani è stato addirittura prodotto, nel 2016, un report Onu. Kolomoisky è anche tra i sovvenzionatori del battaglione Azov, protagonista del massacro di Odessa nel 2014 e sulla cui ispirazione neonazista, adesso negata dai suoi membri, si è molto scritto ultimamente. Qui basti ricordare che Zelensky - che a sua volta avrebbe favorito la creazione di un corpo di volontari nel Donbass - da presidente, ha concesso la cittadinanza a nove foreign fighters, tre dei quali arruolatisi nell’Azov. A onor del vero, nonostante le lamentele sui trattamenti fiscali di favore di cui avrebbe goduto Kolomoisky, va ammesso che Zelensky si è poi affrancato dal mentore politico. A settembre 2021, ha fatto approvare una legge per limitare l’influenza degli oligarchi, probabilmente costata un attentato al suo stretto collaboratore, Shefir, per fortuna fallito. Da ultimo, Zelensky è riuscito a liberarsi anche di un altro impresentabile: l’ex ministro dell’Interno, Arsen Avakov. In carica dal 2014, si diceva avesse messo in piedi una rete di protezione a beneficio del crimine organizzato e delle milizie di estrema destra. Otto anni fa, il rabbino capo ucraino, Yaakov Bleich, gli rinfacciò la promozione al vertice della polizia, nell’oblast di Kiev, dell’allora vicecomandante del battaglione Azov. Zelensky, sebbene ebreo, ha comunque beneficiato dell’ostilità di Avakov a Poroshenko. In politica, il fine giustifica i mezzi…L’Ucraina è un Paese difficile, a lungo governato da élite colluse e corrotte, terra di conquista per la Russia, nuova frontiera dell’allargamento di Ue e Nato, che hanno alimentato perniciose ambizioni di integrazione euroatlantica a costo zero. In questo contesto, qualunque uomo probo dovrebbe affondare le mani nel fango. Sì: la tuta verde, l’oratoria, la resistenza tenace. Ma a Zelensky, forse, non è mai bastato essere semplicemente un «servitore del popolo».