2018-11-24
Il vero piano B per uscire dall’euro ce l’hanno già nel cassetto i tedeschi
In un paper pubblicato questo mese dall'Ifo, il più importante centro di ricerca economica della Germania, si affronta in concreto il tema della fine della moneta unica. Sorpresa: andarsene è perfettamente possibile. C'è poi la questione legata alle banconote circolanti in euro nel nostro Paese, pari a circa 150 miliardi. Nel caso di passaggio alla «nuova lira», Banca d'Italia dovrebbe dichiarare quest'ultima l'unica valuta di corso legale.Quella dell'irreversibilità dell'euro, ormai, è una vecchia favola alla quale non credono più neppure i tedeschi. Per dirla tutta, nemmeno in Germania sono mancate in passato le voci fuori dal coro. Una di queste è rappresentata dal professor Dirk Meyer, docente all'università di Amburgo, che nel 2015 ha teorizzato l'introduzione di una valuta parallela all'euro allo scopo di consentire agli Stati membri, come riferito alla Verità dallo stesso accademico, «di vivere insieme agli altri senza problemi». Le prime, importanti avvisaglie circa l'esistenza di un dibattito serio nel merito si erano avute però lo scorso marzo, quando a Berlino si è svolto il convegno dal titolo «L'euro è sostenibile? E se non lo fosse?». Tra i relatori, Kai Konrad, membro del Max Planck institute; Christoph Schmidt, membro del ristretto consiglio di esperti di politica economica nominati dal governo tedesco; Jeromin Zettelmeyer, autore insieme a un'altra dozzina di colleghi francesi e tedeschi della proposta di riforma dell'euro pubblicata a gennaio; l'italiano Luca Einaudi, economista, storico e dirigente a Palazzo Chigi; infine, Clemens Fuest, presidente dell'Ifo, il più importante centro di ricerca economica tedesco. Contattato a margine di quella conferenza dalla Verità, lo stesso Fuest avvertiva che nel caso il governo italiano avesse proseguito sulla linea dura con Bruxelles, saremmo stati «costretti ad affrontare nel giro di un brevissimo lasso di tempo un serio dibattito sull'uscita dell'Italia dall'eurozona».Proprio quello che sta accadendo ora. Ma, sorprendentemente, non è né dal ministro Paolo Savona, né dagli economisti Alberto Bagnai e Claudio Borghi che arriva la strategia per l'Italexit, bensì dalla stessa Germania. La firma è quella di Stefan Honburg, docente di economia all'università di Hannover, direttore dell'Istituto di finanza pubblica dello stesso ateneo, e autore di un paper pubblicato proprio questo mese dall'Ifo. «L'eurozona è al sicuro dagli attacchi speculativi? E sotto che forma si potrebbero manifestare questi attacchi?», si chiede Honburg. Domande importanti, certo, alle quali però l'economista tedesco affianca interrogativi ancora più cruciali: «Cosa accadrebbe se uno Stato membro decidesse di lasciare la moneta unica, volontariamente o dopo un attacco, quali strategie di uscita potrebbe adottare e con quali conseguenze?».La prima parte del documento è dedicata al funzionamento del Target2, il sistema di pagamenti interbancario in funzione nell'area euro, e agli impatti dei saldi sui bilanci delle banche centrali. Fuest, come già il suo predecessore Hans Werner Sinn, è da sempre convinto sostenitore della teoria per cui gli squilibri di questo sistema siano da intendersi come debiti/crediti attribuibili ai paesi che li hanno accumulati. Secondo questo assunto, dal momento che l'Italia ha un saldo Target2 negativo (circa 437 miliardi a fine 2017), in caso di uscita all'euro dovrebbe rimborsare i paesi nei confronti dei quali risulta in «rosso». È la stessa posizione espressa da Mario Draghi, che nel 2017 dichiarò che «se un Paese dovesse lasciare l'Eurosistema, l'attivo (o il passivo) della Banca centrale dovrebbe essere completamente regolato». In realtà, il fatto che il saldo negativo Target2 costituisca un debito per l'Italia è tutto da dimostrare. Come testimoniano i flussi contabili, infatti, da fine 2014 a oggi si sono verificati investimenti italiani in titoli esteri per 349 miliardi di euro. Una massiccia emorragia di capitali che costituisce semmai un credito, dal momento che queste somme sono state utilizzate per l'acquisto di titoli esteri (ad esempio, Bund). La seconda parte della pubblicazione di Honburg è quella più interessante, e riguarda le possibili (testuali parole) «strategie di uscita». «Ipotizziamo», scrive l'autore, «che l'Italia lasci l'eurozona e introduca una “nuova lira", che molto probabilmente si svaluterebbe nei confronti dell'euro. Mentre l'uscita solleverebbe una serie di questioni economiche e legali, in questa sede ci concentriamo su due problematiche monetarie». La prima riguarda, appunto, i saldi Target2. «Benché l'Italia sia moralmente obbligata a regolare questo debito», spiega Honburg, «potrebbe fare leva sul fatto che tale obbligo in realtà non è previsto da alcuna legge europea». L'autore dunque ritiene scontato che Roma, in caso di passaggio alla nuova valuta, decida di non rimborsare l'ammontare del saldo.C'è poi la questione legata alle banconote circolanti in euro nel nostro Paese, pari a circa 150 miliardi. Nel caso di passaggio alla «nuova lira», Banca d'Italia dovrebbe dichiarare quest'ultima l'unica valuta di corso legale. Così facendo consentirebbe ai possessori di liquidi in euro di poter utilizzarli nel resto dell'eurozona, oppure cambiarli a tassi favorevoli. Complessivamente, sommando lo sconto dei saldi Target2 e le banconote circolanti, Honburg quantifica in circa 587 miliardi il profitto monetario a seguito di un'eventuale uscita. Una cifra che potrebbe essere utilizzata anche per abbattere parzialmente il nostro debito pubblico. Viceversa, in caso di Dexit (cioè uscita della Germania dall'euro), sarebbe Berlino a dover fare i conti con l'impossibilità di recuperare il credito Target2, pari a 907 miliardi di euro. Si verificherebbe così il paradosso, osserva Honburg, secondo il quale «i debitori (del Target2) potrebbero trarre profitto da un'uscita dall'euro, mentre i creditori rischierebbero di subire una perdita». Altro che euro irreversibile, dunque. Con buona pace di Mario Draghi, la via per uscire dall'euro è già tracciata.
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