
Il Celeste, nomignolo affibbiatogli per la sua religiosità, aveva forse amicizie sbagliate ma grandi capacità. I suoi mandati alla Regione Lombardia sono stati ottimi. Se ha debiti sono solo con la sua coscienza, però non li ha lasciati all'Erario. Corrotto o no, Roberto Formigoni è stato un gran bel presidente della Regione Lombardia. I suoi concittadini hanno tratto vantaggi dalla sua gestione, specie nel campo della salute, il settore che gli è stato fatale. Ha anche lasciato i bilanci in pareggio. Ha debiti con la propria coscienza, non con l'Erario. Se per i giudici ha fatto quello che ha fatto perché disonesto, è anche vero che non avrebbe potuto fare meglio se fosse stato virtuoso. Lo ha tradito l'ego, non la capacità. Rinchiuso da qualche giorno nel carcere di Bollate, con 5 anni e 10 mesi sul groppone, Formigoni potrà ora rimuginare sulla propria stolta vanità che gli ha tolto a 71 anni la buona vecchiaia che gli spettava. Ai tempi del suo governatorato, durato 4 legislature, dal 1995 al 2013, sono stato due volte da lui al trentesimo piano del Pirellone, all'epoca sede della Regione. La prima nel 2002, all'inizio del secondo mandato. Il Celeste, allusione alla sua religiosità e al passato ciellino, mi accolse in una grisaglia grigia molto istituzionale. Poiché ero senza cravatta, disse: «Beato lei», col sottinteso che lui per ragioni di ruolo non poteva permetterselo. Il suo ufficio era un porto di mare. I telefoni squillavano di continuo, le segretarie andavano e venivano, da ogni provincia lombarda i sindaci chiamavano per avere la grazia di una sua visita. L'intervista si svolse in quel vortice che lo risucchiava.Sette anni dopo, quando stava per concludere il terzo mandato, tornai da lui. Formigoni era nello stesso studio spaziale a 130 metri di altezza. Torreggiava, di spalle, scrutando dalla vetrata Milano e più in là a perdifiato, monti, valli e convalli lombarde. Senza voltarsi, mormorò: «Il mio regno». «Sto cambiando la sky line della città», aggiunse, indicando l'altro grattacielo, quasi concluso, alto 161 metri e da lui voluto, dove la Regione avrebbe trasferito di lì a poco gli uffici. Eravamo soli. Il silenzio totale. Nessuna traccia della fucina confusa e cameratesca della volta scorsa. Pareva l'imperatore di Cina nella solitudine della Città proibita. Strideva solo il suo aspetto pop. Capelli da divo, che il parrucchiere di fiducia, Franco, gli arricciava 2 volte la settimana, giacca nera a strisce, jeans salmone, camicia hawaiana, scarpette da basket. «Gli è partita la Trebisonda», pensai. Nell'intervista, spiegò di essere la quarta potestà d'Italia, dopo premier, ministro degli Interni e ministro dell'Economia. Aggiunse: «Sono il politico più popolare di sempre dopo Silvio Berlusconi (allora al suo zenit)». Disse, e badò che scrivessi: «Sono incerto se accettare un quarto mandato in Lombardia o scegliere tra fare il ministro, il commissario Ue e altre cose che mi sono continuamente offerte». Parlando dei problemi italiani, gli chiesi la sua ricetta per superarli. «Applicare i principi basilari da me adottati in Lombardia», rispose. Un narcisista perso, un'egolatra al cubo. Quella intervista è dello stesso periodo a cui risalgono le mene che oggi gli procurano l'onta carceraria.Il processo ha stabilito che per favorire due strutture sanitarie private, peraltro eccellenti - Fondazione Maugeri e San Raffaele - il reo si è fatto vezzeggiare per anni con vacanze nei Caraibi e sballottamenti in yacht su mari esotici e nostrani. Le «utilità» incamerate, termine usato nelle sentenze, superano i 6 milioni di euro: 4 sarebbero di sconto per l'acquisto di una casa di sogno sulle coste sarde. Formigoni ha sempre sostenuto che erano gentilezze di amici abbienti, non il frutto di subornazioni. Negava il nesso tra doni e favori. Non è stato creduto e dal Mar dei Coralli è finito a Bollate. Capita. Di strambo, ci sono due cose. La prima, è che il Nostro non ha preso un euro in contanti. L'altra è che durante i vezzeggiamenti corruttivi, il Celeste ha continuato a vivere, come fa da decenni, nella comunità religiosa dei Memores Domini. Una specie di casa famiglia dove altri spiriti bizzarri come lui mettono tutto in comune, vivendo in castità e povertà. Roba che dà il magone solo a pensarla. Così, capisci come si possa vendere l'anima per un tuffo nei fondali dei Sargassi.La chiacchiera sulla castità del Celeste dura da decenni tra conferme e smentite. Ai suoi esordi, 40 anni fa, impressionava questo ragazzone che mortificava la carne. Parendo contro natura, non c'era intervistatore che non alludesse alla faccenda. «Mai incontrato una donna», chiedeva il giornalista, «che le ha fatto pensare: la sposo e cambio vita?». «Più d'una», rispondeva l'altro. «E il voto di castità?». «L'impegno a osservare il voto c'è. Dopodiché, siamo nel mondo». Cioè, il sangue ribolle. In effetti, pare che abbia accolto nel talamo una fotomodella, Emanuela Talenti. Il tenero sarebbe durato un paio di lustri. La signora, oggi sulla cinquantina, ha fatto capolino anche nel processo. Dalle carte, risulterebbe che il Celeste le abbia offerto una somma per acquistare un appartamento. Primo di 3 figli di ottima famiglia lecchese, Roberto ha dovuto fare da battistrada ai fratelli nella conquista delle prime libertà. Quando il papà ingegnere gli proibiva qualcosa, l'adolescente replicava: «Non rompere le scatole. Tu alla mia età hai fatto la marcia su Roma». Il genitore in affetti fu fascista dalla prima all'ultima ora. Ai tempi di Salò era podestà di Missaglia, nei pressi del lago. Nel dopoguerra, fu accusato di avere partecipato all'uccisione di 4 partigiani. Messo a processo, fu prosciolto grazie all'amnistia di Palmiro Togliatti. L'ingegnere si era, comunque, dichiarato sempre innocente, continuando a sentirsi fascista. Smise di votare Msi, solo per votare il figlio entrato in politica. Fu la mamma, insegnante, a dare un'educazione religiosa ai pargoli. I genitori del Celeste vissero fino al 2000 e morirono a distanza di 6 giorni l'uno dall'altro, come Filemone e Bauci.A 20 anni, all'università, la vita del nostro Roberto cambiò, incontrando don Luigi Giussani ed entrando in Cl. Dieci anni dopo, il giovanotto ormai laureato in Filosofia, con una tesi su Karl Marx, fondò il Movimento popolare, braccio politico di Cl e divenne, con Rocco Buttiglione, il personaggio più in vista della confraternita giussaniana. Per li rami, si buttò in carriera con la Dc: due volte deputato europeo (1984 e 1989), due volte nazionale nel 1992 e nel 1994. Entrò anche nel governo Ciampi (1993-1994) come sottosegretario all'Ambiente.Sparita la Dc, passò con il Cav. Un odio-amore durato un ventennio. Il Celeste scalpitava per sostituire il Vecchio alla guida del centrodestra, specie quando quello fu sommerso di processi. Il Vecchio resisteva e, ai primi annunci di grane giudiziarie dell'altro pare abbia esclamato con sollievo: «Adesso che tocca lui, ha abbassato le penne. Ora fa meno il divino, quello lì». Alla fine, il destino del Celeste è stato più amaro di quello già agro del Cav. Cl, cui dette l'anima, ha rotto con lui. Il successore di don Giussani, l'ispanico don Juliàn Carron gli è ostile da quando è in disgrazia con le toghe. Per lo stesso motivo, il Meeting di Rimini, la grande kermesse ciellina di cui fu mattatore, non lo invitava più. Ora è sbattuto ai ferri e da quelle parti non si alza un fiato. Avrà agio di riflettere che, prima ancora degli atti, ha sbagliato le amicizie.
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Beppe Sala (Imagoeconomica)
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