2020-01-30
Il teste chiave smonta l’accusa all’Eni: «Mai visto uno scambio di tangenti»
Il poliziotto nigeriano Eke si è finalmente presentato in aula ma ha detto di non sapere nulla della mazzetta. Ha smentito di aver chiesto di testimoniare: «A scrivere la lettera è stato un amico». Una débâcle per i pm.Doveva essere il testimone chiave contro i manager di Eni, tra cui l'ex amministratore delegato Paolo Scaroni e quello attuale Claudio Descalzi, accusati di corruzione internazionale (per l'accusa una presunta tangente da 1,3 miliardi di dollari) per l'acquisto della licenza del giacimento Opl-245 in Nigeria. Si è rivelato un boomerang nei confronti del pm Fabio De Pasquale. Perché Isaac Eke, il superpoliziotto nigeriano soprannominato Victor Nawfor - atteso da almeno un anno al banco dei testimoni dopo che era stato sentito un altro «Victor» sbagliato - ha demolito gran parte dell'impianto accusatorio su cui puntava la Procura di Milano. Dopo un tira e molla durato mesi sulla presenza di Eke in aula, ieri nella settima sezione è andata finalmente in scena la testimonianza. Ma incalzato da De Pasquale, il poliziotto nigeriano ha spiegato di aver visto solo un paio di volte l'ex manager Eni, Vincenzo Armanna. Soprattutto, di non aver mai avuto a che fare con la sicurezza dell'ex presidente Jonathan Goodluck né di essere mai stato nella villa dove ci sarebbe stato un presunto scambio di tangenti da 50 milioni di euro con i manager del cane a sei zampe. E ancora. Eke ha persino smentito di aver scritto la lettera con cui aveva deciso di testimoniare a processo: a scriverla è stato il suo amico Timy Aya e non era a conoscenza del fatto che si trattasse di un procedimento penale. Per capire il «disastro totale dell'accusa» (citazione di un avvocato presente in aula), bisogna riavvolgere il nastro di almeno cinque anni, quando proprio Armanna, il 30 luglio 2014, mise a verbale di fronte e De Pasquale e Sergio Spadaro la spartizione che ci sarebbe stata della tangente. Una fetta di quella ipotetica montagna di soldi, spiegò il manager siciliano, 47 anni, ex responsabile dell'Africa subsahariana per il nostro colosso petrolifero, sarebbe ritornata ai manager Eni. A raccontarglielo sarebbe stato proprio Victor, cioè Isaac Eke, che, sosteneva Armanna, era il capo della sicurezza del presidente Goodluck. Proprio Eke gli aveva raccontato di aver visto due trolley con 50 milioni di dollari in banconote da 100 portati a casa di un altro manager di Eni, Roberto Casula, all'epoca responsabile delle operazioni sul giacimento. Per supportare questa versione, proprio la difesa di Armanna aveva portato negli anni scorsi una lettera firmata da Eke, dove il poliziotto della Nigeria raccontava di essere pronto a testimoniare al processo e che si era presentato con lo pseudonimo di Victor Nawfor. Eke smentisce tutto. («Non mi sono mai presentato come Victor Nwafor, in tutti i documenti io risulto come Isaac Eke»). Dice di aver firmato la lettera per fare un piacere all'amico Aya. «Quella lettera non l'ho scritta io, ma il mio amico Timy. Io ho solo firmato questa dichiarazione perché mi hanno detto che dovevo andare in Italia a chiarire la mia identità per aiutare “Vincent". Aya mi ha detto che questa dichiarazione sarebbe stata utilizzata in un luogo privato e non resa pubblica e che avrei dovuto dire ciò che sapevo rispetto alla condotta di Armanna. Mi ha assicurato che non ci sarebbe stata la stampa e nessuna copertura mediatica». Eke spiega anche, rispondendo alle domande dell'avvocato di parte civile del governo della Nigeria, di non aver mai conosciuto altri manager Eni o lo stesso Casula. A un certo punto De Pasquale ha evocato il reato di «falsa testimonianza» e ha chiesto un confronto tra Armanna, presente in aula e lo stesso Eke, ma la richiesta è stata respinta dal collegio presieduto da Marco Tremolada. Sempre ieri è stato ascoltato il funzionario Aise Salvatore Castilletti che fu di stanza ad Abuja dal 2009 al 2011. Lo 007 del nostro controspionaggio internazionale ha chiesto di parlare da dietro un paravento e ha risposto soprattutto alle domande dell'avvocato di Casula, scagionando il manager e spiegando di essersi occupato in quegli anni solo della sicurezza degli italiani e del personale Eni in Nigeria. Incalzato da De Pasquale sulla scelta di nominare Gianfranco Falcioni (indagato anche lui per concorso in corruzione internazionale e imprenditore petrolifero) come viceconsole onorario, Castilletti ha detto di non aver avuto alcun ruolo operativo nella decisione del ministero degli Esteri e di aver solo detto che «non c'erano elementi ostativi alla sua candidatura». In teoria a contendersi quell'incarico ci sarebbe stato anche Gabriele Volpi, tra più importanti imprenditori italiani in Nigeria sin dagli anni Settanta, titolare della società di oil & gas Oando. L'agente della nostra intelligence estera sostiene di non aver mai conosciuto Volpi, ma di averne solo sentito parlare, né di aver mai fatto approfondimenti sul suo profilo. Castilletti ha detto anche di non ricordare discussioni su Opl-245 nel corso degli anni ad Abuja. Nel 2021 la licenza sul giacimento che fu concessa a Eni e Shell andrà in scadenza. Dopo quasi dieci anni di indagini le operazioni di estrazione sono ancora ferme. E tra i possibili acquirenti potrebbero esserci i cinesi di Cnooc e la Oando di Volpi.