2018-08-09
Il Tesoro non ha più il suo uomo in Eni. Salvini invece parla con Descalzi
Fabrizio Pagani ha lasciato il Mef a giugno per un fondo estero, ma è ancora nel cda. Giovanni Tria non ha chiesto le dimissioni. Resta così intatta la rete dei lettiani vicini a Pier Carlo Padoan. E il leader leghista prova una strategia diretta con l'ad.Una sola dichiarazione e poi il silenzio. A parlarne è stato Stefano Buffagni, il grillino che è un po' in autonomia si è costruito l'incarico di addetto alle nomine, ovviamente quelle targate luglio in cui Luigi Di Maio smorza i toni della lite tra Matteo Salvini e Tito Boeri, Buffagni alza il dito e ricorda che nel consiglio dell'Eni siede ancora Fabrizio Pagani. Pochi giorni prima, il capo della segreteria tecnica del ministero del Tesoro aveva lasciato il Mef per approdare al fondo newyorchese Muzinich. Facendo sapere di essere di base a Parigi e Londra e di occuparsi di fondi di credito alle medie imprese. Pagani è stato per anni il braccio destro dell'ex ministro Pier Carlo Padoan, per il quale si è occupato di politiche macroeconomiche, fiscali, finanziarie e bancarie, come la nascita del fondo Atlante o delle garanzie statali sulle cartolarizzazioni creditizie. Pagani, inoltre, ha avuto un ruolo di raccordo con il cda dell'Eni, dov'è consigliere per conto dell'azionista pubblico ed è stato confermato per la seconda volta l'anno scorso. Tecnicamente la sua nomina non ricade nel periodo di spoils system né per intervenire con una conferma né con una rimozione. Non era mai accaduto, però, che per un periodo così lungo il governo rimasse senza un rappresentante in Eni. Paradossalmente Muzinich potrebbe saperne del Cane a sei zampe più del Tesoro. Stando a quanto risulta alla Verità, l'anomalia nasce dal fatto che a oggi il ministro dell'Economia, Giovanni Tria, non avrebbe chiesto espressamente a Pagani di dimettersi. Strano, ma in linea con numerose scelte intraprese dal titolare di via XX Settembre. A oggi gran parte degli uomini voluti dal suo predecessore, Pier Carlo Padoan, sono stati confermati o promossi. Basta pensare ad Alessandro Rivera che ha scalato il gradino più alto del Mef o alle ultime scelte in Cdp o Fs. Il link tra attuale e precedente ministro si chiama Luigi Paganetto, docente dell'università romana di Tor Vergata. In questa cerchia rientra sicuramente Pagani che negli ultimi quattro anni è stato più volte celebrato da Padoan.Dopo un blitz per prendere l'incarico di dg datato 2015 e non andato in porto, a ottobre del 2016 Padoan cercò di far nominare Pagani al posto di Vincenzo La Via, ma in quell'occasione intervenne Matteo Renzi in persona si mise in mezzo. Pagani, secondo il ministro, avrebbe avuto tutte le carte in regola per fare il dg. Ha lavorato all'Ocse, capo segreteria tecnica del sottosegretario di Stato ai tempi di Romano Prodi. Inoltre proviene dalla scuola Sant'Anna di Pisa, un'eccellenza italiana che ha frequentato quasi in concomitanza con Enrico Letta, di cui è stato consigliere per gli affari economici e internazionali. E qui stava proprio il motivo del veto dell'ex premier. Che evidentemente valutava il dirigente più pisano che fiorentino, e probabilmente troppo vicino a Letta. Quello che però per Renzi era un neo, per Padoan era un pregio e oggi per Tria è un motivo per prendere tempo. Togliere Pagani dall'Eni verrebbe visto come un colpo al giro di Letta, che con il Cane a sei zampe ha molta familiarità. Innanzitutto per il colosso petrolifero lavora Lapo Pistelli, vice ministro ai tempi del governo Letta. Nell'advisory board di Eni siede Ian Bremmer che di Letta è in un certo senso datore di lavoro con Eurasia group. Infine, perse le elezioni il Pd ha visto transitare in Eni Massimo Mucchetti, già vice direttore del Corriere, nonostante da senatore abbia giudicato Claudio Descalzi un segno di continuità con Paolo Scaroni. Insomma, in Eni si è consolidato un gruppo democristiano al quale Tria non sembra in alcun modo voler dichiarare guerra. I grillini fremono ma non riescono ad approcciare il numero uno dell'Eni. O meglio, Descalzi e Di Maio si sono incontrati ma si sarebbero limitati a parlare di fonti rinnovabili. Il capo dei 5 stelle sa che in autunno le elezioni in Basilicata si combatteranno attorno al No alle trivelle del nostro colosso petrolifero. Ma può fare ben poco contro la propria base nutrita dall'effetto Nimby. Ben diverso è invece l'approccio leghista al Cane a sei zampe. Matteo Salvini ha una certa familiarità con l'ad. Avrebbero più volte affrontato temi di geopolitica, ovviamente riguardanti il Sud del Mediterraneo: dalla presenza in Libia fino alla nuova strategia da tenere con l'Egitto dopo i due anni di freezer dovuti all'uccisione di Giulio Regeni, il ricercatore inglese considerato troppo vicino ai sindacati del Cairo. Salvini ha più volte usato velivoli Eni, soprattutto per muoversi in Egitto. Il leader leghista ha incontrato il console egiziano a Milano pochi giorni dopo aver ricevuto l'incarico di vicepremier. L'Eni ne era al corrente. Altri esponenti delle autorità no. Il che lascia pensare che la Lega abbia ben compreso quanto sia importante per gestire i temi del Mediterraneo tornare a utilizzare la diplomazia dell'Eni ancor più di quella ufficiale romana. Salvini ha dunque deciso non affrontare il tema Pagani: forse pensa a un allontanamento dall'interno. Soluzione molto politica, ma che comunque lascia aperto il conflitto di vedute dentro il governo. Nel frattempo Pagani stesso resta a sedere su una poltrona che vale 100.000 euro.
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