2019-06-12
Il Tar chiamato a pronunciarsi sugli autovelox trappola di Sala
In molti furono rovinati dalla pioggia di multe dovuta all'escamotage del Comune.Fu la nevicata più traditrice del 2017, intensa, improvvisa, devastante. Arrivò in dicembre e rappresentò il regalo di Natale del sindaco Giuseppe Sala ai pendolari che lavorano a Milano arrivando dalla Brianza. In quei giorni fioccarono le multe, a decine di migliaia, al ritmo di 2.000 al giorno per tanti giorni, nella trappola elettronica di via Fulvio Testi dove due autovelox tarati sui 50 all'ora cominciarono a mietere vittime ignare. Il caso fece scalpore e suscitò polemiche, anche perché i bollettini giunti a destinazione a decine per automobilista raggiunsero cifre che neppure lo stipendio del primo cittadino avrebbe potuto coprire. E i punti della patente si azzerarono in un amen. Molti cittadini abbozzarono, altri si svenarono dopo aver percorso inutilmente l'iter del giudice di pace, altri ancora (piccoli artigiani) finirono sull'orlo del fallimento. Ora la vicenda approda al Tar che domani sarà chiamato a giudicare il provvedimento, ad avallarlo o ad annullarlo. Il ricorso è stato presentato da 50 automobilisti, idealmente in rappresentanza di tutti, i quali hanno impugnato la determina con cui il Comune di Milano aveva autorizzato l'accensione a sorpresa degli autovelox «praticamente invisibili, apposti in alto su pali della luce e segnalati pochissimi giorni prima dell'attivazione senza alcuna preinformazione alla cittadinanza», come spiegano gli automobilisti ricorrenti, rappresentati dall'avvocato Raffaello Ricci. Sottolinea il legale: «I vizi di legittimità del provvedimento del Comune di Milano sono gravi e palesi».La sentenza del giudice amministrativo è attesa con grande fiducia dai moltissimi che sono incappati inconsapevolmente negli autovelox del sindaco apparentemente più democratico e colloquiale dell'ultimo secolo, molto attento all'immagine ma evidentemente anche a fare cassa. Su una direttrice di scorrimento a tre corsie, il limite di velocità era o comunque era percepito da tutti a 70 all'ora, come in molte altre arterie milanesi e come indicato dall'ultimo cartello a 4 km dall'autovelox direzione centro; la più parte delle multe e dei punti sottratti dalla patente riguarda velocità di pochi chilometri superiori al limite di 50 orari, con sanzioni definite «vessatorie» da chi le ha ricevute.Nel nostro ordinamento la regola per le infrazioni al codice della strada è la contestazione immediata, proprio per dissuadere dalla reiterazione degli illeciti e per prevenire le condotte di guida pericolose. Ma in questo caso gli automobilisti hanno appreso dell'esistenza del limite solo in occasione della notifica delle sanzioni. A poco è valso fare ricorso ai giudici di pace, statisticamente propensi a dar ragione al Comune. Secondo gli automobilisti sono stati sottovalutati gli insegnamenti della Cassazione «che, con molteplici pronunzie, ha sempre sottolineato l'esigenza della chiara visibilità degli autovelox, finalizzati a educare chi guida, allo scopo di limitare l'incidentalità, e non ad arricchire le casse dei comuni. Anche tutta l'ultima normativa è stata introdotta, in modo restrittivo, con questo preciso obiettivo».Ora la parola passa al Tar. C'è molta attesa perché la sentenza potrebbe avere un effetto domino. Negli anni Sessanta Giò Ponti aveva progettato il Pirellone davanti alla Stazione Centrale per dire buongiorno a chi ogni mattina giungeva a Milano per dare il suo piccolo contributo a renderla grande. Fra quell'immagine poetica e la stangata degli autovelox c'è lo stile di una città che sarà anche un modello europeo di efficienza, ma ha perso di vista la sua proverbiale umanità.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)