
La Regione torna in lockdown nonostante sia tra quelle con meno contagi e meno morti.Il caso della Sardegna, che passa dal bianco al rosso, pur restando una delle regioni con meno vittime e meno contagi d'Italia, è un apologo perfetto che ci deve far riflettere su un metodo che non funziona. Parliamo di questa complessa architettura pandemica, regolata via algoritmo, che ha preso il nome popolare di «regioni a colori». Non funzionano i tempi - folgoranti quando si chiude, biblici quando si deve riaprire -; non funziona il criterio principe (l'indice Rt); non funziona il sottotesto moralistico che sembra la bussola di questo alternare cromatico vagamente punitivo: ve la siete spassata (quando eravate «bianchi»), adesso pentitevi e accettate la giusta sanzione. Nessuna di queste cose, andando a vedere bene, è vera. Partiamo dai numeri: la Sardegna aumenta i tamponi, come sempre quando si verificano nuovi focolai, ma ha solo 425 positivi. Le nuove vittime di ieri sono solo 2 (su 300 a livello nazionale). Se si considera quello dei decessi un indice ritardato, anche i nuovi ricoveri sono bassissimi, appena sette: di cui cinque in terapia intensiva e solo due nei reparti ordinari. Le rianimazioni non risultano sotto pressione. Questi significa che - in una regione di un milione e mezzo di abitanti -non esiste (toccando ferro) emergenza. Cosa determina il passaggio al regime più severo, dunque? Alcuni focolai molto localizzati, e la conseguente impennata dell'indice Rt. In quale, però, per paradosso, penalizza le regioni che contano pochi casi. E quelle che hanno spazi più grandi. Perché è ovvio che una regione in cui ci sono molti casi, e in cui si scoprono molti nuovi positivi, avrà una crescita percentuale bassissima, rispetto a una in cui ci sono pochi positivi, ma in cui basta un semplice focolaio di 100 casi per far balzare il tasso di incremento. E qui emerge un altro tema su cui da mesi - invano - le Regioni protestano. Un conto è un'impennata di contagi in un'area metropolitana ampia, in cui questo può significare che il contagio è andato fuori controllo: ma in una regione di un milione e mezzo di persone, con grandi spazi, è evidente che cento casi in un'area circoscritta sono sotto controllo. Quindi il caso sardo rende più chiaro quello che provavano invano a spiegare, nei giorni scorsi, molti sindaci delle aree locali lombarde: il passaggio alla zona rossa non può avvenire su scala regionale. Se il focolaio è (geograficamente) circoscrivibile, la sua contabilità deve essere scorporata dal macro dato. Altrimenti è automatico l'incremento dell'indice Rt, e si finisce a chiudere una intera regione magari per il dato di soli tre comuni. Ed è davvero singolare questa involuzione, che il sistema odierno, in teoria più sofisticato, sta producendo rispetto all'inizio della pandemia, quando si cominciò isolando piccoli comuni come Vo' Euganeo. Qui arriviamo all'ultima nota dolente. La moraletta punitiva: ma cosa vi lamentate, se voi eravate zona bianca e avete abbassato la guardia? Il sistema cromatico, se fosse possibile, ha esaltato la tentazione pedagogico-repressiva delle autorità regolatrici. Con un sistema di promozione e repressione che ha sempre come sottotesto l'idea (idiota) che il contagio sia necessariamente frutto di una grave colpa, del venire meno di un senso di responsabilità collettiva. Non è così in Sardegna dove - per esempio - uno dei focolai (80 contagiati) è frutto del contagio un barista di Pozzo Maggiore (Sassari) che aveva fatto un test antigenico ed era risultato negativo (mentre al molecolare è poi risultato positivo!). E questo in una regione che per difendere la sua colorazione aveva sacrificato tutto, con una ordinanza regionale voluta da presidente Solinas con cui si impediva l'ingresso a chiunque, se non per motivi di salute o di lavoro (con gravi danni per il turismo, prima risorsa stagionale dell'isola). Così, da questo caso sardo, dobbiamo probabilmente imparare che se vogliamo sopravvivere al virus (soprattutto in estate, quando aumenterà la mobilità) dobbiamo provare ad essere non più lenti, ma più veloci di lui. Altrimenti continueremo a chiudere i recinti quando i buoni sono già scappati. E a riaprirli quando sarà troppo tardi per salvare la mandria.
Monica Marangoni (Ansa)
La giornalista Monica Marangoni affronta il tema della nudità in un saggio che tocca anche il caso delle piattaforme sessiste. «È il tempo del relativismo estetico che asseconda solo l’io e le sue voglie, persino con immagini artefatte».
Giornalista e conduttrice televisiva, laureata in Filosofia all’università Cattolica del Sacro cuore a Milano, Monica Marangoni ha condotto diversi programmi non solo in Rai. Nudo tra sacro e profano - Dall’età dell’innocenza all’epoca di Onlyfans (Cantagalli), con postfazione dello stesso editore David Cantagalli, è il suo primo saggio. Una riflessione particolarmente attuale dopo la scoperta, e la chiusura, di alcuni siti che, con l’Intelligenza artificiale, abbinano corpi nudi femminili a volti noti del mondo dell’informazione, dello sport e della politica.
Effetto Trump: dazi, tagli alla ricerca e revisione dei protocolli sanitari stanno frenando il comparto (-4%). A pesare, pure la scadenza dei brevetti. Cresce la fiducia, invece, nei processi tecnologici contro le malattie.
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Luca Marinelli (Ansa)
L’antica arte partenopea del piagnisteo strategico ha in Italia interpreti di alto livello: frignano, inteneriscono e incassano.
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Che fa del vittimismo una posa.
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