2023-01-20
Il rinvio a giudizio non ferma De Pasquale
Il processo non provoca contraccolpi al procuratore aggiunto: resterà al suo posto a Milano e proseguirà le investigazioni con i colleghi del Belgio sul Qatargate e sull’ex deputato Antonio Panzeri. Sul caso continua il silenzio del Guardasigilli e della Cassazione.Il rinvio a giudizio del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale non crea particolari contraccolpi in Procura di Milano. Il capo del settore corruzione internazionale è in attesa dell’inizio del processo a Brescia il 16 marzo (dovrà rispondere di omissione di atti d’ufficio sul processo Eni-Nigeria), ma allo stesso potrà continuare la sua indagine come assistente della magistratura belga sul Qatargate e sull’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri. Del resto, gli unici che potrebbero intervenire sulla sua posizione (sospensione o spostamento), per sgombrare i dubbi da una situazione più che mai particolare (condurre un’inchiesta per corruzione internazionale pur essendo a processo per aver nascosto prove alle difese), potrebbero essere il capo della Procura Marcello Viola (che potrebbe togliergli le inchieste più delicate), il Consiglio superiore della magistratura, il procuratore generale della Cassazione Luigi Salvato o il ministro della Giustizia Carlo Nordio. Viola ha già fatto sapere quello che pensa di De Pasquale nel parere dello scorso 18 ottobre, quando diede «una valutazione ampiamente positiva in ordine della conferma» per altri 4 anni dopo i primi 4 da vice della Procura, «a seguito di verifica, in concreto, delle attitudini dimostrate nel quadriennio, dell’attività svolta e dell’effettiva positività del servizio reso». Il Csm non c’è ancora, dal momento che non si sono ancora insediati i membri laici. Al ministero e alla Cassazione, al momento, tutto tace. Quindi, più che sul destino di De Pasquale (trattato con i guanti dai quotidiani come Repubblica che ieri non ha neppure riportato il rinvio a giudizio, ndr), potrebbe invece essere interessante capire che fine farà la mole di cause e denunce contro Vincenzo Armanna e Piero Amara dopo la decisione del gup bresciano Christian Colombo. Ce ne sono un po’ in tutta Italia, da Perugia a Roma, Milano e Potenza. Oltre alle diverse cause civili per risarcimento danni ancora ferme, tra luglio e settembre del 2019, infatti, arrivò in Procura di Milano una pioggia di denunce contro Amara e Armanna. L’ex avvocato e l’ex manager di Eni furono accusati di calunnia per le dichiarazioni al processo Opl 245. A firmare le querele furono l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, il direttore delle risorse umane Claudio Granata e l’avvocato Michele Bianco. Erano i mesi in cui le dichiarazioni di Armanna contro Descalzi e Scaroni venivano rilanciate in lungo e in largo sui quotidiani o in Rai, durante la trasmissione Report. Per di più a luglio il manager siciliano era stato ascoltato in udienza e aveva sostenuto, al solito, una lunga lista di falsità. Allo stesso tempo Amara continuava con le sue dichiarazioni ai procuratori milanesi. E pensare che non aveva ancora fatto cenno alla famigerata loggia Ungheria, altra bufala che ha procurato al legale siciliano una nuova tornata di denunce e querele (anche queste ancora nei cassetti) dalla maggior parte dei presunti affiliati, tra cui l’ex vicepresidente del Csm Michele Vietti o l’attuale numero uno della Gdf Giuseppe Zafarana.Il sostituto procuratore Paolo Storari aveva già avvertito a febbraio, quindi 5 mesi prima, De Pasquale e Sergio Spadaro della inattendibilità di Armanna e dello stesso Amara. Di quelle denunce non si sa più nulla. Nessuno, mentre la Procura era diretta da Francesco Greco, si è fatto carico di portare avanti almeno degli accertamenti. Forse sarebbe stato utile, anche perché a distanza di 4 anni la Procura di Brescia ha deciso di rinviare a giudizio proprio De Pasquale e Spadaro per omissione di atti di ufficio proprio nel processo Opl 245. Tra chat dove Armanna prometteva denaro a testimoni nigeriani in cambio di dichiarazioni sulle tangenti agli italiani, fino al famoso video della «valanga di mer…», sono tutti i punti ancora da capire. Per questo il processo bresciano potrà forse finalmente chiarire diversi dubbi di quegli anni, tra cui anche l’inattività della Procura meneghina su Amara e Armanna. Del resto, all’epoca non rimasero lettera morta solo le querele di Descalzi, Granata e Bianco. Nel luglio 2019 fu presentata anche una denuncia contro Napag, società che avrebbe truffato Eni vendendo petrolio iraniano sotto embargo. Anche in questo caso la mole di documenti portata dal Cane a sei zampe in Procura è rimasta a prendere polvere. Si attendono poi novità sulla richiesta di rinvio a giudizio a carico di Armanna, formalizzata dai pm Stefano Civardi e Monia Di Marco, per aver fotografato e diffuso verbali della loggia Ungheria. C’è poi una denuncia di Alfio Rapisarda (security Eni) per calunnia sempre a carico di Armanna, avocata dalla Procura generale Milano e invitata a Brescia. Non si sa più nulla poi dei procedimenti d’ufficio per false chat sempre dell’ex manager siciliano. Persino l’indagine per falsa testimonianza del terzo Victor, nelle mani di Pasquale e Spadaro, si è volatilizzata. L’unica novità degli ultimi mesi è di metà dicembre, quando il gip Lidia Castellucci ha deciso di non archiviare su una querela presentata contro Amara dal legale di Eni Stefano Speroni, su cui il procuratore aggiunto Laura Pedio aveva chiesto invece l’archiviazione il 7 giugno del 2021. Risaliva al novembre del 2019, dopo le solite calunnie di Amara. Chissà che dopo la decisione del gup di Brescia non rispuntino fuori dai cassetti della Procura milanese anche altre denunce.
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo