2023-05-24
Il Recovery italiano vuole i bus green ma la società che li fa è senza fondi
Industria italiana autobus (Iia) ha centinaia di commesse ma non la liquidità per i pezzi: a breve entrerà un socio al posto di Invitalia. I sindacati: serve un management adeguato per lavorare sull’idrogeno.Doveva essere un fiore all’occhiello del governo a cinque stelle di Giuseppe Conte, una medaglia da appuntare sulla divisa dell’ex ministro Luigi Di Maio alle prese tra il 2018 e il 2019 con le crisi industriali del nostro Paese. Ma le promesse di risolvere i guai della ex Bredamenarinibus - ora Iia (Industria italiana Autobus) nata dopo la fusione con Irisbus - sono rimaste solo sulla carta. E così, a distanza di 5 anni, ancora adesso l’azienda si ritrova da mesi in gravi difficoltà economiche (perde 6 milioni al mese), con i dipendenti (circa 700) che rischiano di perdere il posto di lavoro e soprattutto l’incognita dell’arrivo di un nuovo socio che dovrebbe prendere il posto di Invitalia. Del resto, c’è il rischio di perdere un’occasione preziosa, anche perché grazie ai fondi del Pnnr tutti i comuni italiani stanno rinnovando il parco dei mezzi pubblici, anche perché il Recovery fund chiede più autobus green e a idrogeno. A quanto risulta a La Verità, Iia ha complessivamente commesse attive per circa 600 termici e 270 elettrici derivanti dalla gara Consip più ordini diretti per ulteriori 65 elettrici e 6 ad Idrogeno. Così, mentre in Europa il gruppo tedesco Mercedes continua a macinare utili e produce automezzi green da anni, appare incredibile come l’unica azienda italiana del settore autobus non riesca ancora adesso a produrre con continuità e a generare profitti, nonostante un alto numero di ordini. Gli ultimi 5 anni sono stati fallimentari. E il dissesto porta la firma di Di Maio, del suo delegato alle crisi di impresa Giorgio Sorial, dell’ex amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri e anche dell’ex numero uno di Leonardo Alessandro Profumo. E pensare che nel 2019, l’entrata dell’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, (controllata dal ministero dell’Economia), fu celebrata dallo stesso Di Maio e da Arcuri come la risoluzione di ogni problema. A distanza di 4 anni, invece, Industria Italiana Autobus rischia ancora la chiusura mentre è arrivata agli sgoccioli la partecipazione di Invitalia, che potrebbe cedere il posto a un altro socio, questa volta privato. Nelle scorse settimane si è parlato di almeno tre manifestazioni d’interesse presentate presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy di Adolfo Urso. Due provengono da società già presenti con propri insediamenti in provincia di Avellino: i gruppi Sira di Valerio Gruppioni e Seri Industrial. La terza sarebbe stata presentata, invece, dal gruppo portoghese Caetano bus, già impegnato in una partnership con la Industria Italiana Autobus per avviare la produzione e la commercializzazione in Italia di bus urbani a idrogeno basati sulla tecnologia Fuel Cell Toyota e un sistema H2.City Power Kit messo a punto proprio dalla società portoghese. «Ma dall’azienda non abbiamo avuto conferme sull’entrata di nuovi acquirenti: ce le hanno definite tutte infondate», spiega Roberto Ferrari della Uilm Bologna a La Verità, «Iia è un’azienda pubblica e vorremmo che lo rimanesse. L’unico player italiano che fa autobus e si trova in una situazione paradossale. Ha un portafoglio ordini di 900 autobus. Ma fa fatica a produrre, ha bisogno di finanziamenti. Noi abbiamo puntato il dito contro un management inadeguato, sino a due fa mesi non si era sbloccata ancora la ricapitalizzazione». Le difficoltà economiche derivano dal modello di business proprio della produzione di autobus da trasporto urbano. In questo comparto, infatti, il ciclo produttivo è caratterizzato dall’anticipazione dell’immobilizzazione finanziaria necessaria per avviare la produzione, che sarà ripagata solo dopo che il mezzo viene consegnato. Questo meccanismo fa sì che il cash flow necessario ad affrontare i cicli produttivi sia di volta in volta adeguato alle necessità scaturenti dalle commesse vinte, processo che richiede dei tempi di attuazione più lunghi del solito. «E poi c’è il rischio che non consegnando nei tempi giusti gli autobus ai comuni scattino le penali», prosegue Ferrari. «Questa è un’azienda che ha bisogno di liquidità ma anche di partnership con chi sa fare autobus. Serve un messaggio da parte di Leonardo, perché bisogna iniziare a lavorare su elettrico e idrogeno. Serve un management adeguato».Il rischio è di perdere le commesse già acquisite e di non investire più in nuove tecnologie, come l’elettrico o i veicoli a idrogeno, garantendo nuova occupazione in un settore, quello del trasporto pubblico che per di più è in forte espansione. «L’azienda ha migliaia di commesse da portare a termine», spiega Silvia Curcio della Fiom del centro di produzione di Flumeri in provincia di Avellino, uno dei due stabilimenti insieme a quello di Bologna, «ma serve capire quale sarà il piano industriale per rilanciare l’azienda. Il debito contratto in questi anni è dovuto ai ritardi nei pagamenti dei pezzi di ricambio. Sono stati fatti gli accordi con i fornitori, ma c’è ancora molta incertezza sul futuro. Non sappiamo quali sono le intenzioni di Invitalia e Leonardo. Da settimane si parla dell’arrivo di un nuovo socio». La Iia sconta da anni le difficoltà di un azionariato composto oltre che da Invitalia (42,76%) e Leonardo (28,65%) anche dai turchi di Karsa (28,59%). Oltre alla dismissione del settore civile da parte del colosso della Difesa, un modus operandi che va avanti ormai da diversi anni, non è bastata la ricapitalizzazione pubblica voluta dal manager dalemiano Arcuri. Per di più già l’assemblea del 2021, che aveva nominato due amministratori delegati, Giovanni De Filippis, indicato da Invitalia e affiancato da Antonio Liguori, manager storico del gruppo Leonardo, aveva dato un messaggio chiaro sulle difficoltà di rilancio dell’azienda.
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