2023-10-04
Il quotidiano dei vescovi scende in campo. E tira calci
Il giornale dei vescovi parla di «fallo di reazione» dell’esecutivo sul tema immigrati. E celebra don Mosè Zerai, archiviato dopo essere stato accusato di collusione con gli scafisti.Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, spara a zero contro il governo Meloni. Prima pagina: «Fallo di reazione». Come ci dice il codice calcistico quello di reazione è «il fallo fatto come reazione impulsiva conseguente a un’aggressione o a un fallo subito». In questo caso il fallo lo avrebbe commesso Giorgia Meloni contro la giudice di Catania, Iolanda Apostolico, che ha respinto la convalida del trattenimento dei migranti disposti dal questore di Ragusa. Abbiamo detto dei vescovi italiani ma non vogliamo sottovalutare le posizioni del vescovo di Roma, papa Francesco (ci scuserà se lo chiamiamo Papa, ma il nostro appellativo non ha alcuna valenza offensiva, anzi, è teologicamente fondato). Del resto, ormai siamo abituati a sentirle dire di ogni tipo dai preti, basti per tutti don Giusto della Valle, parroco a Como che, oltre che a dire che è legittimo occupare le case e sollecitare a farlo coloro che ne hanno bisogno, lo ha scritto anche nel periodico parrocchiale. Io penso, e voglio sperare, che diano a Dio quel che è di Dio, dubito fortissimamente che diano a Cesare quel che è di Cesare (l’emanazione di leggi e il dovuto controllo sulla loro applicazione). A Dio quel che è di Dio, a Cesare un calcio nel culo. Approfondiamo la questione. È ovvio, banale, scontato che chiunque, giornale dei vescovi compreso, possa criticare un provvedimento del governo. È il sale della democrazia che consiste nel dibattito, anche acceso, nella controversia, nella pluralità di opinioni, nella critica anche spietata alle istituzioni, fin qui non c’è dubbio. Se Avvenire la pensa così vuol dire che anche i vescovi la pensano così, che anche il Papa la pensa così e che noi la pensiamo cosà. Chissà se possiamo dirci cristiani lo stesso o se incorreremo prima o poi in un anatema sit, cioè in una scomunica data dal fatto che siamo eretici. Speriamo che non ci tocchi il rogo perché in questo autunno così caldo sarebbe ancora più doloroso. E in più, nel mio caso, la carne da arrostire sarebbe assai. Ma torniamo al punto. I cittadini, i parlamentari, i giudici, chiunque abbia cittadinanza in questo Paese ha diritto di ritenere una legge illegittima? E cioè, come ha sostenuto a proposito del decreto Meloni la stessa giudice di Catania, che il provvedimento va contro la Carta costituzionale e, più in generale, alle Carte dei diritti dell’uomo. Posizione legittima, ma questa sua posizione non le consente di non applicare la legge che - come sostiene - se è illegittima occorre ricorrere, in Italia, alla Corte costituzionale e in Europa alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Certamente non al governo che ha emanato quel decreto e che è già stato passato dal Parlamento al cosiddetto «vaglio di costituzionalità». Se c’è un fallo di reazione è evidentemente quello della giudice e non quello del governo. In questo momento il sottoscritto non sta difendendo né il governo Meloni né il suo provvedimento, sta difendendo l’autonomia delle istituzioni e in particolare i poteri del governo, della magistratura e della Corte costituzionale. Quando c’è una questione di costituzionalità, cioè il legittimo dubbio che una legge vada contro i principi costituzionali, non si va dalla magistratura, che è delegata a verificare la conformità alla Costituzione delle leggi, cioè a operare il controllo di legittimità costituzionale. Bisogna rivolgersi, cioè, a Roma in piazza del Quirinale al numero 41 dove, dal 1955, ha sede la Corte costituzionale della Repubblica italiana. Nel caso qualcuno avesse bisogno del codice di avviamento postale glielo forniamo subito: 00187. Non è questione da poco, tant’è vero che i padri costituenti ritennero importantissimo dotare la Repubblica di una Corte costituzionale che assicurasse il mantenimento della legittimità delle leggi nella storia repubblicana. Chissà se il quotidiano dei vescovi italiani ritiene di poter dare un giudizio politico e anche etico sulle leggi emanate dal governo e se pensa che questo giudizio possa essere antecedente e magari superiore a quello della Corte. Magari non hanno fatto tutto questo ragionamento e presi dalla foga anti meloniana si sono scagliati addirittura con gergo calcistico, sferrando per l’appunto un calcio a Cesare. Povero Cesare. Povera separazione dei poteri. Come se non bastasse, a pagina t3 del medesimo quotidiano, c’è una lunga intervista nella quale don Mosè Zerai, come scrive Avvenire «sacerdote di origine eritrea e angelo dei profughi e dei rifugiati» (nonché tempo fa accusato di collusione con gli scafisti e poi archiviato), sostiene che, a dieci anni, è stata tradita per sempre la memoria dei morti di Lampedusa (dieci anni fa, governo Gentiloni, ma questo per Avvenire non conta) e che ha vinto il cinismo. Non una parola sulle responsabilità dell’Europa, che strano! Nella stessa pagina ci sono dei virgolettati. In particolare, mi ha colpito quello di Marco Bertotto di Medici senza frontiere che sostiene: «Indispensabile e urgente un’azione di ricerca e soccorso su iniziativa degli Stati membri europei». Non lo so, ma non credo che il dottor Bertotto sia un fanatico sostenitore di Giorgia Meloni.
Jose Mourinho (Getty Images)