2021-01-12
Il prete è condannato per pedofilia, la Chiesa lo assolve e secreta le carte
Don Galli ha ricevuto sei anni a Milano per abusi su un minore, ma il tribunale ecclesiastico lo ha prosciolto e non permette l'accesso agli atti. Il Papa ha ordinato trasparenza, ma la disposizione «non è retroattiva»Un padre a Como è sotto processo per violenze alla figlia, confermate solo dalla perizia di uno psicologo sanzionato dall'Ordine per l'utilizzo dei famigerati metodi suggestiviLo speciale contiene due articoliStante la vigenza del segreto pontificio, il Tribunale non ha potuto rispondere ad eventuali richieste». Tutto in un cavillo. Così il Tribunale ecclesiastico regionale lombardo ha negato l'accesso agli atti del procedimento intrapreso e concluso per giudicare don Mauro Galli, il sacerdote condannato in primo grado a Milano a sei anni e quattro mesi per abuso sessuale su Alessandro Battaglia ma assolto (come aveva anticipato La Verità) nel primo processo penale canonico. Sia dal punto di vista giurisprudenziale, sia da quello procedurale sarebbe interessante capire in cosa si concretizza il forte discrimine fra una pesante colpevolezza (tribunale laico) e una sostanziale innocenza (tribunale religioso). La vicenda è la stessa, le prove anche, l'invito di don Galli a «dormire nel lettone» all'allora ragazzo di 15 anni - era il 19 dicembre 2011 - è stato confermato in ogni passaggio penale. E l'abuso sessuale nell'appartamento di Rozzano è alla base della sentenza milanese. La famiglia della vittima aveva inoltrato formale richiesta all'arcidiocesi dopo l'epocale svolta di papa Francesco, che a fine 2019 aveva tolto con un'operazione mediatica di risonanza planetaria il segreto pontificio sui reati di pedofilia in tonaca. Ma la trasparenza nella Chiesa avanza a passi lenti, come un pellegrino con enormi massi sulle spalle.La motivazione per non rendere noti i fascicoli del processo canonico è tecnicamente inattaccabile anche se moralmente singolare. «Occorre tener conto che l'abolizione è stata decisa da Sua Santità Francesco con una disposizione resa nota il giorno 6 dicembre 2019», sottolinea il documento firmato dal vicario giudiziale monsignor Paolo Bianchi. «Come tutte le disposizioni normative canoniche, non ha effetto retroattivo, salvo che ciò venga espressamente disposto». Poiché la sentenza del tribunale ecclesiastico era stata emessa il 24 giugno 2019 (nel silenzio più assoluto), nulla si può condividere perché allora «il segreto pontificio era pienamente in vigore». Lo stesso consesso si rammarica di non poter trasmettere gli atti alla vittima per il semplice motivo che non sono più in suo possesso, «avendoli trasmessi alla Congregazione per la dottrina della fede, unico tribunale di appello per tutta la Chiesa in merito ai delitti in parola». Così del procedimento canonico a carico di don Galli si conosce solo l'esito riassunto in una formula stringata: «sentenza dimissoria». Significa che l'imputato non è stato né condannato, né prosciolto con formula piena, ma assolto per insufficienza di prove.Condannato da un giudice laico, assolto (per ora) dalla Chiesa. La discrepanza ha un senso perché i parametri di giudizio sono differenti. Mentre per il tribunale italiano il crimine è contro la persona (la vittima), per quello ecclesiastico il crimine è di entrambi, un atto impuro contro Dio. E paradossalmente la vittima viene equiparata al reo perché lo avrebbe indotto a peccare. Lo sconfinamento nella morale è automatico. Quella morale che perfino il legale dell'imputato e dell'arcidiocesi di Milano, avvocato Mario Zanchetti, chiamò in causa nell'arringa finale del processo di corte d'Assise per salvare don Mauro. «In quella vicenda c'erano fatti di rilevanza canonica ma non di rilevanza penale. C'erano fatti di rilevanza etica, morale, reputazionale», elencò. Aggiungendo: «Non sto bagatellizzando la situazione, sto dicendo che ciò che ha fatto don Mauro è stato profondamente sbagliato e che le conseguenze non saranno piacevoli». Poi in un altro passaggio: «Sono 15 anni che seguo la diocesi di Milano e sono 15 anni che a tutti i sacerdoti, anche a quelli che escono dai seminari, dico che queste cose sono di una gravità inaudita. Un sacerdote non deve neanche dormire nella stessa stanza con un ragazzo, figurarsi nello stesso letto».Finora non sembra che i giudici ecclesiastici siano rimasti impressionati allo stesso modo; in attesa del procedimento d'appello in Vaticano, la sentenza dimissoria è un temporaneo lasciapassare verso la normalità. Dovesse essere confermata, in teoria il sacerdote potrebbe tornare ad incarichi ufficiali. L'accesso agli atti sarebbe stato interessante anche per cogliere un altro aspetto, quello dell'eventuale coinvolgimento nella vicenda di Mario Delpini (arcivescovo di Milano) e Pieraugusto Tremolada (vescovo di Brescia), che allora erano rispettivamente vicario episcopale e responsabile dei giovani sacerdoti. Invece di aprire un'indagine previa si limitarono a trasferire il prete a Legnano, teoricamente sempre a contatto con adolescenti. L'arcivescovo di quel tempo, Angelo Scola, in una lettera di scuse alla famiglia stigmatizzò il «comportamento maldestro» dei suoi collaboratori.La vicenda rischia di avere uno strascico pastorale sabato e domenica prossimi, quando Delpini visiterà la comunità cattolica di Rozzano e sarà accolto da fedeli e sacerdoti. I parenti della vittima gli consegneranno una lettera che ricorda il dolore di una vicenda ancora viva e mette in luce le opacità della gestione degli abusi da parte della Chiesa. «Monsignore, perché ha deciso di interrompere completamente i rapporti con noi? Qual è il nostro torto, essere la famiglia di un minore violentato da un prete?». Domande che attendono da troppo tempo una risposta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-prete-e-condannato-per-pedofilia-la-chiesa-lo-assolve-e-secreta-le-carte-2649879382.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="papa-accusato-col-sistema-bibbiano" data-post-id="2649879382" data-published-at="1610405210" data-use-pagination="False"> Papà accusato col sistema Bibbiano Una partita a tennis sulla pelle di un uomo disperato. Secondo la Cassazione il processo è da rifare accogliendo nuove prove, secondo la corte d'appello di Brescia la condanna a sette anni e sei mesi per abusi sulla figlia di soli due anni è pienamente legittima. L'ultimo set è previsto il 27 gennaio quando gli ermellini saranno chiamati a pronunciarsi di nuovo sulla sentenza dei giudici d'appello. La situazione kafkiana vede protagonista un imprenditore di Como che da dieci anni vive nell'incubo della più tremenda delle accuse, maturata in seguito a una separazione conflittuale. E concretizzata dopo che madre e nonna materna denunciano presunti abusi sessuali sulla bambina, commessi dal padre. Lui si è sempre dichiarato innocente. La vicenda è intricata, nel 2015 l'uomo viene condannato in via definitiva. Ma i ricorsi sembrano avere solide basi perché non ci sono prove concrete, mancano dichiarazioni dirette della bambina (a due anni), non ci sono referti clinici, non è mai stata effettuata una visita ginecologica sulla piccola. Nessuna prova fotografica, audio o video. Dagli accertamenti sui telefoni e i computer dell'imputato non emergono elementi decisivi. I capisaldi di condanna si riassumono nella visita della pediatra di famiglia (senza referti o fotografie e, per sua ammissione in aula, senza alcuna esperienza in tema di violenze sessuali) e nella perizia di uno psicologo incaricato dal gip del tribunale di Como, che afferma la presenza di elementi compatibili con gli abusi. Il suo ruolo è decisivo. Ma nel 2017 l'Ordine degli psicologi della Lombardia gli infligge una sanzione disciplinare (l'ammonimento) in merito alla vicenda «per avere impiegato metodologie delle quali non è stato in grado di indicare le fonti e i riferimenti scientifici». Secondo l'Ordine la perizia si sarebbe svolta con il ricorso a domande suggestive («Dove ti ha fatto male papà?»), esempio di ciò che non andrebbe fatto nell'ascolto di bimbi molto piccoli. Quando gli si chiede dove si forma, il perito risponde che segue il Cismai. Il coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia è stato più volte citato in relazione alle vicende di Bibbiano. La storia dell'imprenditore viene portata ad esempio in un convegno di psicologia, le ombre sulle sentenze di condanna sono maggiori delle luci ma per due volte la corte d'appello di Brescia rigetta l'istanza di revisione del processo nonostante la Cassazione abbia censurato la mancata valutazione del provvedimento disciplinare emesso nei confronti del perito. I legali impugnano la sentenza accusando i giudici di appello di non essersi uniformati alle indicazioni della Cassazione. Il 27 nuova pronuncia. I difensori Cataldo Intrieri e Ambra Giovene spiegano: «Chiediamo semplicemente che la scienza entri nel processo. E ci chiediamo come sia possibile fare affidamento su un documento redatto da un perito che, proprio per quell'atto, è stato sanzionato. Vogliamo che entrino in campo esperti neutri che valutino nuovamente il fatto». La storia offre particolari inquietanti. Alcuni giudici che hanno condannato l'imprenditore sono gli stessi del caso Renato Sterio, anch'egli comasco, definito colpevole nel 2002 per abusi sessuali sulla figlia di quattro anni sulla base delle accuse di moglie e suocera. Sterio scontò la pena di tre anni e dieci mesi prima di riuscire a ottenere una revisione del processo, dove fu riconosciuto innocente. Ma non è finita. Recentemente sempre in riva al lago un padre condannato in primo grado a otto anni e mezzo per abusi sulla figlia è stato assolto dalla corte d'appello di Milano. La condanna aveva come pilastro una perizia molto criticata dai giudici di secondo grado. Firmata dallo stesso psicologo.
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 settembre 2025. Il deputato di Azione Ettore Rosato ci parla della dine del bipolarismo italiano e del destino del centrosinistra. Per lui, «il leader è Conte, non la Schlein».