La sede della Procura di Torino (iStock). Nel riquadro Stefano Esposito (Ansa)
Quella che ha coinvolto per sette anni l’ex senatore dem Stefano Esposito è solo l’ultima delle cantonate dei pm: l’elenco è lungo. E cambiando Regione non va meglio, tra vite rovinate, perdite di tempo e di denaro. E poi ci si chiede perché Giovanni Toti ha patteggiato.
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Azione interforze di Guardia di Finanza, Polizia e Carabinieri. Disposte misure cautelari per 33 persone. Riciclaggio, usura e traffico di armi e stupefacenti i reati dell'associazione a delinquere legata alla cosca «Alvaro» dell'Aspromonte.
Nella mattinata di oggi investigatori della Polizia di Stato (del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile e della S.I.S.C.O. di Brescia) e della Guardia di Finanza (del Servizio Centrale I.C.O. e del Nucleo P.E.F. - G.I.C.O. di Brescia) hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Brescia nei confronti di 25 indagati, residenti nelle province di Brescia, Milano, Reggio Calabria, Como, Lecco, Varese, Viterbo e in Spagna, a carico dei quali è stato inoltre disposto il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie e beni per oltre 1.800.000 euro. Contestualmente i Carabinieri del Comando Provinciale di Brescia e dei reparti dell’Arma hanno dato esecuzione ad un’ulteriore misura cautelare sempre nell’ambito del medesimo procedimento penale nei confronti di 8 indagati, tra i quali anche membri della sopracitata associazione per delinquere di matrice ‘ndranghetista, ritenuti a vario titolo presunti responsabili dei reati di detenzione illegale di armi, riciclaggio, usura e ricettazione, aggravati dal metodo mafioso, oltre al reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La complessa indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia - Direzione Distrettuale Antimafia, avviata nel mese di settembre 2020, ha riguardato l’operatività, in territorio bresciano, di un’associazione per delinquere di matrice ‘ndranghetista, originaria di Sant’Eufemia d’Aspromonte (RC), residente da anni in questa provincia e legata da rapporti federativi alla cosca «Alvaro», egemone nella zona compresa tra i comuni di Sinopoli e Sant’Eufemia d’Aspromonte. L’attività investigativa ha permesso di ricostruire l’organigramma del sodalizio che, facendo leva sulla forza di intimidazione che deriva dal vincolo associativo, avrebbe riprodotto, in territorio bresciano, una «locale» in grado di porre in essere le azioni che caratterizzano le associazioni di tipo mafioso, come estorsioni, traffico di armi e stupefacenti, ricettazioni, usura e scambio elettorale politico-mafioso. In particolare, nel corso delle indagini sono emersi i legami e le cointeressenze tra il gruppo investigato e altri gruppi criminali sempre di matrice ‘ndranghetista presenti nell’hinterland bresciano, tra i quali si sarebbe instaurato un rapporto di mutua assistenza finalizzato alla realizzazione di una moltitudine di condotte illecite. Sono stati inoltre documentati i legami tra il sodalizio mafioso e un soggetto con esposizione pubblica, attivo nella comunità bresciana, con il quale il sodalizio avrebbe intrattenuto rapporti caratterizzati dal tipico pactum sceleris dello scambio elettorale politico-mafioso, ovvero l’impegno per il sostegno elettorale del clan con la futura promessa di reciproci illeciti vantaggi economici.
La pervasività delinquenziale della consorteria è stata inoltre dimostrata dalla capacità di penetrare le strutture carcerarie e veicolare messaggi ai detenuti, avvalendosi del sostegno di persone fidate e insospettabili, come quello fornito da una religiosa, che, più volte, avrebbe svolto il ruolo di intermediario tra gli associati e soggetti in detenzione, approfittando dell’incarico spirituale che le consentiva di avere libero accesso alle strutture carcerarie. Parallelamente, il gruppo investigato avrebbe dimostrato di essere in grado di far evolvere le proprie dinamiche economiche, assumendo tutte le caratteristiche delle moderne organizzazioni criminali che operano nel Nord Italia, abbinando ai reati di tipo tradizionale anche delitti di natura economico-finanziaria. Gli associati avrebbero, infatti, promosso, costituito ed etero-diretto una pluralità di imprese «cartiere» e «filtro», operanti nel settore del commercio di rottami che, nel periodo delle indagini, avrebbero emesso nei confronti di imprenditori compiacenti fatture per operazioni inesistenti per un imponibile complessivo di circa 12 milioni di euro, al fine di consentire loro, al netto della provvigione spettante all’associazione, di beneficiare dell’abbattimento del reddito nonché di riciclare il denaro frutto dei reati. A carico dei soggetti indagati sono stati emessi provvedimenti di sequestro preventivo, finalizzati alla confisca per equivalente, per un importo complessivo pari a oltre 1.800.000 euro, quale provento delle condotte penal-tributarie e riciclatorie ipotizzate. Sono attualmente in corso perquisizioni a cura di 300 appartenenti alle tre Forze di Polizia, estese anche alle province di Bergamo, Verona e Treviso, condotte con il supporto di moderni mezzi tecnici del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, del Servizio Centrale I.C.O. della Guardia di Finanza e dell’Arma dei Carabinieri nonché delle unità cinofile per la ricerca di armi e droga e «cash dog» - per la ricerca di contanti, in una cornice di sicurezza garantita anche dall’impiego di personale delle U.O.P.I. della Polizia di Stato e di militari specializzati A.T.- P.I. della Guardia di Finanza e dell’Aliquota di Primo Intervento dei Carabinieri. I provvedimenti di oggi sono stati emessi sulla scorta degli elementi probatori allo stato attuale acquisiti, ragione per cui sussiste la presunzione di innocenza sino alla definitività del giudizio.
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