
Dagli Usa arriva una mazzata: gli statunitensi avrebbero appurato un coinvolgimento dei nostri servizi nel caso Spygate, cosa che il presidente del Consiglio aveva appena negato. È una catastrofe diplomatica.Credo che Giuseppi Conte si fosse convinto di averla fatta franca, scivolando come una saponetta fra le mani di quei componenti del Copasir, il comitato parlamentare che vigila sui servizi segreti, che cercavano di incastrarlo. Per questo mercoledì si era presentato con grande disinvoltura alla conferenza stampa indetta dopo l'audizione, dicendo ai giornalisti di non essere stato convocato per chiarire il Russiagate, ma per parlare in generale di 007. Alla vicenda degli strani contatti con i servizi degli Stati Uniti e con il segretario alla Giustizia di Donald Trump, il presidente del Consiglio aveva anzi dedicato poche parole, quasi si trattasse di qualche cosa di molto marginale, da liquidare in fretta. «Ho chiarito ogni cosa, non c'è stato nulla di rilevante, solo uno scambio di cortesie fra Paesi amici». Tutto a posto, insomma, in questa faccenda di spioni, guerre politiche e dossier tra le due sponde dell'Atlantico.E invece, a distanza di pochi giorni, quando Conte era già all'attacco di Matteo Salvini, rinfacciandogli di non aver chiarito i fatti del Metropol e vantandosi invece per parte sua di aver risposto ai quesiti, ecco arrivare dagli Usa una notiziola che rimette tutto in discussione e fa aleggiare il sospetto che il premier italiano abbia nascosto qualcosa, fornendo al Copasir, e dunque anche all'opinione pubblica italiana, una ricostruzione molto addomesticata di quello che è realmente accaduto. E soprattutto, riaccreditando anche i dubbi sulla nascita del nuovo governo e su quell'endorsement così insolito e improvviso dell'inquilino della Casa Bianca.Ma andiamo con ordine. Dopo la nascita dell'esecutivo dalle porte girevoli, con un primo ministro che, dimessosi dall'incarico, è rinominato da una nuova maggioranza, venero a galla le vacanze romane di due alti funzionari americani. Quelle di William Barr e John Durham. Non era però una visita al Colosseo o piazza San Pietro, ma un viaggio per avere informazioni di prima mano dai nostri servizi segreti. Il «ministro della Giustizia» e il procuratore volevano conoscere che cosa sapessero gli 007 italiani di un certo Joseph Mifsud, professore maltese con cattedra alla Link University di Roma ma con contatti internazionali. Il docente, sospettato di essere una spia russa e forse anche un doppiogiochista al servizio dei democratici Usa, da tempo è sparito dalla circolazione, ma in America c'è qualcuno che è interessato a conoscere che fine abbia fatto e soprattutto che cosa ne sanno i nostri servizi di sicurezza. Se i due emissari di Trump hanno bussato alla porta di Giuseppi, che sui servizi ha tenuto per sé la delega, non è stato dunque per caso, ma perché alla Casa Bianca sono convinti che Roma abbia coperto Mifsud o forse che, nel passato, quando Donald Trump e Hillary Clinton si sfidavano, ci sia stato da parte del governo italiano un indiretto aiuto alla candidata democratica. In pratica, gli americani vogliono appurare se qualcuno in casa nostra ha giocato sporco per favorire la Clinton, convinti che l'operazione possa trasformarsi nella prossima campagna elettorale in un boomerang per i democratici.Che un presidente americano chieda a un governo alleato di aiutarlo a incastrare gli avversari non è certo una cosa che si veda tutti i giorni, come per altro non è roba ordinaria assistere a un esecutivo che si immischia in beghe politiche di altri Paesi, aiutando a organizzare tranelli per azzoppare le altrui candidature. Nell'uno o nell'altro caso però sarebbe utile saperlo, perché l'Italia non ci farebbe una bella figura. Tuttavia Giuseppi su questo intrigo ha sempre tenuto la bocca chiusa, badando bene a non informare i vicepremier del precedente governo, ma tacendo della richiesta degli uomini di Trump anche quando per ben due volte si presentarono a Roma. Quando la storia dei viaggi infine spuntò sui giornali, il premier disse che avrebbe chiarito in Parlamento, ma poi, come abbiamo detto, mercoledì al Copasir ha ammesso gli incontri e negato tutto il resto, assicurando di non aver fornito elementi utili alla strana inchiesta d'oltreoceano. Tutto a posto, insomma, come spiegò rispondendo con poche parole ai giornalisti.E invece no, perché l'altra sera Fox news, un'emittente americana molto vicina a Trump, in un servizio dedicato al caso ha fornito la versione a stelle e strisce, sostenendo che a Roma l'attorney general e il procuratore avrebbero raccolto nuove prove che allargano l'indagine, al punto che Durham ora vorrebbe interrogare i vertici dell'intelligence nominati da Barack Obama. E chi le ha fornite queste nuove prove? Conte dice che gli 007 italiani non sapevano nulla dell'attività di Mifsud, ma Barr e il procuratore, secondo la Fox, sembrano dire altro. Anzi: gli americani avrebbero in mano la memoria dei cellulari di Mifsud e perfino una registrazione. Dunque, in questa storia di spie, di dossier e di guerre senza esclusione di colpi fra democratici e repubblicani, qualcuno non la racconta giusta. E il sospetto è che a non dire tutto sia uno dei nostri. La saponetta di Palazzo Chigi di certo non è riuscita a lavare via l'ombra di mistero che circonda la storia e per Giuseppi ci sono altre domande in arrivo.
Zohran Mamdani (Ansa)
Dalle politiche sociali ai limiti dell’esproprio alla città come «santuario» per i gay Mamdani rappresenta la radicalizzazione dei dem. Ma anche una bella grana
Da più parti, la vittoria di Zohran Mamdani alle elezioni municipali di New York City è stata descritta (se non addirittura salutata) come uno «schiaffo» a Donald Trump. Ora, a prima vista, le cose sembrerebbero stare effettivamente così: il prossimo primo cittadino della Grande Mela, che entrerà in carica a gennaio, sembra quanto di più lontano possa esserci dal presidente americano. Tanto che, alla vigilia del voto, lo stesso Trump aveva dato il proprio endorsement al suo principale sfidante: il candidato indipendente, nonché ex governatore dem dello Stato di New York, Andrew Cuomo.
Rifugiati attraversano il confine dal Darfur, in Sudan, verso il Ciad (Getty Images)
Dopo 18 mesi d’assedio, i paramilitari di Hemeti hanno conquistato al Fasher, ultima roccaforte governativa del Darfur. Migliaia i civili uccisi e stupri di massa. L’Onu parla della peggior catastrofe umanitaria del pianeta.






