
Scandali sessuali e bugie hanno sfigurato la verità. Sbagliato dividerci in partiti, liberal contro conservatori. In unità con Pietro, imploriamo perdono. E iniziamo un cammino di purificazione dai nostri vizi e peccati.«Se un membro soffre, tutte le membra soffrono» è l' incipit scelto da papa Francesco per la sua Lettera al popolo di Dio, del 20 agosto scorso. Ogni riga esprime il dolore del Santo Padre per gli scandali di morale sessuale (ma non solo) che stanno lacerando la Chiesa, corpo mistico e sposa del Signore. Vorrei partire proprio da qui per proporre una riflessione che, partendo da sentimenti insopprimibili di sofferenza, dolore e sconcerto, possa lasciare spazio a quella speranza che vince gli eventi di morte e che la resurrezione di Cristo ha trasformato in assoluta certezza. Spero di poter essere la voce di tanti comuni fedeli che proprio in questi ultimi giorni si sentono confusi, disorientati e restano ammutoliti. Possiamo ritrovare coraggio proprio nelle parole del Santo Padre che, nella sua citata lettera, afferma che «sminuire e sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente» è certamente un pericolo che si può correre, ma che si deve evitare. Una volta si diceva «vox populi vox Dei». Non so se sia proprio così e comunque non è un assoluto, ma se il popolo piange, un briciolo di caritatevole attenzione gli deve essere data. Quando il popolo di Dio piange? I profeti insegnano che piange quando si è allontanato da Dio, ha abbandonato i suoi comandamenti, si è costruito falsi idoli, ha tradito l'Alleanza, ha messo il proprio ventre nel luogo santo (dice il profeta Daniele) e si è così meritato la deportazione e l'esilio a Babilonia. Denaro, corruzione, carriera, potere, sesso, successo: ora come allora stanno uccidendo l'uomo e stanno corrompendo la stessa Chiesa. Ma ora come allora c'è sempre la possibilità del pentimento, della conversione e del ritorno alla casa del Padre. Israele, schiavo di «Babilonia criminale», non può che appendere ai salici le cetre che cantavano la sua allegria e ha il cuore straziato dall'angoscia. Nasce così la nostalgia della terra promessa: vede e comprende i suoi errori, prova colpa e pentimento, prega, invoca, supplica, digiuna finché il cuore di Dio, sempre fedele, si commuove al suo lamento e lo riconduce nella terra dei padri. Anche oggi può ripetersi questo «miracolo», perché Dio - che non gradisce sacrifici e olocausti - ha un «punto debole»: il cuore pentito e umiliato suscita sempre la compassione del Padre. Pedofilia, pederastia, omosessualità, abusi sessuali che non conoscono limiti di età o di sesso (ahimè, quanta ricchezza profetica nella inscindibilità fra il valore unitivo e quello procreativo di ogni atto sessuale, che il «prossimo» santo papa Paolo VI sostenne con fede e coraggio!), bugie, intrallazzi e sotterfugi che hanno sfigurato la verità, hanno devastato il corpo mistico di Cristo: invocando perdono, con vergogna e dolore come ci dice il Papa, uniti a lui con la certezza che «ubi Petrus ibi ecclesiam« (Sant'Ambrogio), inoltriamoci in un cammino di purificazione da tutti i nostri vizi e di conversione da tutti i nostri peccati, e teniamo per certo che il Padre ci sta aspettando. Riconosciamoci tutti «figliol prodigo» e tutti «fratello maggiore»; tutti bisognosi della misericordia che rigenera. È una grande occasione di purificazione, ciascuno per la parte che gli spetta, che non possiamo e non dobbiamo perdere. Guai dividersi, guai sposare logiche mondane di partiti contrapposti, liberal versus conservatori, di lotte lobbistiche con insulti e accuse reciproche, di inopinate richieste di dimissioni di colui che ha la missione e il dovere di condurci fuori da questo diabolico fango. «Cum Petro et sub Petro» perché è proprio nella debolezza di Pietro (pensiamo al racconto evangelico) che si manifesta che la Chiesa si fonda sull'infinita potenza della grazia. Papa Francesco non ha fatto mistero della sua sofferenza e - uomo sensibile e d'animo delicato com'è - starà facendo un profondo esame di coscienza di fronte al Signore che lo ha chiamato ad essere suo vicario in terra. Come il primo Pietro, egli sa benissimo che la sua missione di sommo pastore esige di vegliare come una sentinella e di confermare nella fede tutto il popolo di Dio, per condurlo all'unico perfetto pastore, Cristo Gesù. Sa altrettanto bene che non può contare sulle sue forze, ma può trarre forza ogni giorno dalla promessa che non si cancella mai: le porte degli inferi non prevarranno sulla Chiesa che Cristo ha edificato su Pietro (Mt 16,18) e che continua a edificare anche ai nostri giorni. Speriamo che questa «carezza» possa giungere, soprattutto al cuore, del Papa.
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