True
2022-03-17
Il piano di pace ha la sua prima bozza. Sul piatto cessate il fuoco e neutralità
Sergej Lavrov (Ansa)
Crisi ucraina: siamo vicini a una svolta? Secondo quanto rivelato ieri dal Financial Times, le delegazioni di Ucraina e Russia starebbero lavorando alla bozza di un piano di pace, che si articolerebbe in 15 punti. Il quotidiano londinese ha in particolare riferito che il documento «comporterebbe la rinuncia di Kiev alle sue ambizioni di aderire alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari o armi straniere in cambio della protezione di alleati come Stati Uniti, Regno Unito e Turchia». In tutto questo, la bozza prevederebbe un cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, mentre Kiev si impegnerebbe a mantenere la neutralità auspicata da Mosca. L’accordo conterrebbe inoltre garanzie per tutelare la lingua russa nelle aree dell’Ucraina in cui viene parlata. Risulterebbe invece ancora in salita la strada per un’intesa sulla Crimea e sul Donbass. Kiev comunque ha smorzato gli entusiasmi dicendo che la bozza riflette la posizione russa.
In attesa di capire quanto sia effettivamente vicino il raggiungimento di un’intesa, la situazione generale resta in bilico: spiragli distensivi si alternano continuamente infatti a bruschi passi indietro. Ieri mattina, una nota di timido ottimismo è stata espressa dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov: «Mi affido all’opinione dei nostri negoziatori. Dicono che i negoziati non sono stati facili per ragioni apparenti, ma c’è comunque una certa speranza di raggiungere un compromesso», ha detto. «La stessa opinione», ha aggiunto, «è stata espressa da alcuni membri della delegazione ucraina. Lo stesso presidente Zelensky ha recentemente rilasciato una serie di dichiarazioni interessanti». Non molto tempo prima, Zelensky aveva del resto mostrato cauti (ancorché significativi) segnali di apertura, lasciando intendere che si starebbero registrando dei progressi nelle trattative diplomatiche. «Gli incontri continuano e, mi è stato detto, le posizioni durante i negoziati suonano già più realistiche», aveva affermato. Lo stesso Zelensky, l’altro ieri, aveva aperto alla possibilità di un passo indietro di Kiev rispetto all’eventualità di un suo ingresso nella Nato, dichiarando: «L’Ucraina non è un membro della Nato. Abbiamo sentito per anni che le porte erano aperte, ma abbiamo anche sentito che non potevamo aderire. È una verità e deve essere riconosciuta».
Se i russi sembrano essere disposti a un passo indietro sulla richiesta di un’Ucraina demilitarizzata, il nodo principale in queste ore è tuttavia diventato quello della neutralità. Ieri, il capo delegazione russo, Vladimir Medinsky, ha detto che la Russia avrebbe messo sul tavolo i modelli di neutralità austriaca o svedese (il che comporterebbe ovviamente che Kiev resti fuori dall’Alleanza atlantica). Una proposta che è stata accolta con relativa freddezza dall’Ucraina. «Sicuramente comprendiamo che i nostri partner stanno cercando di mantenere l’iniziativa come parte del processo negoziale. Da qui le parole su un modello di neutralità svedese o austriaco. Ma il modello può essere solo ucraino e solo con garanzie di sicurezza legalmente calibrate. E nessun altro modello o opzione», ha detto, sempre ieri, il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak. Nonostante gli ostacoli, continua a essere ventilata l’ipotesi di un vertice tra Zelensky e Vladimir Putin. «Non ci sono ostacoli all’organizzazione di un tale incontro con la consapevolezza che non sarebbe solo fine a sé stesso; dovrebbe suggellare accordi concreti che sono attualmente in fase di elaborazione da parte delle due delegazioni», ha detto Lavrov ieri.
È intanto al lavoro anche la diplomazia internazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha parlato ieri con il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolay Patrushev: si tratta del primo contatto ufficiale di alto livello avvenuto tra Washington e Mosca da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, Sullivan ha chiesto all’omologo russo di cessare i bombardamenti sulle città ucraine. Tutto questo, mentre - sempre ieri - il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, si è incontrato con Lavrov a Mosca. «La guerra deve finire, le persone non devono morire», ha detto Cavusoglu, auspicando inoltre che la Turchia possa ospitare un vertice tra Putin e Zelensky. Ricordiamo che Ankara sostiene fortemente Kiev, ma che è al contempo legata a Mosca nei settori di energia e difesa: una serie di intrecci che le stanno progressivamente conferendo un ruolo centrale di mediazione. Non è del resto un caso che, come abbiamo visto, la Turchia compaia tra i Paesi garanti dell’accordo (ancora in bozza), citato dal Financial Times. In tutto questo, anche la Santa Sede si sta muovendo. Ieri, papa Francesco ha avuto un colloquio a distanza con il patriarca di Mosca, Kirill (notoriamente vicino al Cremlino). Secondo il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni, la conversazione si è concentrata «sulla guerra in Ucraina e il ruolo dei cristiani e dei loro pastori nel fare di tutto perché prevalga la pace». In particolare, il Papa e il Patriarca hanno sottolineato, nel loro colloquio, «l’eccezionale importanza del processo negoziale in corso». «Chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore», ha detto il Pontefice.
Continuano nel frattempo a tenere banco le preoccupazioni per il ruolo della Cina nella vicenda ucraina. Ieri, la Camera ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno, presentato dal deputato leghista Paolo Formentini: un ordine che, partendo dalle potenziali ripercussioni della crisi ucraina su Taiwan, impegna il governo ad avviare una riflessione sulla posizione da adottare con la Nato nei confronti dell’Indo-Pacifico.
Ma Zelensky alimenta il rancore Usa
Continua a leggereRiduci
Il «Financial Times» rivela un’agenda in 15 punti. Sergej Lavrov: «Passi avanti». Kiev: «Sono le richieste russe». Intanto Sullivan parla con il suo omologo al Cremlino. E papa Francesco rimette in piedi il dialogo con Kirill.Citando Pearl Harbor e l’11 settembre, il presidente ha chiesto di nuovo al Congresso aerei e no fly zone. E da Joe Biden arrivano 800 milioni di dollari di aiuti per la sicurezza.Lo speciale contiene due articoliCrisi ucraina: siamo vicini a una svolta? Secondo quanto rivelato ieri dal Financial Times, le delegazioni di Ucraina e Russia starebbero lavorando alla bozza di un piano di pace, che si articolerebbe in 15 punti. Il quotidiano londinese ha in particolare riferito che il documento «comporterebbe la rinuncia di Kiev alle sue ambizioni di aderire alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari o armi straniere in cambio della protezione di alleati come Stati Uniti, Regno Unito e Turchia». In tutto questo, la bozza prevederebbe un cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, mentre Kiev si impegnerebbe a mantenere la neutralità auspicata da Mosca. L’accordo conterrebbe inoltre garanzie per tutelare la lingua russa nelle aree dell’Ucraina in cui viene parlata. Risulterebbe invece ancora in salita la strada per un’intesa sulla Crimea e sul Donbass. Kiev comunque ha smorzato gli entusiasmi dicendo che la bozza riflette la posizione russa. In attesa di capire quanto sia effettivamente vicino il raggiungimento di un’intesa, la situazione generale resta in bilico: spiragli distensivi si alternano continuamente infatti a bruschi passi indietro. Ieri mattina, una nota di timido ottimismo è stata espressa dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov: «Mi affido all’opinione dei nostri negoziatori. Dicono che i negoziati non sono stati facili per ragioni apparenti, ma c’è comunque una certa speranza di raggiungere un compromesso», ha detto. «La stessa opinione», ha aggiunto, «è stata espressa da alcuni membri della delegazione ucraina. Lo stesso presidente Zelensky ha recentemente rilasciato una serie di dichiarazioni interessanti». Non molto tempo prima, Zelensky aveva del resto mostrato cauti (ancorché significativi) segnali di apertura, lasciando intendere che si starebbero registrando dei progressi nelle trattative diplomatiche. «Gli incontri continuano e, mi è stato detto, le posizioni durante i negoziati suonano già più realistiche», aveva affermato. Lo stesso Zelensky, l’altro ieri, aveva aperto alla possibilità di un passo indietro di Kiev rispetto all’eventualità di un suo ingresso nella Nato, dichiarando: «L’Ucraina non è un membro della Nato. Abbiamo sentito per anni che le porte erano aperte, ma abbiamo anche sentito che non potevamo aderire. È una verità e deve essere riconosciuta».Se i russi sembrano essere disposti a un passo indietro sulla richiesta di un’Ucraina demilitarizzata, il nodo principale in queste ore è tuttavia diventato quello della neutralità. Ieri, il capo delegazione russo, Vladimir Medinsky, ha detto che la Russia avrebbe messo sul tavolo i modelli di neutralità austriaca o svedese (il che comporterebbe ovviamente che Kiev resti fuori dall’Alleanza atlantica). Una proposta che è stata accolta con relativa freddezza dall’Ucraina. «Sicuramente comprendiamo che i nostri partner stanno cercando di mantenere l’iniziativa come parte del processo negoziale. Da qui le parole su un modello di neutralità svedese o austriaco. Ma il modello può essere solo ucraino e solo con garanzie di sicurezza legalmente calibrate. E nessun altro modello o opzione», ha detto, sempre ieri, il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak. Nonostante gli ostacoli, continua a essere ventilata l’ipotesi di un vertice tra Zelensky e Vladimir Putin. «Non ci sono ostacoli all’organizzazione di un tale incontro con la consapevolezza che non sarebbe solo fine a sé stesso; dovrebbe suggellare accordi concreti che sono attualmente in fase di elaborazione da parte delle due delegazioni», ha detto Lavrov ieri. È intanto al lavoro anche la diplomazia internazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha parlato ieri con il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolay Patrushev: si tratta del primo contatto ufficiale di alto livello avvenuto tra Washington e Mosca da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, Sullivan ha chiesto all’omologo russo di cessare i bombardamenti sulle città ucraine. Tutto questo, mentre - sempre ieri - il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, si è incontrato con Lavrov a Mosca. «La guerra deve finire, le persone non devono morire», ha detto Cavusoglu, auspicando inoltre che la Turchia possa ospitare un vertice tra Putin e Zelensky. Ricordiamo che Ankara sostiene fortemente Kiev, ma che è al contempo legata a Mosca nei settori di energia e difesa: una serie di intrecci che le stanno progressivamente conferendo un ruolo centrale di mediazione. Non è del resto un caso che, come abbiamo visto, la Turchia compaia tra i Paesi garanti dell’accordo (ancora in bozza), citato dal Financial Times. In tutto questo, anche la Santa Sede si sta muovendo. Ieri, papa Francesco ha avuto un colloquio a distanza con il patriarca di Mosca, Kirill (notoriamente vicino al Cremlino). Secondo il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni, la conversazione si è concentrata «sulla guerra in Ucraina e il ruolo dei cristiani e dei loro pastori nel fare di tutto perché prevalga la pace». In particolare, il Papa e il Patriarca hanno sottolineato, nel loro colloquio, «l’eccezionale importanza del processo negoziale in corso». «Chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore», ha detto il Pontefice. Continuano nel frattempo a tenere banco le preoccupazioni per il ruolo della Cina nella vicenda ucraina. Ieri, la Camera ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno, presentato dal deputato leghista Paolo Formentini: un ordine che, partendo dalle potenziali ripercussioni della crisi ucraina su Taiwan, impegna il governo ad avviare una riflessione sulla posizione da adottare con la Nato nei confronti dell’Indo-Pacifico. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-piano-di-pace-ha-la-sua-prima-bozza-sul-piatto-cessate-il-fuoco-e-neutralita-2656972788.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="ma-zelensky-alimenta-il-rancore-usa" data-post-id="2656972788" data-published-at="1647467477" data-use-pagination="False"> Ma Zelensky alimenta il rancore Usa Volodymyr Zelensky ha tenuto ieri un discorso al Congresso degli Stati Uniti per via telematica. «Amici americani, nella vostra grande storia avete pagine che vi permetterebbero di capire gli ucraini, capirci ora, quando abbiamo bisogno di voi in questo momento», ha detto. «Ricordate Pearl Harbor, la terribile mattina del 7 dicembre 1941, quando il vostro cielo era nero per gli aerei che vi attaccavano», ha proseguito. «Ricordate l’11 settembre, un terribile giorno del 2001 in cui il male ha cercato di trasformare le città degli Stati Uniti in campi di battaglia, quando persone innocenti sono state attaccate dall’aria inaspettatamente e voi non potevate fermarlo. Il nostro Paese sperimenta lo stesso, ogni giorno, proprio ora in questo momento», ha aggiunto. Il presidente ucraino, nel suo discorso, è tornato a chiedere la creazione di una no fly zone: un’opzione che tuttavia viene temuta da più parti, in quanto rischierebbe di far scoppiare un conflitto diretto tra l’Alleanza atlantica e la Russia. È in quest’ottica che, sempre ieri, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è tornato a escludere una simile mossa. In conclusione del suo discorso, Zelensky si è rivolto direttamente a Joe Biden. «Mi rivolgo al presidente Biden: tu sei il leader della nazione, della tua grande nazione. Ti auguro di essere il leader del mondo. Essere il leader del mondo significa essere il leader della pace». Il presidente americano, dal canto suo, ha definito «appassionato» il discorso dell’omologo ucraino, annunciando ulteriori 800 milioni di dollari di aiuti per la sicurezza al governo di Kiev. «Il popolo americano sarà fermo nel sostegno al popolo ucraino di fronte agli attacchi immorali di Putin alle popolazioni civili», ha dichiarato Biden, per poi proseguire: «Questo nuovo pacchetto, da solo, fornirà un’assistenza senza precedenti all’Ucraina. Include 800 sistemi antiaerei per assicurare che l’esercito ucraino possa continuare a fermare gli aerei e gli elicotteri che hanno attaccato il suo popolo e a difendere il suo spazio aereo». Tuttavia, come sottolineato ieri dalla Cnn, il presidente americano ha evitato di sostenere la creazione di una no fly zone e non ha inviato jet da combattimento. Oltre ai rischi di un conflitto tra Nato e Russia, l’inquilino della Casa Bianca - che ieri ha definito Putin un «criminale di guerra» - deve del resto gestire anche alcune difficoltà interne: se una parte dei parlamentari americani lo giudica troppo timido nella crisi ucraina, un’altra parte invita invece ad approcci improntati a cautela. Un ulteriore fronte spinoso per lui è poi quello della ridotta autonomia energetica degli Stati Uniti: un fronte su cui i repubblicani lo stanno criticando da giorni, a causa delle misure green che aveva adottato l’anno scorso (come lo stop all’oleodotto Keystone Xl). Nel frattempo, ieri è tornato a parlare anche Vladimir Putin. «Cercando di cancellare la Russia, l’Occidente ha fatto cadere la sua maschera di civiltà e ha iniziato ad agire in modo bellicoso, ha dimostrato la sua vera natura. Si impone un confronto con i pogrom antisemiti dei nazisti eseguiti in Germania negli anni Trenta del secolo scorso», ha dichiarato. Il presidente russo ha inoltre detto che l’offensiva in Ucraina «si sta sviluppando con successo» ed è tornato a sostenere che in Donbass si sarebbe verificato un «genocidio». La domanda da porsi a questo punto è: quale impatto avranno le parole di Putin e Zelensky sul processo negoziale in corso?
iStock
La reazione di tanti è però ambigua, come è nella natura degli italiani, scaltri e navigati, e di chi ha uso di mondo. Bello in via di principio ma in pratica come si fa? Tecnicamente si può davvero lasciare loro lo smartphone ma col «parental control» che inibisce alcuni social, o ci saranno sotterfugi, scappatoie, nasceranno simil-social selvatici e dunque ancora più pericolosi, e saremo punto e daccapo? Giusto il provvedimento, bravi gli australiani ma come li tieni poi i ragazzi e le loro reazioni? E se poi scappa il suicidio, l’atto disperato, o il parricidio, il matricidio, del ragazzo imbestialito e privato del suo super-Io in display; se i ragazzi che sono fragili vengono traumatizzati dal divieto, i governi, le autorità non cominceranno a fare retromarcia, a inventarsi improbabili soluzioni graduali, a cominciare coi primi distinguo che poi vanificano il provvedimento? E poi, botta finale: è facile concepire queste norme restrittive quando non si hanno ragazzini in casa, o pretendere di educare gli educatori quando si è ben lontani da quelle gabbie feroci che sono le aule scolastiche! Provate a mettervi nei nostri panni prima di fare i Catoni da remoto!
Avete ragione su tutto, ma alla fine se volete tentare di guidare un po’ il futuro, se volete aiutare davvero i ragazzi, se volete dare e non solo subire la direzione del mondo, dovete provare a non assecondarli, a non rifugiarvi dietro il comodo fatalismo dei processi irreversibili, e dunque il fatalismo dei sì, perché sono assai più facili dei no. Ma qualcosa bisogna fare per impedire l’istupidimento in tenera età e in via di formazione degli uomini di domani. Abbiamo una responsabilità civile e sociale, morale e culturale, abbiamo dei doveri, non possiamo rassegnarci al feticcio del fatto compiuto. Abbiamo criticato per anni il pigro conformismo delle società arcaiche che ripetevano i luoghi comuni e le pratiche di vita semplicemente perché «si è fatto sempre così». E ora dovremmo adottare il conformismo altrettanto pigro, e spesso nocivo, delle società moderne e postmoderne con la scusa che «lo fanno tutti oggi, e non si può tornare indietro». Di questa decisione australiana io condivido lo spirito e la legge; ho solo un’inevitabile allergia per i divieti, ma in questi casi va superata, e un’altrettanto comprensibile diffidenza sull’efficacia e la durata del provvedimento, perché anche in Australia, perfino in Australia, si troveranno alla fine i modi per aggirare il divieto o per sostituire gli accessi con altri. Figuratevi da noi, a Furbilandia. Ma sono due perplessità ineliminabili che non rendono vano il provvedimento che resta invece necessario; semmai andrebbe solo perfezionato.
Il problema è la dipendenza dai social, e la trasformazione degli accessi in eccessi: troppe ore sui social, e questo vale anche per gli adulti e per i vecchi, un po’ come già succedeva con la televisione sempre accesa ma con un grado virale di attenzione e di interattività che rende lo smartphone più nocivo del già noto istupidimento da overdose televisiva.
Si perde la realtà, la vita vera, le relazioni e le amicizie, le esperienze della vita, l’esercizio dell’intelligenza applicata ai fatti e ai rapporti umani, si sterilizzano i sentimenti, si favorisce l’allergia alle letture e alle altre forme socio-culturali. È un mondo piccolo, assai più piccolo di quello descritto così vivacemente da Giovannino Guareschi, che era però pieno di umanità, di natura, di forti passioni e di un rapporto duro e verace con la vita, senza mediazioni e fughe; ma anche con il Padreterno e con i misteri della fede. Quel mondo iscatolato in una teca di vetro di nove per sedici centimetri è davvero piccolo anche se ha l’apparenza di portarti in giro per il mondo, e in tutti i tempi. Sono ipnotizzati dallo Strumento, che diventa il tabernacolo e la fonte di ogni luce e di ogni sapere, di ogni relazione e di ogni rivelazione; bisogna spezzare l’incantesimo, bisogna riprendere a vivere e bisogna saper farne a meno, per alcune ore del giorno.
La stupida Europa che bandisce culti, culture e coltivazioni per imporre norme, algoritmi ed espianti, dovrebbe per una volta esercitarsi in una direttiva veramente educativa: impegnarsi a far passare la legge australiana anche da noi, magari più circostanziata e contestualizzata. L’Europa può farlo, perché non risponde a nessun demos sovrano, a nessuna elezione; i governi nazionali temono troppo l’impopolarità, le opposizioni e la ritorsione dei ragazzi e dei loro famigliari in loro soccorso o perché li preferiscono ipnotizzati sul video così non richiedono attenzioni e premure e non fanno danni. Invece bisogna pur giocare la partita con la tecnologia, favorendo ciò che giova e scoraggiando ciò che nuoce, con occhio limpido e mente lucida, senza terrore e senza euforia.
Mi auguro anzi che qualcuno in grado di mutare i destini dei popoli, possa concepire una visione strategica complessiva in cui saper dosare in via preliminare libertà e limiti, benefici e sacrifici, piaceri e doveri, che poi ciascuno strada facendo gestirà per conto suo. E se qualcuno dirà che questo è un compito da Stato etico, risponderemo che l’assenza di limiti e di interesse per il bene comune, rende gli Stati inutili o dannosi, perché al servizio dei guastatori e dei peggiori o vigliaccamente neutri rispetto a ciò che fa bene e ciò che fa male. È difficile trovare un punto di equilibrio tra diritti e doveri, tra libertà e responsabilità, ma se gli Stati si arrendono a priori, si rivelano solo inutili e ingombranti carcasse. Per evitare lo Stato etico fondano lo Stato ebete, facile preda dei peggiori.
Continua a leggereRiduci
Ecco #DimmiLaVerità dell'11 dicembre 2025. Con il nostro Fabio Amendolara commentiamo gli ultimi sviluppi del caso Garlasco.