Il piano di pace ha la sua prima bozza. Sul piatto cessate il fuoco e neutralità

- Il «Financial Times» rivela un’agenda in 15 punti. Sergej Lavrov: «Passi avanti». Kiev: «Sono le richieste russe». Intanto Sullivan parla con il suo omologo al Cremlino. E papa Francesco rimette in piedi il dialogo con Kirill.
- Citando Pearl Harbor e l’11 settembre, il presidente ha chiesto di nuovo al Congresso aerei e no fly zone. E da Joe Biden arrivano 800 milioni di dollari di aiuti per la sicurezza.
Lo speciale contiene due articoli
Crisi ucraina: siamo vicini a una svolta? Secondo quanto rivelato ieri dal Financial Times, le delegazioni di Ucraina e Russia starebbero lavorando alla bozza di un piano di pace, che si articolerebbe in 15 punti. Il quotidiano londinese ha in particolare riferito che il documento «comporterebbe la rinuncia di Kiev alle sue ambizioni di aderire alla Nato e la promessa di non ospitare basi militari o armi straniere in cambio della protezione di alleati come Stati Uniti, Regno Unito e Turchia». In tutto questo, la bozza prevederebbe un cessate il fuoco e il ritiro delle truppe russe dal territorio ucraino, mentre Kiev si impegnerebbe a mantenere la neutralità auspicata da Mosca. L’accordo conterrebbe inoltre garanzie per tutelare la lingua russa nelle aree dell’Ucraina in cui viene parlata. Risulterebbe invece ancora in salita la strada per un’intesa sulla Crimea e sul Donbass. Kiev comunque ha smorzato gli entusiasmi dicendo che la bozza riflette la posizione russa.
In attesa di capire quanto sia effettivamente vicino il raggiungimento di un’intesa, la situazione generale resta in bilico: spiragli distensivi si alternano continuamente infatti a bruschi passi indietro. Ieri mattina, una nota di timido ottimismo è stata espressa dal ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov: «Mi affido all’opinione dei nostri negoziatori. Dicono che i negoziati non sono stati facili per ragioni apparenti, ma c’è comunque una certa speranza di raggiungere un compromesso», ha detto. «La stessa opinione», ha aggiunto, «è stata espressa da alcuni membri della delegazione ucraina. Lo stesso presidente Zelensky ha recentemente rilasciato una serie di dichiarazioni interessanti». Non molto tempo prima, Zelensky aveva del resto mostrato cauti (ancorché significativi) segnali di apertura, lasciando intendere che si starebbero registrando dei progressi nelle trattative diplomatiche. «Gli incontri continuano e, mi è stato detto, le posizioni durante i negoziati suonano già più realistiche», aveva affermato. Lo stesso Zelensky, l’altro ieri, aveva aperto alla possibilità di un passo indietro di Kiev rispetto all’eventualità di un suo ingresso nella Nato, dichiarando: «L’Ucraina non è un membro della Nato. Abbiamo sentito per anni che le porte erano aperte, ma abbiamo anche sentito che non potevamo aderire. È una verità e deve essere riconosciuta».
Se i russi sembrano essere disposti a un passo indietro sulla richiesta di un’Ucraina demilitarizzata, il nodo principale in queste ore è tuttavia diventato quello della neutralità. Ieri, il capo delegazione russo, Vladimir Medinsky, ha detto che la Russia avrebbe messo sul tavolo i modelli di neutralità austriaca o svedese (il che comporterebbe ovviamente che Kiev resti fuori dall’Alleanza atlantica). Una proposta che è stata accolta con relativa freddezza dall’Ucraina. «Sicuramente comprendiamo che i nostri partner stanno cercando di mantenere l’iniziativa come parte del processo negoziale. Da qui le parole su un modello di neutralità svedese o austriaco. Ma il modello può essere solo ucraino e solo con garanzie di sicurezza legalmente calibrate. E nessun altro modello o opzione», ha detto, sempre ieri, il capo dell’ufficio presidenziale ucraino, Mykhailo Podolyak. Nonostante gli ostacoli, continua a essere ventilata l’ipotesi di un vertice tra Zelensky e Vladimir Putin. «Non ci sono ostacoli all’organizzazione di un tale incontro con la consapevolezza che non sarebbe solo fine a sé stesso; dovrebbe suggellare accordi concreti che sono attualmente in fase di elaborazione da parte delle due delegazioni», ha detto Lavrov ieri.
È intanto al lavoro anche la diplomazia internazionale. Il consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Jake Sullivan, ha parlato ieri con il segretario del Consiglio di sicurezza russo, Nikolay Patrushev: si tratta del primo contatto ufficiale di alto livello avvenuto tra Washington e Mosca da quando è iniziata l’invasione russa dell’Ucraina. In particolare, Sullivan ha chiesto all’omologo russo di cessare i bombardamenti sulle città ucraine. Tutto questo, mentre - sempre ieri - il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, si è incontrato con Lavrov a Mosca. «La guerra deve finire, le persone non devono morire», ha detto Cavusoglu, auspicando inoltre che la Turchia possa ospitare un vertice tra Putin e Zelensky. Ricordiamo che Ankara sostiene fortemente Kiev, ma che è al contempo legata a Mosca nei settori di energia e difesa: una serie di intrecci che le stanno progressivamente conferendo un ruolo centrale di mediazione. Non è del resto un caso che, come abbiamo visto, la Turchia compaia tra i Paesi garanti dell’accordo (ancora in bozza), citato dal Financial Times. In tutto questo, anche la Santa Sede si sta muovendo. Ieri, papa Francesco ha avuto un colloquio a distanza con il patriarca di Mosca, Kirill (notoriamente vicino al Cremlino). Secondo il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni, la conversazione si è concentrata «sulla guerra in Ucraina e il ruolo dei cristiani e dei loro pastori nel fare di tutto perché prevalga la pace». In particolare, il Papa e il Patriarca hanno sottolineato, nel loro colloquio, «l’eccezionale importanza del processo negoziale in corso». «Chi paga il conto della guerra è la gente, sono i soldati russi ed è la gente che viene bombardata e muore», ha detto il Pontefice.
Continuano nel frattempo a tenere banco le preoccupazioni per il ruolo della Cina nella vicenda ucraina. Ieri, la Camera ha approvato a larga maggioranza un ordine del giorno, presentato dal deputato leghista Paolo Formentini: un ordine che, partendo dalle potenziali ripercussioni della crisi ucraina su Taiwan, impegna il governo ad avviare una riflessione sulla posizione da adottare con la Nato nei confronti dell’Indo-Pacifico.





