
Maggioranza separata in casa: lo strappo, in apparenza ricucito, ha aperto una ferita insanabile. Tre membri di Italia viva sarebbero pronti a mollare il partito. L'audio scherzoso di Rocco Casalino: «Amore ci sarà il Conte ter».E giunse l'ora dei responsabili. Nessuno lo dice apertamente, ma la bega della prescrizione - perso l'autobus del Milleproroghe - è già finita in ghiacciaia, in attesa che si dipani il complicato filo delle procedure legislative che ormai è diventato indispensabile per modificare la riforma. Però i problemi del governo Conte e della sua guerra contro il «fuoco amico» di Matteo Renzi deflagrano comunque, e proprio adesso quando il nodo del contendere apparentemente viene meno. Il paradosso è che il governo non ha smesso di litigare con la malferma tregua raggiunta sulla giustizia. Anzi, è l'esatto contrario: il dissidio sulla riforma Bonafede è diventato uno spartiacque, la cesura tra un prima e un dopo. Ovvero il confine tra il tempo in cui la maggioranza giallorossa soffriva ma resisteva, e quello con cui è iniziata una stagione di odio da «separati in casa»: i due contendenti dormono entrambi con la pistola sotto il cuscino, in attesa di liquidare il conto.Quasi non ha senso, adesso, chiedersi chi abbia cominciato, e quale sia stato il vero punto di non ritorno, né chi dei due abbia fatto la mossa di troppo. Il tema è che il dado è tratto: da stasera in poi, se Matteo Renzi avrà la possibilità di far fuori il governo che ormai non sopporta più (a patto di riuscirci senza far cadere la legislatura) non esiterà un solo attimo a colpire, cercando il colpo letale. Mentre se Giuseppe Conte e Nicola Zingaretti avranno la possibilità di amputare la gamba di Italia viva (a patto di riuscirci senza far cadere la loro maggioranza) lo faranno senza un solo momento di esitazione. Anche perché entrambi si fanno forza con il fatto che ad aprire le ostilità è stato Renzi. Nessuno dei due azionisti della maggioranza si è fatto ingannare dai toni apparentemente concilianti della diretta Facebook di cui vi abbiamo raccontato ieri. Anzi. Al Nazareno e a Palazzo Chigi tutti hanno notato come, dietro i toni fintamente concilianti, fosse chiara la sfida, e marcato il lessico delle parole forti: «Se Conte ha il coraggio di staccare la spina lo faccia...». Toni da intimidatore, dicono, così li hanno percepiti. Anche perché «staccare la spina» è stata la locuzione che ha annunciato la fine del governo gialloblù e che oggi il leader di Italia viva utilizza non a caso. E dicono anche: è il carattere del Bullo (definizione di Giampaolo Pansa che ormai circola in tutto il Palazzo), che esce fuori. E poi una terza certezza: «Adesso abbassa i toni solo perché si prepara il girotondo delle nomine. Poi si ricomincia a ballare». Ed ecco che una parola fino a ieri fumosa diventa pesante, prende corpo e si solidifica come un budino infilato nel frigo: «Responsabili». Fino a ieri era una ipotesi, adesso è una certezza. L'unico modo per liberarsi di Renzi, e di quelli che a Palazzo Chigi sono percepiti solo come ricatti, è costruire una pattuglia di senatori che sostituiscano le eventuali defezioni. Quanti? I giallorossi hanno 152 voti. La maggioranza è a quota 157. Renzi può contare su 17 senatori. Questo significa che in teoria si passa anche con sei voti in più. Ma è ovvio che per stare in sicurezza ne servano almeno dieci. Da dove possono arrivare? Ed ecco il punto: il gruppo delle Autonomie, è sostanzialmente diviso fra destra e sinistra, tre a tre. Impossibile recuperarli tutti, già uno su tre sarebbe un successo. Ci sono poi due deputati del misto che hanno votato destra. E almeno tre o quattro che aderiscono al gruppo di Forza Italia su cui il centrosinistra pensa di poter provare a lavorare con possibilità di successo sicuro. Ci sono più singole personalità che con le loro storie potrebbero avere interesse a costruire una forza moderata: l'ex sindaco di Marina di Pietrasanta Massimo Mallegni. Oppure l'ex direttore del Quotidiano Nazionale Andrea Cangini. E poi le prede elettive, i centristi di marchio udicino: Antonio De Poli e Antonio Saccone. A Paola Binetti, poi, alcuni emissari cattolici già dicono: «Ma ti ricordi che nel 2010 eri nel Pd, con noi?». Infine, colpo di scena ma mica tanto, i trapper della maggioranza sono convinti che almeno tre renziani siano molto incerti, e dunque recuperabili. Ecco la spiegazione che mi danno off the record: «Due di loro sono molto intelligenti e si sono convinti che la strategia dello strappo non porti da nessuna parte. Uno di loro è molto insoddisfatto rispetto alle aspettative che aveva. Lavoriamo su tutti e tre».Ed ecco il quadro: ci sono almeno dieci potenziali «responsabili» su cui si lavora convinti di portarli a casa. Ma se fai notare agli scout che c'è il rischio ribaltone, loro si arrabbiano e ti fanno il nome di Andrea Causin: «Quello è uno che viene dalle Acli. È lì che è fuori posto, non con noi». E però proprio in questa offensiva appare chiaro il problema di Renzi. Anche lui sta monitorando i suoi uomini. Se si rendesse conto di non avere più le truppe necessarie per far scendere Conte, si fermerebbe un passo prima dello strappo, tornerebbe nei ranghi e incasserebbe le nomine: win-win, come piace a lui. Tuttavia il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi. Fino all'ultimo giorno d'Aula i sospetti responsabili erano letteralmente inseguiti nei corridoi di Palazzo Madama. Martedì riprendono i lavori e riprende la caccia. L'impressione è di ritrovarsi nello stesso scenario di 1917, il super kolossal sulla prima guerra mondiale: gli eserciti sono già troppo avanti per essere richiamati nelle trincee. Su tutto, l'audio sublime e ironico di Rocco Casalino, spedito a Franco Bechis e diffuso ieri da Linkiesta: «Amore, vedrai che ci sarà il Conte ter». Un amore ignoto, ma di sicuro responsabile.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Cinquant’anni fa uscì la prima critica gastronomica del futuro terrore dei ristoratori. Che iniziò come giornalista di omicidi e rapine di cui faceva cronaca sul «Corriere d’informazione». Poi la svolta. Che gli procurò una condanna a morte da parte del boss Turatello.
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
Mauro Micillo: «Le iniziative avviate dall’amministrazione americana in ambiti strategici come infrastrutture e intelligenza artificiale offrono nuove opportunità di investimento». Un ponte anche per il made in Italy.
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)
All’ex procuratore devono essere restituiti cellulari, tablet, hard disk, computer: non le vecchie agende datate 2017 e 2023. E sulla Squadretta spunta una «famiglia Sempio».