2020-12-15
Il Pd concerà gli italiani per le feste. Mazzata fiscale a rendite ed eredità
Nicola Fratoianni e Matteo Orfini (Ansa)
Il governo accelera per approvare la manovra entro l'anno, di fatto azzerando il dibattito in Parlamento. Il responsabile economico di Nicola Zingaretti suggerisce: patrimoniale sugli immobili e stangata sulle successioni.A dieci giorni esatti dal Natale, siamo appena entrati - con un ritardo senza giustificazioni - nella settimana decisiva per il primo esame parlamentare della legge di Bilancio, che quest'anno inizia a Montecitorio. Tutto nasce a partire dal clamoroso ritardo (un mese rispetto alla scadenza del 20 ottobre) con cui la manovra è stata trasmessa dal governo alle Camere. Ciascuno comprende che, a meno di entrare in esercizio provvisorio, se si vuole approvare tutto entro fine anno, prima la Camera e poi soprattutto il Senato avranno margini di manovra letteralmente inesistenti. Altro che dialogo con l'opposizione, a questo punto. La verità è che la maggioranza deve fare i conti con una enorme (e del tutto autoprocurata) questione di metodo, cioè un clamoroso ingorgo parlamentare. Accanto al treno della legge di Bilancio, i macchinisti giallorossi hanno messo altri quattro treni (il decreto Ristori, il Ristori bis, il ter e il quater). Sono complessivamente cinque treni che intasano il Parlamento in modo quasi ingestibile. Tra l'altro, non è nemmeno immaginabile far convergere il contenuto dei decreti Ristori come emendamenti alla legge di bilancio: i ristori riguardano infatti il 2020, mentre la manovra riguarda per definizione il 2021. Morale, si crea una questione gigantesca. Un paio di anni fa, nell'unica esperienza di governo gialloblù, si gridò contro la «compressione parlamentare» eccessiva della discussione della legge di Bilancio. Ma allora una giustificazione c'era, e cioè uno spossante confronto con Bruxelles che costrinse il governo a riscrivere la manovra a metà dicembre. Stavolta questa scusa non può essere accampata dai giallorossi. Ma, oltre alle questioni di forma, ci sono tre punti di sostanza che rischiano di far perdere il sonno ai contribuenti. Il primo ha a che fare con il temibile emendamento pro patrimoniale (ulteriore) presentato da Nicola Fratoianni (Leu) e Matteo Orfini (Pd) che, dichiarato inammissibile in prima battuta, è stato invece riammesso al voto. Si ricorderà la motivazione abbastanza surreale con cui la presidenza della commissione Bilancio rimise in pista la proposta: «in considerazione della difficoltà di effettuare una puntuale quantificazione riguardo alla stima degli effetti di gettito derivanti dalla proposta emendativa, fermo restando che più puntuali informazioni potranno essere acquisite in proposito dal governo nel corso dell'esame dell'emendamento stesso». In pratica, fu messo nero su bianco il fatto che né i presentatori né la presidenza della commissione Bilancio fossero in grado, preliminarmente, di capire con esattezza cosa sarebbe accaduto in termini di gettito: se cioè l'imposizione fiscale sarebbe aumentata, e quanto, e nei confronti di chi.Dunque, rimane una spada di Damocle: resta cioè la spiacevolissima sensazione che, senza una chiara e definitiva presa di posizione contraria da parte del governo e dei partiti della maggioranza (che non c'è stata), qualcosa di spiacevole possa davvero succedere, magari attraverso una «riformulazione» dell'emendamento in corso d'opera, nel chiuso della commissione, nel suk di una sessione di bilancio confusa e senza bussola. Anche perché, come ricorda sempre il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa, il paradosso è che si discute di patrimoniali eventuali e future, per meglio nascondere la devastante patrimoniale che già esiste. Ogni anno i proprietari di case, negozi, uffici, capannoni, subiscono già una rapina fiscale da 21 miliardi, che in una decina d'anni ha drenato oltre 200 miliardi di liquidità agli italiani, tagliando di un quarto il valore del patrimonio immobiliare del Paese. Ma a vecchi e nuovi comunisti, e purtroppo non solo a loro, tutto ciò non sembra fare né caldo né freddo. Anzi, proprio qui scatta la seconda questione, originata dall'editoriale di ieri, pubblicato dal quotidiano Domani, e firmato da Emanuele Felice, responsabile economico del Pd. Non c'è bisogno di commentare, basta citare: «Una riforma fiscale in senso progressivo, che alleggerisca il carico sul ceto medio e produttivo, e lo sposti invece sulla rendita (si pensi a quella immobiliare, oggi tassata in modo piatto, o alle eredità, che godono di un regime fra i più bassi di tutto il mondo avanzato), dovrà pure scontentare qualcuno». Traduzione: aumentare la tassa di successione, e aumentare (ancora!) la già enorme patrimoniale immobiliare. E poi c'è chi ancora ha il coraggio di negare che il Pd sia il partito delle tasse. La terza questione, opportunamente posta nei giorni scorsi anche da Italia Oggi, riguarda un'altra incredibile minaccia che pende sulla testa degli italiani. In mancanza di un provvedimento che fermi il plotone d'esecuzione fiscale (che era stato stoppato per l'ultima volta a metà ottobre), dal 1° gennaio prossimo ci sono circa 31 milioni di atti dell'Agenzia delle entrate e della riscossione pronti a partire: sono circa 12 milioni di cartelle ferme di quest'anno, più 8-9 milioni di atti della riscossione, più altri 10 milioni di atti, tra avvisi e accertamenti. In tutta franchezza, solo dei marziani possono ritenere che, dopo un simile anno di crisi, e a maggior ragione nella situazione di lockdown strisciante in cui ci troviamo, gli italiani abbiano la liquidità per far fronte a questa botta. Che sarebbe per molte famiglie e imprese il colpo di grazia. Altro che «ristoro».