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2023-06-13
Il partito sotto choc: aspetta il testamento politico di Silvio e si affida a Tajani
Antonio Tajani (Imagoeconomica)
Dolore vero, quello dei big di Forza Italia: dolore fisico. Provare a strappare una dichiarazione che non sia di cordoglio, nel giorno che non doveva arrivare mai, è una impresa impossibile. Non se lo aspettavano: «Eravamo più preoccupati durante lo scorso ricovero», dice alla Verità un parlamentare azzurro, «è stato un colpo durissimo. Il futuro? C’è Tajani, poi dipende dalla famiglia». Già, c’è Antonio Tajani: tocca a lui, vicepremier, ministro degli Esteri e coordinatore nazionale del partito, portare sulle spalle il peso di una eredità politica così immensa, e provare a dare coraggio a un partito che si ritrova orfano. Un partito che grazie all’energia del Cav è riuscito, contro ogni pronostico, alle politiche dello scorso 25 settembre, a superare l’8%, pareggiando il dato della Lega e riuscendo a confermarsi pilastro imprescindibile della maggioranza di centrodestra, con 45 deputati e 18 senatori, compreso ovviamente lui, Silvio Berlusconi. Un partito che esprime 5 ministri (Antonio Tajani, che è anche vicepremier; Anna Maria Bernini, Gilberto Pichetto Fratin, Paolo Zangrillo e Maria Elisabetta Alberti Casellati); 2 viceministri (Francesco Paolo Sisto e Valentino Valentini); 6 sottosegretari (Matilde Siracusano, Maria Tripodi, Sandra Savino, Matteo Perego, Alberto Barachini, Tullio Ferrante); presidenti di Regione come Renato Schifani in Sicilia, Roberto Occhiuto in Calabria e Alberto Cirio in Piemonte; 10 parlamentari europei.
Un partito il cui futuro, adesso, è pieno di incognite. I contrasti interni sono congelati, e ci mancherebbe altro: c’è da attraversare il tunnel più oscuro, da elaborare il lutto meno elaborabile. Poi ci sarà da decidere e da programmare, aspettando naturalmente la lettura del testamento di Berlusconi, che potrebbe contenere anche indicazioni sul futuro di Forza Italia, partito padronale rimasto senza padrone: «Dipende dalla famiglia», è il mantra di queste ore, ma nessuno sa, nessuno neanche immagina se e quanto la famiglia avrà voglia di impegnarsi ancora in politica. Un impegno costoso, anche in termini economici: le spese di Forza Italia se le accollava Berlusconi, ora si dovrà pensare anche a questo.
Al di là di fidejussioni e conti bancari, bisognerà anche vedere, anzi leggere, se Berlusconi ha messo nero su bianco anche le sue volontà sulla gestione del partito. Marta Fascina, la sua compagna di vita, negli ultimi tempi ha rafforzato notevolmente il suo ruolo organizzativo: in molti si chiedono se il suo peso in Forza Italia ora aumenterà, diminuirà, o resterà invariato. Così come molti sperano di poter contare ancora su Gianni Letta, l’eminenza azzurrina. Quello che tutti, ora, escludono, è la liquidazione: «Oggi», dice Tajani, in lacrime, a Washington, «Forza Italia è una comunità colpita, ferita, ma ha una missione totale: unirsi nel rilanciare il messaggio del nostro leader, continuare in maniera convinta sul percorso che Silvio Berlusconi ci ha indicato. Questa missione sarà perseguita con forza, con convinzione. In questo giorno di profondo dolore, dico che lo faremo anche con l’energia e la gioia che il nostro leader mi ha trasmesso dal momento della nascita di Forza Italia, che mi ha dato l’onore di fondare insieme a lui. Il suo progetto politico e umano», aggiunge Tajani, «continuerà a ispirarci e guidarci, a indicare il percorso per realizzare gli obiettivi che Silvio Berlusconi ha sempre voluto per il bene dell’Italia, Il suo ultimo messaggio è stato l’invito a lavorare per la pace».
Tajani anticipa il rientro in Italia, parte subito dopo aver incontrato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, questa mattina sarà a Milano. Quel «lavora per la pace», l’ultimo messaggio di Berlusconi, può valere anche in chiave interna al partito: Tajani ha un anno di tempo, fino alle prossime elezioni europee, per rimodellare Forza Italia, ricompattare le varie anime che albergano al suo interno, rimarginare le lacerazioni che si sono prodotte al momento della formazione del governo, quando l’esclusione di Licia Ronzulli, che il Cav avrebbe voluto nell’esecutivo, ma che Giorgia Meloni ha tenuto alla larga da Palazzo Chigi, hanno fatto traballare il partito e il centrodestra.
«Il partito c’è», sospira alla Verità un parlamentare, «la struttura esiste, ci sono coordinatori regionali, provinciali, cittadini. Tajani ha sulle sue spalle un peso gigantesco, dovremo mettere da parte le frizioni e essere compatti come non siamo mai stati, altrimenti per noi è finita».
Le voci si rincorrono, le profezie pure: c’è chi pronostica una diaspora verso la Lega o Fratelli d’Italia, chi addirittura immagina che Matteo Renzi possa rappresentare l’approdo per i naufraghi. Tutte ipotesi da scartare, almeno nel breve periodo: la Meloni, in particolare, avrebbe tutto da perdere se Forza Italia esplodesse, e in prospettiva ha bisogno di una forza politica di centro, nella sua coalizione, che attragga gli elettori più moderati e che sia collocato nel Partito popolare europeo. Intanto, entro 60 giorni si svolgeranno le elezioni suppletive nel collegio uninominale di Monza, quello dove Silvio Berlusconi è stato eletto senatore lo scorso settembre, con il 50,3% dei voti. Sarà il primo test senza Silvio, il primo ostacolo da superare sul percorso della sopravvivenza politica di Forza Italia.
Nessuno scossone sul governo. Per tre buoni motivi
«Se il centrodestra riuscirà a non litigare senza di lui? Penso che glielo dobbiamo»: Giorgia Meloni al Tg5 risponde in maniera guardinga alla domanda sul futuro prossimo della maggioranza e di conseguenza del governo. «Averlo, potersi confrontare con lui», aggiunge la Meloni, «era un elemento che ti tranquillizzava in tante cose. Lui c’era passato prima e aveva fatto bene. Sono molto fiera anche del fatto che ultimamente, soprattutto, spesso mi chiamava e mi diceva: stai lavorando bene. E non era facile per un uomo con quella esperienza. Anche nell’ultima telefonata che abbiamo avuto mi ha detto: guarda te lo voglio dire, sono molto fiero del lavoro che stai facendo, di come lo stai facendo».
La cautela della premier è comprensibile, considerato che le conseguenze della scomparsa di Silvio Berlusconi sono imprevedibili, ma almeno per i prossimi mesi è francamente difficile immaginare che Forza Italia possa provocare problemi all’esecutivo. La prima garanzia di stabilità è il rapporto solido che lega la Meloni alla famiglia Berlusconi, in particolare a Marina: è stata la primogenita del Cav a intervenire quando, subito dopo le elezioni, la linea del partito sembrava ondivaga, se non addirittura in contrasto con la presidente del Consiglio. La seconda garanzia di stabilità sono, naturalmente, le aziende di famiglia, la cui prosperità è inevitabilmente legata alla permanenza al potere. Infine, c’è l’istinto di autoconservazione: ministri e sottosegretari, deputati e senatori, sanno bene che senza Silvio Berlusconi in campo per Forza Italia sarà difficile, molto difficile, mantenere intatto il suo elettorato, con il conseguente rischio, in caso di crisi, di tornarsene a casa e rimanerci per sempre.
Detto ciò, la Meloni non può immaginare che Forza Italia non tenti in qualche modo di caratterizzarsi politicamente, ora che non c’è più Silvio ad attrarre voti: il partito dovrà necessariamente marcare le differenze dagli alleati per non finire dissolto. Se fino ad ora, infatti, era il Presidente a caricarsi sulle spalle il peso di intercettare i consensi, ora Forza Italia dovrà guadagnarsi la fiducia degli elettori attraverso le proposte politiche. L’omologazione alla linea di Fratelli d’Italia o della Lega, infatti, finirebbe per rendere Forza Italia un partito-fotocopia degli alleati, con gli elettori che, in questi casi, scelgono sempre e comunque l’originale.
Impensabile anche che la stessa Meloni autorizzi eventuali cambi di casacca nelle prossime settimane: è naturale che deputati, senatori, consiglieri regionali e via dicendo, cercheranno di trovare riparo sotto il grande ombrello di Fratelli d’Italia, ma una transumanza di questo tipo sarebbe pericolosissima per il partito della premier, ne altererebbe i delicati equilibri interni e finirebbe per azzerare la «gamba centrista» della coalizione. Anche la Lega, ovviamente, viene considerata un porto sicuro per i naufraghi di Forza Italia, e qui il discorso è diverso: Matteo Salvini, nel medio periodo, potrebbe essere interessato a federare il suo partito con quello azzurro, nell’ottica di bilanciare il peso di Fratelli d’Italia. Ogni ragionamento di questo genere, comunque sia, è rimandato all’autunno, quando si potrà misurare, attraverso i sondaggi, il peso elettorale di Forza Italia senza Silvio in campo. Se i numeri saranno confortanti, ovvero non drammatici, si andrà avanti così fino alle Europee; se invece si registrerà un crollo di Forza Italia, a quel punto per il governo potrebbero esserci problemi.
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Il mantra: «Dipende dalla famiglia». Il ministro degli Esteri ora deve evitare diaspore verso gli alleati e possibili «Opa» di Matteo Renzi.Rapporto solido del premier con Marina, le aziende da tutelare, l’autoconservazione. E l’interesse di Fdi di coprirsi al centro.Lo speciale contiene due articoliDolore vero, quello dei big di Forza Italia: dolore fisico. Provare a strappare una dichiarazione che non sia di cordoglio, nel giorno che non doveva arrivare mai, è una impresa impossibile. Non se lo aspettavano: «Eravamo più preoccupati durante lo scorso ricovero», dice alla Verità un parlamentare azzurro, «è stato un colpo durissimo. Il futuro? C’è Tajani, poi dipende dalla famiglia». Già, c’è Antonio Tajani: tocca a lui, vicepremier, ministro degli Esteri e coordinatore nazionale del partito, portare sulle spalle il peso di una eredità politica così immensa, e provare a dare coraggio a un partito che si ritrova orfano. Un partito che grazie all’energia del Cav è riuscito, contro ogni pronostico, alle politiche dello scorso 25 settembre, a superare l’8%, pareggiando il dato della Lega e riuscendo a confermarsi pilastro imprescindibile della maggioranza di centrodestra, con 45 deputati e 18 senatori, compreso ovviamente lui, Silvio Berlusconi. Un partito che esprime 5 ministri (Antonio Tajani, che è anche vicepremier; Anna Maria Bernini, Gilberto Pichetto Fratin, Paolo Zangrillo e Maria Elisabetta Alberti Casellati); 2 viceministri (Francesco Paolo Sisto e Valentino Valentini); 6 sottosegretari (Matilde Siracusano, Maria Tripodi, Sandra Savino, Matteo Perego, Alberto Barachini, Tullio Ferrante); presidenti di Regione come Renato Schifani in Sicilia, Roberto Occhiuto in Calabria e Alberto Cirio in Piemonte; 10 parlamentari europei.Un partito il cui futuro, adesso, è pieno di incognite. I contrasti interni sono congelati, e ci mancherebbe altro: c’è da attraversare il tunnel più oscuro, da elaborare il lutto meno elaborabile. Poi ci sarà da decidere e da programmare, aspettando naturalmente la lettura del testamento di Berlusconi, che potrebbe contenere anche indicazioni sul futuro di Forza Italia, partito padronale rimasto senza padrone: «Dipende dalla famiglia», è il mantra di queste ore, ma nessuno sa, nessuno neanche immagina se e quanto la famiglia avrà voglia di impegnarsi ancora in politica. Un impegno costoso, anche in termini economici: le spese di Forza Italia se le accollava Berlusconi, ora si dovrà pensare anche a questo. Al di là di fidejussioni e conti bancari, bisognerà anche vedere, anzi leggere, se Berlusconi ha messo nero su bianco anche le sue volontà sulla gestione del partito. Marta Fascina, la sua compagna di vita, negli ultimi tempi ha rafforzato notevolmente il suo ruolo organizzativo: in molti si chiedono se il suo peso in Forza Italia ora aumenterà, diminuirà, o resterà invariato. Così come molti sperano di poter contare ancora su Gianni Letta, l’eminenza azzurrina. Quello che tutti, ora, escludono, è la liquidazione: «Oggi», dice Tajani, in lacrime, a Washington, «Forza Italia è una comunità colpita, ferita, ma ha una missione totale: unirsi nel rilanciare il messaggio del nostro leader, continuare in maniera convinta sul percorso che Silvio Berlusconi ci ha indicato. Questa missione sarà perseguita con forza, con convinzione. In questo giorno di profondo dolore, dico che lo faremo anche con l’energia e la gioia che il nostro leader mi ha trasmesso dal momento della nascita di Forza Italia, che mi ha dato l’onore di fondare insieme a lui. Il suo progetto politico e umano», aggiunge Tajani, «continuerà a ispirarci e guidarci, a indicare il percorso per realizzare gli obiettivi che Silvio Berlusconi ha sempre voluto per il bene dell’Italia, Il suo ultimo messaggio è stato l’invito a lavorare per la pace». Tajani anticipa il rientro in Italia, parte subito dopo aver incontrato il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, questa mattina sarà a Milano. Quel «lavora per la pace», l’ultimo messaggio di Berlusconi, può valere anche in chiave interna al partito: Tajani ha un anno di tempo, fino alle prossime elezioni europee, per rimodellare Forza Italia, ricompattare le varie anime che albergano al suo interno, rimarginare le lacerazioni che si sono prodotte al momento della formazione del governo, quando l’esclusione di Licia Ronzulli, che il Cav avrebbe voluto nell’esecutivo, ma che Giorgia Meloni ha tenuto alla larga da Palazzo Chigi, hanno fatto traballare il partito e il centrodestra. «Il partito c’è», sospira alla Verità un parlamentare, «la struttura esiste, ci sono coordinatori regionali, provinciali, cittadini. Tajani ha sulle sue spalle un peso gigantesco, dovremo mettere da parte le frizioni e essere compatti come non siamo mai stati, altrimenti per noi è finita». Le voci si rincorrono, le profezie pure: c’è chi pronostica una diaspora verso la Lega o Fratelli d’Italia, chi addirittura immagina che Matteo Renzi possa rappresentare l’approdo per i naufraghi. Tutte ipotesi da scartare, almeno nel breve periodo: la Meloni, in particolare, avrebbe tutto da perdere se Forza Italia esplodesse, e in prospettiva ha bisogno di una forza politica di centro, nella sua coalizione, che attragga gli elettori più moderati e che sia collocato nel Partito popolare europeo. Intanto, entro 60 giorni si svolgeranno le elezioni suppletive nel collegio uninominale di Monza, quello dove Silvio Berlusconi è stato eletto senatore lo scorso settembre, con il 50,3% dei voti. Sarà il primo test senza Silvio, il primo ostacolo da superare sul percorso della sopravvivenza politica di Forza Italia.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-partito-sotto-choc-aspetta-il-testamento-politico-di-silvio-e-si-affida-a-tajani-2661215496.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="nessuno-scossone-sul-governo-per-tre-buoni-motivi" data-post-id="2661215496" data-published-at="1686596438" data-use-pagination="False"> Nessuno scossone sul governo. Per tre buoni motivi «Se il centrodestra riuscirà a non litigare senza di lui? Penso che glielo dobbiamo»: Giorgia Meloni al Tg5 risponde in maniera guardinga alla domanda sul futuro prossimo della maggioranza e di conseguenza del governo. «Averlo, potersi confrontare con lui», aggiunge la Meloni, «era un elemento che ti tranquillizzava in tante cose. Lui c’era passato prima e aveva fatto bene. Sono molto fiera anche del fatto che ultimamente, soprattutto, spesso mi chiamava e mi diceva: stai lavorando bene. E non era facile per un uomo con quella esperienza. Anche nell’ultima telefonata che abbiamo avuto mi ha detto: guarda te lo voglio dire, sono molto fiero del lavoro che stai facendo, di come lo stai facendo». La cautela della premier è comprensibile, considerato che le conseguenze della scomparsa di Silvio Berlusconi sono imprevedibili, ma almeno per i prossimi mesi è francamente difficile immaginare che Forza Italia possa provocare problemi all’esecutivo. La prima garanzia di stabilità è il rapporto solido che lega la Meloni alla famiglia Berlusconi, in particolare a Marina: è stata la primogenita del Cav a intervenire quando, subito dopo le elezioni, la linea del partito sembrava ondivaga, se non addirittura in contrasto con la presidente del Consiglio. La seconda garanzia di stabilità sono, naturalmente, le aziende di famiglia, la cui prosperità è inevitabilmente legata alla permanenza al potere. Infine, c’è l’istinto di autoconservazione: ministri e sottosegretari, deputati e senatori, sanno bene che senza Silvio Berlusconi in campo per Forza Italia sarà difficile, molto difficile, mantenere intatto il suo elettorato, con il conseguente rischio, in caso di crisi, di tornarsene a casa e rimanerci per sempre. Detto ciò, la Meloni non può immaginare che Forza Italia non tenti in qualche modo di caratterizzarsi politicamente, ora che non c’è più Silvio ad attrarre voti: il partito dovrà necessariamente marcare le differenze dagli alleati per non finire dissolto. Se fino ad ora, infatti, era il Presidente a caricarsi sulle spalle il peso di intercettare i consensi, ora Forza Italia dovrà guadagnarsi la fiducia degli elettori attraverso le proposte politiche. L’omologazione alla linea di Fratelli d’Italia o della Lega, infatti, finirebbe per rendere Forza Italia un partito-fotocopia degli alleati, con gli elettori che, in questi casi, scelgono sempre e comunque l’originale. Impensabile anche che la stessa Meloni autorizzi eventuali cambi di casacca nelle prossime settimane: è naturale che deputati, senatori, consiglieri regionali e via dicendo, cercheranno di trovare riparo sotto il grande ombrello di Fratelli d’Italia, ma una transumanza di questo tipo sarebbe pericolosissima per il partito della premier, ne altererebbe i delicati equilibri interni e finirebbe per azzerare la «gamba centrista» della coalizione. Anche la Lega, ovviamente, viene considerata un porto sicuro per i naufraghi di Forza Italia, e qui il discorso è diverso: Matteo Salvini, nel medio periodo, potrebbe essere interessato a federare il suo partito con quello azzurro, nell’ottica di bilanciare il peso di Fratelli d’Italia. Ogni ragionamento di questo genere, comunque sia, è rimandato all’autunno, quando si potrà misurare, attraverso i sondaggi, il peso elettorale di Forza Italia senza Silvio in campo. Se i numeri saranno confortanti, ovvero non drammatici, si andrà avanti così fino alle Europee; se invece si registrerà un crollo di Forza Italia, a quel punto per il governo potrebbero esserci problemi.
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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