2020-11-25
Il partito dei gay fa già litigare i gay: «Sarà un flop, diventeremo ridicoli»
L'attivista Federico Boni: «Il movimento rischia percentuali da prefisso telefonico».Il neonato partito gay fa già litigare. Chi? I gay. Sembra un controsenso, probabilmente lo è, eppure è questo il sentimento di divisione che sta animando la comunità arcobaleno, che pare non aver ben accolto, per usare un eufemismo, l'idea di potersi mettere politicamente in proprio ufficializzata meno di una settimana fa da Fabrizio Marrazzo, già fondatore di Gay Help Line 800713 713 e Gay Center. E pensare che il lancio della nuova sigla, Partito Gay Lgbt+, sembrava contrassegnato dai migliori auspici; si parlava di forza «solidale, ambientalista e liberale» con tanto di altisonanti ambizioni elettorali che, secondo studi di EuroMediaResearch, legittimavano aspettative di consenso fino al 15%.Tutto, insomma, pareva filare per il meglio. Eppure alla galassia Lgbt sono bastati pochi giorni per riflettere sul nuovo partito e, in particolare, sui rischi che esso possa rivelarsi un clamoroso flop. Un autogol, insomma. A farlo presente senza troppi giri di parole è stato Federico Boni sul Gay.it. «Il rischio enorme», ha avvertito il giornalista arcobaleno, «è che il Partito Gay possa presto diventare il nuovo Popolo Della Famiglia, deriso dalla stessa comunità Lgbt per le percentuali elettorali da prefisso telefonico, nel 2018 fermatesi allo 0.6%». Se così fosse, il fronte Lgbt si darebbe la zappa sui piedi da solo, peraltro in una fase storica favorevole, con la legge contro l'omotransfobia che grazie alla determinazione del suo proponente, Alessandro Zan, è già stata approvata alla Camera.Le osservazioni di Boni sembrano aver colpito nel segno, tanto che Marrazzo ha preso carta e penna ribattendo ai critici della nascente forza politica. «Siamo consapevoli che non sarà un'impresa facile», ha puntualizzato Marrazzo, salvo poi subito aggiungere: «Non però possiamo fare a meno di combattere per i diritti di tutte e tutti. Vogliamo tranquillizzare gli amici se vedono rischi di autogol e preoccupare i rivali per la forza dell'entusiasmo e dell'impegno che ci stiamo mettendo». Dunque il partito arcobaleno farà la sua corsa senza arrestarsi sul nascere, assicura il fondatore.Questo però non rasserena gli attivisti Lgbt cui ieri Boni ha dato nuovamente voce spiegando che quello del nuovo movimento è un naufragio annunciato, perché la formazione, ed è tutto dire, non sarà votata manco da tutti i gay, le lesbiche e i trans. «Bisogna fare i conti con la realtà politica e sociale», ha sottolineato la firma di Gay.it, «che mai vedrà tutte le persone Lgbt d'Italia votare un partito solo perché “gay". È fantascienza che va oltre la statistica e a qualsiasi, ricerca, sondaggio. È semplice logica politica, mi verrebbe da dire». In effetti, anche per chi fosse lontano dalle istanze arcobaleno, è difficile non scorgere nel nuovo partito più rischi che opportunità.D'altra parte, va pure ricordato che c'è una forza di primo piano della politica italiana che al mondo Lgbt ha già regalato non solo le unioni civili e una legge sull'omotransfobia, per quanto non ancora definitivamente approvata, ma anche grande visibilità a suoi vari esponenti; da Sergio Lo Giudice, presidente nazionale di Arcigay, ad Ivan Scalfarotto, storico attivista Lgbt oggi sottosegretario agli Esteri, fino al già citato Alessandro Zan. La formazione in parola è, naturalmente, il Pd. E sarebbe ingiusto, per quanti limiti abbia come partito, non riconoscergli un'ormai decennale attenzione ai cosiddetti nuovi diritti. Si dia allora al Pd ciò che, purtroppo o per fortuna, è senza dubbio del Pd.
Jose Mourinho (Getty Images)