
Risoluzione della Kyenge crea dal nulla una nuova minoranza. L’obiettivo è imporci riparazioni economiche per i Paesi del continente nero. E, con la scusa dei crimini d’odio, censurare chi non si piega al pensiero unicoNon la sentite anche voi, in Europa, quest’aria di «afrofobia»? Non vedete quanti atti di violenza subiscono gli immigrati, quanti se ne torturano a uccidono in carcere? No? Allora inforcate un paio di occhiali, perché gli eurodeputati, invece, la persecuzione contro gli africani, anzi, gli «afroeuropei», la vedono benissimo. Tant’è che hanno appena approvato una risoluzione, promossa dalla «nostra» Cécile Kyenge, per Porre fine alla discriminazione razziale contro le persone afroeuropee.appello ai commissariUna mozione accompagnata da un comunicato a dir poco surreale, che si può leggere sul sito Web del Parlamento Ue: «I deputati invitano la Commissione europea e gli Stati membri a riconoscere la sofferenza sul piano razziale, discriminatorio e xenofobo degli afroeuropei e a offrire un’adeguata protezione contro queste ineguaglianze, per assicurare che sui crimini d’odio si conducano efficaci investigazioni e che essi siano perseguiti e puniti». Come se non bastasse, nel suo intervento in sessione plenaria, la Kyenge, eletta all’Europarlamento nel 2014, ha evocato «la possibilità di istituire delle riparazioni» e ha sollevato «la questione delle pubbliche scuse», oltre che della «restituzione dei beni artistici ai Paesi africani». Un po’ come se la Francia ci chiedesse perdono per la campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte e poi ci restituisse la Gioconda. Roba da stornello post Mondiali del 2006. Ma se di mezzo ci sono i poveri africani, massacrati dai malvagi occidentali, che hanno devastato il loro continente e oggi continuano a maltrattarli pure nel cuore dell’Europa, allora tutta l’Aula di Strasburgo si mobilita: la risoluzione, votata martedì scorso, ha raccolto l’assenso di 535 parlamentari. Hanno votato contro soltanto in 80. Eppure, solo un paio di giorni fa la Spagna ha respinto al mittente la delirante richiesta, formulata dal presidente del Messico, Andrés Manuel López Obrador, di «riconoscere e scusarsi» per gli abusi dei conquistadores iberici. Tra i bersagli della mozione, udite udite, c’è pure l’attività di di schedatura dei sospettati di terrorismo, che sarebbe frequentemente basata sul «profiling razziale ed etnico». Non sarà mica perché i terroristi islamici hanno quasi tutti origini africane o mediorientali? Non sarà mica che l’intelligence, per questo motivo, si mette a controllare immigrati di seconda generazione a rischio di radicalizzazione, anziché i pensionati europei che trascorrono le mattinate guardando i cantieri? Niente affatto. Per la Kyenge e i suoi sostenitori, è un palese caso di discriminazione.Rimane da capire, certo, chi siano questi «afroeuropei», una definizione che ricalca alla lettera quella di «afroamericani», i quali già da anni vengono corteggiati dai politici della sinistra Usa, con la sirena del revanchismo anti uomo bianco, o con la promessa di quote riservate nelle università e negli impieghi. una strana categoriaNegli Stati Uniti, se non altro, vivono i discendenti degli schiavi, deportati contro la loro volontà per servire i latifondisti nelle piantagioni di cotone. Se oggi qualcuno viene deportato in Europa, invece, è per colpa degli scafisti. E i campi di pomodoro dove finiscono i migranti non li gestiscono certo i leghisti. Nei Paesi dove l’immigrazione di massa è cominciata da qualche decennio, come la Francia, siamo arrivati non oltre la seconda, in qualche caso la terza generazione di oriundi. Da dove venga fuori la categoria di «afroeuropei», dunque, non è chiaro. Anche perché i cantori dello ius soli continuano a ripeterci che chi nasce a Roma o a Parigi o a Berlino è automaticamente italiano, francese, tedesco. Arriva il contrordine? Comincia la lotta identitaria dei pronipoti del continente nero?Comunque, è presto detto dove vogliano andare a parare gli eurodeputati, che parlano esplicitamente di «attacchi afrofobici» (ecco confezionata l’ennesima «fobia», dopo gli psicoreati dell’«omofobia», della «transfobia», dell’«islamofobia» e chi più ne ha ne metta). Da una parte c’è il tema dei soldi, dall’altro quello della censura preventiva. Le «riparazioni» menzionate dalla Kyenge nel suo discorso, d’altronde, che altro sono se non un pubblico lavacro a colpi di finanziamenti? Come se l’Italia o la Spagna fossero la Germania nazista nel 1945, i paladini degli «afroeuropei» hanno individuato il debito di guerra da saldare. Il sospetto, ovviamente, è che chi dovrebbe maneggiare questi soldi siano le solite associazioni della «società civile», che, dietro la foglia di fico del soccorso alle vittime, poi macinano affari. inquisizione razzialeMa illazioni a parte, l’aspetto veramente inquietante della nuova battaglia contro gli aguzzini degli «afroeuropei» è che Strasburgo ha tirato di nuovo fuori la questione dei crimini d’odio. Un’altra etichetta che i censori del pensiero unico appiccicano a una serie di fenomeni eterogenei: dalle vere aggressioni razziste (rare) alle libere opinioni di chi non condivide il sacro verbo dell’invasione. Una scorciatoia per zittire il dissenso e per squalificare chi, senza discriminare gli «afroeuropei», vorrebbe solo che l’Europa rimanga Europa e non si trasformi nella nuova Africa. Quest’ultima, effettivamente, uno sfruttatore oggi ce l’ha: siede all’Eliseo. Ma su questo argomento, si capisce, l’Europarlamento tace.
Chiara Ferragni (Ansa)
L’influencer a processo con rito abbreviato: «Fatto tutto in buona fede, nessun lucro».
I pm Eugenio Fusco e Cristian Barilli hanno chiesto una condanna a un anno e otto mesi per Chiara Ferragni nel processo con rito abbreviato sulla presunta truffa aggravata legata al «Pandoro Pink Christmas» e alle «Uova di Pasqua-Sosteniamo i Bambini delle Fate». Per l’accusa, l’influencer avrebbe tratto un ingiusto profitto complessivo di circa 2,2 milioni di euro, tra il 2021 e il 2022, presentando come benefiche due operazioni commerciali che, secondo gli inquirenti, non prevedevano alcun collegamento tra vendite e donazioni.
Patrizia De Luise (Ansa)
La presidente della Fondazione Patrizia De Luise: «Non solo previdenza integrativa per gli agenti. Stabiliamo le priorità consultando gli interessati».
«Il mio obiettivo è farne qualcosa di più di una cassa di previdenza integrativa, che risponda davvero alle esigenze degli iscritti, che ne tuteli gli interessi. Un ente moderno, al passo con le sfide delle nuove tecnologie, compresa l’intelligenza artificiale, vicino alle nuove generazioni, alle donne poco presenti nella professione. Insomma un ente che diventi la casa di tutti i suoi iscritti». È entrata con passo felpato, Patrizia De Luise, presidente della Fondazione Enasarco (ente nazionale di assistenza per gli agenti e i rappresentanti di commercio) dallo scorso 30 giugno, ma ha già messo a terra una serie di progetti in grado di cambiare il volto dell’ente «tagliato su misura dei suoi iscritti», implementando quanto fatto dalla precedente presidenza, dice con orgoglio.
Il ministro Nordio riferisce in Parlamento sulla famiglia Trevallion. L'attacco di Rossano Sasso (Lega): ignorate le situazioni di vero degrado. Scontro sulla violenza di genere.
Ansa
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È la resa totale, definitiva, ufficiale, certificata con timbro digitale e firma elettronica avanzata. La Volkswagen – la stessa Volkswagen che per decenni ha dettato legge nell’industria dell’automobile europea, quella che faceva tremare i concorrenti solo annunciando un nuovo modello – oggi dichiara candidamente che intende spostare buona parte della produzione di auto elettriche in Cina. Motivo? Elementare: in Cina costa tutto la metà. La manodopera costa la metà. Le batterie costano la metà. Le materie prime costano la metà. Persino le illusioni costano la metà.






