2022-08-28
Il nodo Libia va sciolto o strozzerà l’Italia
Scontri fra milizie e 11 morti, la lotta per il controllo della nazione danneggia Roma: la produzione di petrolio è rallentata e l’Eni sta studiando un piano d’investimenti per rimediare, mentre il caos che regna ovunque ingrossa i flussi di clandestini.Anche la giornata di ieri è stata estremamente delicata a Tripoli. In un pomeriggio ben undici morti. Continuano, infatti, gli scontri armati tra le milizie di Haitham Tajouri, schierato con il premier designato del governo di stabilità nazionale libico (Gsn), Fathi Bashagha, e quelle di Imad Trabelsi, attualmente dalla parte del capo dell’esecutivo di unità nazionale (Gun), Abdulhamid Dabaiba. Molti analisti non escludono che l’episodio che ha portato ai due morti - scoppiato per motivi di precedenza - possa rappresentare un pretesto per l’avvio di un’offensiva di Bashagha su Tripoli. Già venerdì le forze affiliate al Consiglio presidenziale della Libia e al ministero della Difesa del Gun guidato da Dabaiba hanno iniziato a schierarsi presso i punti di accesso della capitale libica Tripoli e al centro della città per respingere qualsiasi eventuale operazione militare dell’esecutivo parallelo. Secondo quanto riferisce l’emittente «Al Arabiya», sarebbe stato dichiarato lo stato d’emergenza in prossimità della sede del Consiglio dei ministri. L’obiettivo è quello di evitare altri scontri come quelli che nei gironi scorsi hanno causato una dozzina di morti. Il fatto politico resta principalmente il tentativo di rompere in due la Libia. Da Una parte Tripoli e dall’altra Benghazi. Esattamente ciò che l’Italia e le nazioni europee hanno cercato di evitare negli ultimi cinque anni. In mezzo al caos crescente s’infilano due temi fondamentali per la stabilità del nostro Paese. Il primo è l’immigrazione e il secondo è il gas. Cominciando dal secondo non si può non notare il drammatico calo della produzione. Lo scorso luglio, il ministero del Petrolio e del gas del governo di unità nazionale della Libia ha invitato tutte le parti in causa a dare priorità agli interessi del Paese, considerando che gli idrocarburi forniscono l’unica fonte di reddito dello Stato. Nel comunicato si sottolineavano le «conseguenze tecniche» della chiusura del petrolio e dell’alto costo quotidiano causato dalla sospensione delle esportazioni, scese ad aprile 2022 al livello più basso da ottobre 2020, a causa delle chiusure attuate dai manifestanti nei porti petroliferi. Adesso la produzione non supera i 650.000 barili al giorno. Solo l’anno scorso era più del doppio. Eppure non si è levata nemmeno una voce dal nostro governo. Si è dovuto attendere il mese di agosto e le mosse del numero uno dell’Eni. Claudio Descalzi ha infatti incontrato il presidente della Noc, la compagnia petrolifera libica, con l’obiettivo di mettere a terra un piano di investimenti e quindi potenzialmente riaprire i bocchettoni. Gli investimenti necessitano però di stabilità e gli scontri sono l’esatto opposto. Così come lo è il business del traffico di esseri umani. Business a sua volta favorito dalla destabilizzazione targata Turchia e soprattutto Russia. La presenza dei paramilitari di Mosca del gruppo Wagner è sempre più forte. Sia nel Sahel che nel centro dell’ex Paese di Muhammar Gheddafi. Dispongono di una base aerea ad Al Jufra e sono in grado di fare pressioni indirette e sostenere i flussi migratori verso l’Europa e quindi verso l’Italia. Eppure nel silenzio generale a luglio il Parlamento ha bocciato il l rinnovo dell’accordo tra Roma e Tripoli per il rifinanziamento della Guardia costiera libica. Circa 12 milioni di euro che rappresentavano fino ad oggi uno dei tasselli della dottrina Minniti, l’uomo forte della sicurezza nei governi di sinistra, ora presidente di Med-Or. A bocciare il rifinanziamento della Guardia costiera è stato il Pd. Con il risultato che uno dei pochi ganci diretti tra la politica italiana e quella libica si scioglierà da qui alle prossime settimane, lasciando spazio di manovra diretta ai turchi (che subentreranno nel finanziamento delle motovedette) e indiretta proprio agli uomini di Wagner, che avranno ancor meno freni nella marcia di conquista dell’ex Jamahiriya. Sia Recepp Erdogan che Vladimir Putin hanno interesse a vedere una Libia divisa e ad assistere a un aumento dei flussi migratori. Questo è il punto di fondo. Trattare il tema immigrazione solo per motivi elettorali non aiuterà in alcun modo il nostro Paese. Figuriamoci il tema gas che si misura in lstri e decenni. Ecco perché la Libia deve diventare una priorità. Dal 2011, quando la coalizione guidata dai francesi con la benedizione di Barack Obama ha scatenato la guerra a Tripoli e deposto Gheddafi il peso del nostro Paese si è di giorno in giorno assottigliato. Mario Draghi non ha infilato nella sua agenda il problema Libia. Il prossimo governo deve farlo. Non può essere solo l’intelligence estera a tenere i rapporti. Per riconquistare peso in Libia serve un intero governo, la diplomazia e il sistema industriale. Se bisogna combattere i russi come dicono a sinistra, il terreno di scontro è ben identificato ed a Sud. Non facciamo come il Pd che parla in un modo e poi agisce sempre in un altro.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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