2021-03-12
Il Nazareno come il Soviet: candidato unico blindato nell’assemblea senza voce
Il governatore del Lazio (che apre al rimpasto in giunta col M5s) torna ad attaccare Matteo Renzi e le correnti: un lungo lavoro distruttivoNo, non sarà un «mezzogiorno di fuoco»: più probabile, almeno in apparenza, un clima da «tutti insieme appassionatamente». Scade infatti alle 12 di oggi il termine di quarantott'ore che Enrico Letta si era dato per sciogliere la riserva e quindi assumere la guida del Pd. Letta si è messo in viaggio ieri, avendo acquisito, sulla carta, la consapevolezza di un sostegno larghissimo.Ancora ieri, retroscena carichi di veleni interni, variamente veicolati, avevano fatto circolare il tentativo, attribuito all'attuale corpaccione Pd (quello che fa capo alle correnti animate da Nicola Zingaretti, Dario Franceschini e Andrea Orlando) di rendere difficile alle componenti ex renziane, quelle raccolte intorno al gruppo di Base riformista, il sostegno all'ex premier: insomma, manovre per marginalizzare il futuro nucleo di sostegno a una ipotetica candidatura di Stefano Bonaccini alla guida del partito. Ieri tuttavia, per amore o per forza, tirava aria di convergenza vasta, per quanto l'area che fa capo a Lorenzo Guerini e Luca Lotti non sia certo rassicurata dal ritorno in campo di un arcinemico dei renziani vecchi e nuovi, visti i precedenti.È anche partita una discussione molto tattica - e pressoché incomprensibile - sull'ipotesi (gradita alle correnti di maggioranza) di un congresso in cui non siano in discussione gli organi dirigenti: un modo come un altro per blindare il nuovo assetto. Certo, resta un nodo: la soluzione Letta arriva senza che ci sia stata una discussione in campo aperto sulle tesi che restano sul tavolo, sul sì o sul no all'alleanza con i grillini, sul profilo ormai puramente governista e di potere di un partito che non vince le elezioni da 15 anni eppure sta sempre al governo. Impietosamente, intervistato su Huffington Post, Luciano Canfora ha vergato un epitaffio: il Pd «è un oggetto governistico, subalterno a chiunque lo porti al potere».Sembrano tornate nei ranghi anche le richieste, a loro volta abbastanza surreali, di una candidatura femminile da avanzare a prescindere. Più probabile che ci sia un documento di alcune esponenti del partito. Su queste basi, l'Assemblea di domenica sarà una specie di formalità, forse (altro aspetto lunare, fosse confermato) senza discussione politica. Ma che le tensioni siano state solo nascoste, lo testimonia il lungo post pubblicato ieri dal dimissionario Nicola Zingaretti: critiche a Renzi senza citarlo («l'irresponsabile crisi che ha portato alla caduta del governo Conte»), la rivendicazione di successi per lo meno dubbi («il Pd, dopo la drammatica sconfitta del 2018, è tornato politicamente centrale, è salvo e più forte»), e soprattutto nuovi attacchi alle correnti interne: «Quando le cose stavano migliorando, sono tuttavia tornati i soliti rumori di sottofondo e permanenti. Nessuna reale proposta politica alternativa, ma un lungo e strisciante lavorio distruttivo».Poi il sostegno a Draghi, e molta fuffa sulla «sostenibilità ambientale e sociale», oltre che su «una crescita inclusiva, rispettosa della Terra in cui viviamo» (sic). E infine il sostegno a Letta: «Ora sono convinto che la soluzione più forte e autorevole per prendere il testimone della segreteria sia Enrico Letta».Intanto, però, il governatore del Lazio continua a lavorare per la linea concepita insieme a Goffredo Bettini, e cioè a un'intesa sempre più strutturale con i grillini. Nella giunta della regione Lazio sembra imminente l'ingresso di due pentastellate: si fanno i nomi di Roberta Lombardi, alla transizione ecologica e trasformazione digitale, e di Valentina Corrado, agli enti locali, turismo e semplificazione amministrativa. Pare esclusa la consultazione su Rousseau: anche in questo caso, meglio non discutere troppo.