2019-07-31
Il metodo Bibbiano anche a Padova: «Me l’hanno tolta con accuse folli»
Un papà racconta il suo calvario. «La bimba è entrata in ospedale per farsi curare e hanno messo noi genitori nel mirino. I medici hanno sostenuto che le avevamo dato cocaina. E così per mesi non ho più potuto vederla».«È un miracolo che non siamo usciti di testa». Il papà - lo chiameremo Alberto - scandisce i fatti con calma e lucidità. Ma quando il pensiero torna a quei giorni neri, la voce gli s'increspa, e sotto la rabbia si evince il terrore di chi ha pensato, almeno per qualche tempo, che la sua vita si sarebbe polverizzata. Alberto e sua moglie Anna (anche questo è un nome di fantasia) sono due genitori veneti abbastanza giovani. La loro bimba non ha ancora quattro anni. Eppure tutti e tre hanno già fatto in tempo ad affrontare una prova durissima, di quelle che la vita non riserva proprio a chiunque. Basta una manciata di secondi per sconvolgere l'esistenza di una famiglia normale. In questa storia, i semi del disastro vengono piantati intorno alle 10.40 del 24 febbraio 2016. Anna sta uscendo di casa assieme alla sua piccina, che ha appena 40 giorni. Sono loro due sole. La bimba è dentro il trasportino, «l'ovetto», come lo chiamano. Forse Anna non ha fissato bene le cinghie. O forse, nella fretta, si è proprio dimenticata di fissarle. Si gira un attimo per chiudere il portone e la bimba scivola, cade a terra e batte il mento. Per fortuna non sembra niente di eccessivamente grave: la piccina non ha ancora i denti, con le gengive si è fatta un taglio sulla lingua. Non è grave, ma spaventa la mamma, e parecchio, perché il sangue esce in quantità. Anna chiama suo marito, gli spiega rapida che cosa è accaduto, poi monta in macchina e si dirige all'ospedale di Mirano, in provincia di Venezia. Alberto è al lavoro, ma si precipita fuori per raggiungere moglie e figlia. «Il pronto soccorso di Mirano è a circa 800 metri da casa nostra», ci dice il papà. «Appena ho saputo sono subito corso. Quando mia moglie è arrivata lì, i medici le hanno detto di non preoccuparsi, che sarebbe andato tutto bene. “Sono cose che capitano", le hanno detto». Vero: cose che capitano. Anche al genitore più attento può succedere. Perdi di vista tuo figlio per un soffio, e quello si fa male. Ti dimentichi di stringere bene una cinghia, e il piccolo cade. Cose che capitano. Quello che non deve capitare, però, è quello che stiamo per raccontare. Mamma e bimba sono in pronto soccorso a Mirano. Tutto è sotto controllo. Però la piccola necessita di una operazione. «La lingua andava cucita», sospira Alberto. «Lì non si poteva fare, così ci hanno mandato a Padova, dove hanno microchirurgia e sono molto bravi». La neonata viene trasportata in ambulanza, ma senza personale medico a bordo, proprio perché la ferita non è grave. «Siamo partiti in tutta calma», dice il papà. «Arrivati a Padova, è iniziato il disastro. Ore e ore di attesa, con la bambina che si dissanguava in pronto soccorso. Si è fatta male intorno alle 10.40, l'hanno operata alle 15. Hanno dovuto farle delle trasfusioni proprio perché nel frattempo aveva perso tantissimo sangue. Eravamo disperati». Finalmente, la piccina viene operata, e l'intervento va a buon fine. Per tre giorni, la bimba rimane ricoverata in pediatria, con la mamma vicino. Per ferite come la sua è normale restare in ospedale, magari per una decina di giorni, non di più. Trascorse 72 ore, tuttavia, Anna e sua figlia vengono trasferite in una unità speciale che si trova nell'ospedale di Padova: il Centro regionale per la diagnostica del bambino maltrattato.Si tratta di un centro specializzato operativo dal 2007 e guidato dalla dottoressa Paola Facchin. Tale centro, come si legge in un vecchio articolo del Mattino di Padova, «si inserisce all'interno di una rete di servizi presenti sul territorio e dedicati alla presa in carico dei minori vittime di abuso. Il servizio», spiega ancora l'articolo, «interviene nello specifico sulla diagnosi, quindi quando si inizia a sospettare il maltrattamento sul bambino. Se in ambito ospedaliero vengono individuati segni sospetti e sintomi acuti, il piccolo paziente viene immediatamente segnalato al team multidisciplinare per ulteriori verifiche». Questo è esattamente ciò che accade ad Alberto. Gli specialisti del centro padovano pensano di aver trovato «segni sospetti» su sua figlia. Così decidono di trattenere la bambina. «Una equipe di dottori si era messa in testa che la caduta di mia figlia non era compatibile con la ferita, dicevano che fosse impossibile che le gengive avessero tagliato la lingua in quel modo», ci racconta Alberto. «Da lì è partita una serie di accertamenti: radiografie, ecografie alla bambina, ci hanno trattenuto per un sacco di tempo raccontandoci un sacco di balle. Una dottoressa in particolare si era fissata, mi pare che si chiamasse Melissa Rosa Rizzotto». Per 45 giorni, la neonata e la mamma rimangono nel Centro per il bambino maltrattato. La piccola viene sottoposta a ogni genere di esami, genitori sono ancora convinti che gli accertamenti servano a tutelare la salute della bimba. «Io ho portato mia figlia in ospedale per farla curare e loro hanno cominciato a fare indagini su di noi per maltrattamenti, senza che alcun giudice li avesse autorizzati», racconta oggi Alberto, con la voce che trema leggermente. «Uno non può venire indagato da un ospedale», continua. «Questi hanno cominciato a farci fare esami perché si sono sostituiti alle autorità giudiziarie. Sono cose da pazzi». Già: i genitori non sapevano di essere sospettati di maltrattamenti. Ma i medici s'intignavano: «Era un continuo trovare scuse per poterci incolpare di qualcosa, erano ostinati a darci contro». Esame dopo esame, si arriva al 7 di marzo. Quel giorno, dopo un test tossicologico su un capello, viene trovata presenza di cocaina. A quel punto, il mondo crolla addosso ad Alberto e sua moglie. La coppia si sottopone ai test tossicologici, che però risultano negativi. La madre viene trovata positiva al tramadolo, ma è tutto a posto: glielo hanno somministrato in ospedale durante il ricovero per parto cesareo. Eppure, si legge nel ricorso degli avvocati della coppia, «la dottoressa Rizzotto riferiva il sospetto di dipendenza da sostanze stupefacenti». Pare che i dottori abbiano già deciso: Alberto e la moglie sono genitori snaturati, che si drogano e maltrattano la figlia. Così sottopongono la piccola a ricovero coatto e fanno di tutto per «stanare» mamma e papà. «Ci hanno fatto parlare con gli psicologi, ci hanno fatto ricostruire la nostra storia di coppia...», ricorda Alberto. Gli specialisti dell'ospedale si rivolgono alla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei minorenni. Il 9 aprile del 2016, per decreto tribunalizio, ai due genitori è stata tolta la potestà, e la bimba viene collocata (assieme alla madre) in una casa famiglia. Il padre le può vedere due ore la settimana. «Sono stato senza mia figlia due mesi, mi sono perso giorni preziosi, i primi della sua infanzia», sussurra Alberto. «Senza contare il danno economico: avvocati, medici legali... Sono partiti dai 20.000 ai 30.000 euro come ridere. Se non li avessi avuti? E poi hanno messo in crisi la nostra famiglia, mia moglie era sull'orlo dell'esaurimento nervoso». Il punto è questo: non era vero niente. Gli esami hanno dimostrato che la cocaina non era affatto stata ingerita dalla bimba. «Le tracce erano per forza dovute a un contatto avvenuto in ospedale», dice Alberto. «Qualcuno con la mano sporca di cocaina le ha toccato la testa». Tanto è bastato per portare una famiglia all'inferno.
Jose Mourinho (Getty Images)