2019-03-17
Il Mef ridà ai libici i beni di Gheddafi. Ma nel caos di Tripoli a chi finiranno?
Il Tesoro ha sbloccato gli asset immobiliari del fondo Lafico, sequestrati al Rais. La debolezza di Al Serraj, però, è un rischio.Il Comitato di sicurezza finanziaria del ministero dell'Economia e delle finanze ha sbloccato gli asset immobiliari del fondo libico Lafico, sequestrati nel marzo 2012. Allora la Guardia di finanza di Roma confiscò i beni in Italia riconducibili all'ex rais libico Muammar Gheddafi e al suo entourage. Quote azionare di importanti società, conti correnti e beni immobili per il valore di 1,1 milioni di euro. Sono passati quasi sette anni da quell'operazione delle Fiamme gialle, nata da una rogatoria del tribunale internazionale dell'Aja nell'ambito del procedimento per crimini contro l'umanità di Gheddafi, del figlio Saif Al Islam e del capo dei servizi segreti e cognato del rais, Abdallah Senoussi. Ora il Mef ha stabilito che uffici, alberghi e terreni tra Roma e Pantelleria, in particolare il lussuoso complesso alberghiero a Punta Tre Pietre sull'isola di siciliana, «non sono oggetto di misure restrittive e sono pertanto nella piena disponibilità della società» Lafico, uno dei veicoli utilizzati dalla Libia per gli investimenti all'estero. Si tratta di una prima vittoria per i libici dopo che la Corte dell'Aja aveva richiesto nel 2012 il sequestro alla luce del procedimento per crimini contro l'umanità avviato contro Gheddafi e il suo entourage. I legali di Lafico e della sua controllante Lia hanno sempre sostenuto che i beni sequestrati non facessero riferimento alla famiglia del rais ma fossero un tesoro di proprietà del popolo libico. Salaheddin El Busefi, rappresentante di Lafico in Italia, ha spiegato come, «da questo punto di partenza», la Libia (e in questo caso stiamo parlando di chi controlla Lia e Lafico, cioè il governo di Tripoli guidato da Fayez Al Sarraj) è intenzionata a «riprendere i contatti e creare dei nuovi legami con la comunità bancaria e il settore degli investimenti nonché l'industria finanziaria all'interno del Paese, sia del settore pubblico sia del settore privato».Ma gli asset immobiliari di Lafico, spiegano fonti di Tripoli alla Verità, sono soltanto l'antipasto. Le autorità di Tripoli puntano infatti al piatto forte: le attività finanziarie di Lafico, in particolare le quote azionarie da loro detenute e tuttora congelate in società come Eni (0,58% con Lia), Fiat (ora Fca, 0,33%), Cnh (0,33%) e Juventus (1,15%). Tripoli spera che nei prossimi mesi si riescano anche a sbloccare le varie attività finanziarie Lafico, anche se non è detto che le percentuali, dopo sette anni, non abbiamo subito delle modifiche. E non va dimenticato, infine, che Lia, controllante di Lafico, detiene l'1,26% di Unicredit e il 2% di Leonardo.Attraverso il sequestro disposto nel 2012, il tribunale dell'Aja voleva proteggere il patrimonio di Gheddafi, che avrebbe dovuto garantire forme di risarcimento per le vittime del regime caduto nel 2011 dopo l'intervento militare occidentale fortemente voluto dal presidente francese Nicolas Sarkozy. Su quest'ultimo sta indagando la magistratura francese per il caso dei presunti finanziamenti libici alla sua campagna elettorale del 2007. Soltanto a inizio febbraio i giudici Serge Tournaire e Aude Buresi si sono recati a Tripoli per interrogare Senoussi, che ha confermato loro, come riportato dal sito francese Mediapart, il contributo di 7 milioni di euro da parte di Gheddafi alla campagna di Sarkozy. Ed è proprio per questo, ha spiegato Senoussi, che l'ex presidente francese avrebbe ordinato nel 2011 di bombardare le abitazioni di Gheddafi, per distruggere le prove. Una ricostruzione che Sarkozy ha sempre negato, definendo il cognato del rais un criminale privo di credibilità. Tuttavia, secondo Mediapart la testimonianza di Senoussi trova riscontri in alcuni elementi di prova raccolti dagli investigatori.La questione dei fondi libici è tornata alla ribalta non soltanto in Italia. Il tribunale di Bruxelles, per esempio, ha riaperto la causa sui 14 miliardi di euro congelati presso la Euroclear Bank e fermi dal 2011. Dalle interrogazioni parlamentari è emerso come 2,07 miliardi di euro siano stati trasferiti su conti esteri, tre della Arab banking corporation del Bahrein (per un totale di oltre 2,02 miliardi di euro) e un quarto della Hsbc (poco meno di 47 milioni di euro). Il tutto senza indicare destinatari e utilizzo e contro la decisione assunta nel 2011, durante la guerra libica, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite di imporre un embargo sugli asset libici appartenenti a Gheddafi.Attorno ai fondi dell'ex dittatore libico in Belgio è scoppiato uno scandalo. L'Italia, invece, ha scelto di sbloccare gli immobili di Lafico, aprendo di fatto anche alle attività finanziarie e a Lia. Ma con l'ascesa di Khalifa Haftar (l'uomo forte della Cirenaica che, conquistato il Sud grazie ai raid dei caccia francesi, ora punta verso Tripoli) e la fragilità politica del governo di Fayez Al Serraj (sempre più in difficoltà con milizie e città amiche, oltre che accusato recentemente di aver fatto entrare nel consiglio d'amministrazione di Lia personaggi in odore di Fratellanza musulmana) l'Italia ha scelto di aprire il dialogo con un fondo il cui futuro appare tutt'altro che sicuro.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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Riduci
Il Comune di Merano rappresentato dal sindaco Katharina Zeller ha reso omaggio ai particolari meriti letterari e culturali della poetessa, saggista e traduttrice Mary de Rachewiltz, conferendole la cittadinanza onoraria di Merano. La cerimonia si e' svolta al Pavillon des Fleurs alla presenza della centenaria, figlia di Ezra Pound.