2019-09-23
Il lamento fa male a chi lo fa e a chi lo ascolta
È una pessima abitudine, tipicamente femminile, che non cambia le cose. Eppure, finisce per entrare nella vita quotidiana ed erodere le relazioni interpersonali. Se siete madri, fate attenzione: mai brontolare con i vostri figli dei difetti del papà. Mai lamentarsiBarzelletta.«Pronto mamma, come va?». «Benissimo, grazie!». «Scusi, devo aver sbagliato numero».A chi non è capitato di ascoltare le lamentele della mamma? I lamentosi sono buchi neri. Si è scoperto che ascoltare una lagnanza per più di trenta minuti deprime il nostro cervello. Vivere con una persona lamentosa è una maledizione. Purtroppo, la lamentela è divisa in maniera ineguale tra i due sessi. Anche i maschi brontolano, ma sono modesti dilettanti. I campioni mondiali del lamento siamo noi: le femminucce. Ed è un peccato perché noi diventiamo madri. Vivere con una madre lamentosa non solo è triste, ma riduce la nostra autostima. Non sono abbastanza bravo, abbastanza bello, abbastanza qualcosa da rendere contenta mia madre. Particolarmente grave, non mi stancherò mai di sottolinearlo, è il lamentarsi con un figlio di tutti i difetti del suo papà. Secondo alcuni testi, in origine, i vizi capitali erano otto. E l'ottavo era proprio la mestizia: quella lagna sterile, fatta tanto per farla. Una domanda è d'obbligo: il lamento potrebbe risolvere il problema? No. E allora, per carità di Dio, piantiamola. Imponiamoci una legge di generosità verso il prossimo impegnandoci a non lagnarci mai. Se ci lamentiamo, stiamo peggio. E se abbiamo l'impressione di stare meglio, questo avviene solo nel breve periodo. In realtà, alla lunga stiamo male. In fondo, il cervello umano è basato sulle abitudini. Lamentarsi è un'abitudine. Ma anche non lamentarsi è un'abitudine. Possiamo farcela, dunque.La massima di Lao TzeQuesta specie di filastrocca viene da molto lontano ed è, in realtà, un aforisma del filosofo cinese Lao Tze, presunto autore del Tao Te Ching, il libro della Via e della Virtù.«Fai attenzione ai tuoi pensieri perché i tuoi pensieri diventano le tue parole.Fai attenzione alle tue parole perché le tue parole diventano le tue azioni.Fai attenzione alle tue azioni perché le tue azioni diventano le tue abitudini.Fai attenzione alle tue abitudini perché le tue abitudini diventano il tuo carattere.Fai attenzione al tuo carattere perché il tuo carattere diventa il tuo destino». Ecco, la nostra vita è sempre un insieme di tanti fattori. Se spostiamo l'attenzione da quello che non sta funzionando a quello che va bene nella nostra quotidianità, staremo subito meglio: quindi, evitiamo di lagnarci e muoviamoci in altra direzione. E solo se ci è capitato qualcosa di veramente terribile, qualcosa che non possiamo tacere, allora parliamone con qualcuno di cui ci fidiamo. Dopo, paghiamo questo prezioso ascolto con una «moneta d'oro». Ovvero con la seguente frase: grazie di avermi ascoltato, mi sento meglio. Bastano poche parole per sollevare il nostro ascoltatore dalla terribile sensazione di impotenza che dà il racconto del dolore altrui. Non solo. Nel momento stesso in cui la pronunceremo, anche noi ci sentiremo leggermente meglio. Perché non sarà stato un lamento sterile ma una richiesta di aiuto umano. Viceversa, lamentandoci, quello che comunichiamo al nostro inconscio è: «sono debole». E siccome il nostro inconscio esegue i nostri ordini più ci lamentiamo, più diventiamo fobici e magari i nostri disturbi peggiorano, le nostre ossessioni diventano insopportabili. È spiegato anche in un passo del Vangelo di San Matteo: «a chi ha, sarà dato; a chi non ha, sarà tolto». E dunque, a chi saprà essere grato, saranno date altre cose di cui essere grato. A chi, invece, avrà molte cose di cui lamentarsi, saranno date altre cose di cui lamentarsi.Meglio chiedere aiutoSe la lagnanza va sempre evitata, è lecito invece chiedere un sostegno. La richiesta deve essere precisa, circostanziata e va sempre ripagata con la nostra gratitudine. Se abbiamo una malattia grave, potenzialmente mortale, per esempio il cancro, decidiamo se vogliamo batterci o arrenderci. Prendiamo la decisione da soli: è una scelta nostra. Se decidiamo di batterci, però, acquisiamo una mentalità militare. Non è detto che saranno lacrime e sangue ma, anche se dovessero essercene, saremo pronti e non ci arrenderemo. Quindi, niente lamentele. Del resto, i generali non si lamentano quando le trincee cedono. Non serve. Poi, definiamo il perimetro della nostra squadra: per esempio chi, tra parenti, amici e conoscenti, ha tempo libero per poterci accompagnare quando sarà necessario non andare soli. Gratifichiamo la nostra squadra con profonda riconoscenza. Chi sta rinunciando a una mattinata di impegni o al suo tempo libero per accompagnarci, non deve essere tediato da nessun tipo di lamentela. Incluso l'imbarazzo di dare disturbo al nostro: va segnalato un'unica volta e con sincerità. «Mi dispiace di darti disturbo e sono così felice che tu mi stia accompagnando, grazie». «Mi commuove che siate tutti con me. Sono sicuro che ce la farò». «Guidi benissimo, è bella la tua macchina, carina la musica che ascolti, grazie di essere puntuale». E se non potete fare complimenti, sull'auto, sulla guida, sulla puntualità magari perché la guida è da infarto o si ascolta orrida musica, allora meglio tacere.Motivare la squadraDovete motivare il team che vi aiuterà nelle battaglie contro la malattia. È un vostro compito. Ricordatevi che anche medici e infermieri sono un pezzo della squadra: motiviamoli. Se fanno qualcosa di giusto, ringraziamoli e segnaliamo la loro bravura a un giornale. La nostra attenzione è acqua e fertilizzante. Diamo energia e potenza all'oggetto su cui la posiamo. E poi, sul piano pratico, dove posiamo la nostra attenzione, lì otteniamo i risultati. Dunque, paghiamo l'ascolto, quando è stato necessario e paghiamo l'aiuto. Usciamo per sempre dal ruolo del debole che riceve aiuto senza poter dare nulla in cambio. Possiamo fare molto. La nostra forza aumenterà e aumenterà la forza degli altri. Avremo moltiplicato, quindi, i pani e i pesci.Il lamento è dannosoLe neuroscienze hanno dimostrato che ascoltare lamenti è un'operazione talmente dolorosa e penosa che, se prolungata per più di trenta minuti, può causare uno «spegnimento» delle cellule dell'ippocampo, che non è un cavalluccio marino ma una parte del cervello. Quindi, quando vi lamentate e lo fate per più di 30 minuti ricordatevi che state causando un danno a chi avete davanti. Se proprio non potete farne a meno, cercate di fermarvi almeno al ventinovesimo minuto. Non permettiamo a nessuno di lamentarsi con noi oltre il ventinovesimo minuto. Tanto vale cambiare argomento al primo. Faremo un piacere al nostro cervello e all'anima del lamentoso. Il campione del non lamento è l'autore del Salve Regina: Ermanno di Reichenau, noto come il Contratto o lo Storpio. Nato con una durissima deformità e una tetraparesi spastica, non poteva stare seduto né camminare. Il nazista Adolf Hitler lo avrebbe eliminato ma anche le teorie del sociologo Peter Singer sull'aborto «post nascita», ampolloso termine che indica il buon vecchio infanticidio, non gli avrebbe fatto fare una bella fine. Invece, accolto quale monaco nell'abbazia di Reichenau, sull'omonima isoletta nel lago di Costanza, questo cronista tedesco nato nel 1013 scrisse magnifici trattati di poesia, liturgia, musica e soprattutto astronomia. Soffriva di dolore cronico ma sorrideva sempre del suo tormento. Ne parlò solo una volta, quando nel suo bellissimo testo parlò di «una valle di lacrime». Quando cantava e quando pregava, invece, il dolore scompariva.
Little Tony con la figlia in una foto d'archivio (Getty Images). Nel riquadro, Cristiana Ciacci in una immagine recente
«Las Muertas» (Netflix)
Disponibile dal 10 settembre, Las Muertas ricostruisce in sei episodi la vicenda delle Las Poquianchis, quattro donne che tra il 1945 e il 1964 gestirono un bordello di coercizione e morte, trasformato dalla serie in una narrazione romanzata.