2020-03-23
Il governo approfitta dell’epidemia e crea due commissari per Anas e Rfi
Pronta la norma del ministro Paola De Micheli, che blinda per tre anni Massimo Simonini e Maurizio Gentile, con la scusa della crisi sanitaria. E dà la possibilità ai manager di assumere 80 consulenti. L'incidente di Pioltello è già dimenticato.Quando il coronavirus allunga la vita, ma delle poltrone. Grandi opere e appalti per strade, autostrade e ferrovie verranno affidate per decreto a due commissari straordinari e a 80 uomini di loro assoluta fiducia. Con la scusa del Covid-19, Anas e Rete Ferroviaria italiana (Rfi) verranno commissariate e i loro attuali capi, che erano in scadenza, si vedono allungata provvidenzialmente la durata degli incarichi di altri tre anni (ma possono diventare cinque, fino al 2025!). Quello che neppure Silvio Berlusconi e Pietro Lunardi al culmine del loro decisionismo avrebbero osato fare, è già pronto in uno schema di decreto che il ministro delle Infrastrutture, Paola De Micheli, su idea del suo vice grillino Giancarlo Cancelleri, potrebbe portare a uno dei prossimi Consigli del ministri.Si stanno mettendo a punto gli ultimi dettagli giuridici, comprese alcune complicate deroghe in tema di affidi diretti dei lavori e certificazioni antimafia, e se alla fine il premier, Giuseppe Conte, non avrà dubbi tecnici, la strada è segnata: il gap infrastrutturale dell'Italia sarà riempito con il ricorso a poteri straordinari. Con un piccolo problema: si blinda e si commissaria la gestione dei vecchi progetti messi in cantiere, ma chi può dire, oggi, come usciremo dalla pandemia, di che cosa avremo bisogno, che tipo di sviluppo vorremo, quali opere serviranno davvero e quali saranno invece da mettere nel dimenticatoio? Insomma, si mette il carro avanti ai buoi, approfittando della scarsa vitalità del Parlamento e di un'emergenza sanitaria che di questo passo giustificherà anche il cambio, o la conferma, dell'allenatore della nazionale di calcio.Il mese scorso, i rinnovi del renziano Maurizio Gentile alla guida di Rfi e di Massimo Simonini alla testa di Anas, erano ritenuti assai improbabili. Specie per Rfi, controllata da Ferrovie dello Stato, pesano l'inadeguatezza della rete Milano-Napoli e l'inchiesta sull'incidente del Pioltello, che il 25 gennaio 2018 costò la vita a tre persone e causò 46 feriti. La richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dei 12 indagati (funzionari e dipendenti di Rfi) è slittata dopo che la Procura ha accolto nuovi accertamenti chiesti dalle difese. Nei giorni scorsi, però, il governo ha deciso di prorogare di qualche mese gli oltre 400 incarichi in scadenza nelle partecipate di Stato, a cominciar da bocconi assai prelibati, per gli appetiti di Pd, M5s, Italia viva e Leu, come Eni, Enel, Terna, Leonardo, Poste e Ferrovie. In base al decreto che hanno preparato al Mit, con la scusa del commissariamento Gentile e Simonini verranno invidiati perfino da Claudio Descalzi di Eni e Francesco Starace di Enel: verranno trasformati in commissari straordinari con incarichi di tre anni, prorogabili per altri due. Il tutto sotto l'ombrello dei primi due decreti Conte su «misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell'emergenza epidemiologica da Covid-19». Come se Anas e Rfi dovessero costruire, al posto di tangenziali e nuovi snodi ferroviari, ospedali e centri di rianimazione. O trovare i nuovi vaccini. Ma con la scusa che «bisogna cantierare nel più breve tempo possibile nuove opere e nuove manutenzioni», come i tecnici delle Infrastrutture hanno spiegato al ministro, si prepara il commissariamento di tutto, e si comincia con Anas e Rfi. L'idea, partorita dal viceministro siciliano Cancelleri (M5s), è quella di affidare a Simonini e Gentile, in regime di urgenza, l'affidamento e l'esecuzione degli appalti relativi al contratto di programma Anas 2016-2020 e al contratto di programma per gli investimenti di Rfi 2017-2021, entrambi approvati dal Cipe nell'estate 2017, ai tempi del governo di Paolo Gentiloni. Le competenze dei due commissari si estenderebbero, per il momento, ai lavori già finanziati. ll piano investimenti di Anas vale 23,4 miliardi di lavori aggiuntivi, tra completamento di strade (8,4 miliardi), manutenzione straordinaria (10,5), nuove opere (3,9) e ripristino post-sisma del 2016 (0,6). Quello di Rfi vale 13 miliardi di euro tra miglioramento delle stazioni e adeguamento tecnologico della rete, specie in Lombardia. Ognuno dei due commissari, nel progetto di decreto, potrà scegliersi una struttura di 40 persone (un dirigente generale, cinque dirigenti e il resto truppa) da far nominare con apposito decreto e scelte anche da altre amministrazioni dello Stato, sia dirette che partecipate. Insomma, le attuali linee di management di Anas e Rfi non sono destinate a dormire tranquille. La previsione di queste due forze di occupazione da 40 persone l'una è forse il punto che scatenerà più discussioni, ma in fondo si tratta di 80 incarichi di un certo livello e i partiti di governo sapranno come dividerseli. Anzi, è il contentino che le tecnostrutture che spingono per il commissariamento, per non dire dei general contractor che aspettano là fuori, intendono offrire alla politica in cambio di questa piccola rivoluzione. Sempre pescando tra questi 80 personaggi, i due capi azienda potranno nominare un selva di sub commissari e responsabili dei singoli procedimenti, cantiere per cantiere. Quanto all'affidamento degli appalti, resta ovviamente confermato espressamente che non si può derogare alle norme europee (diversamente il presidente, Sergio Mattarella, non firmerebbe mai), ma si studiano consultazioni preliminari del commissario di ogni singola opera con almeno cinque potenziali committenti. Se servisse a scrivere meglio i capitolati, non sarebbe una brutta idea. Ma in un settore già paralizzato dai ricorsi di chi perde, rischia di ingolfare tutto. Dal Mit si è poi sondato il ministero dell'Interno per preparare una semplificazione delle misure amministrative per il rilascio della documentazione antimafia, anche in deroga alle norme attuali, denunciate più volte da Ance e Confindustria come farraginose. Molto delicata anche la parte del progetto che prevede di dimezzare i tempi di tutti i nulla osta, salvo quelli che riguardano tutela ambientale e paesaggistica. Del resto, la Costituzione italiana è stata una delle prime a tutelare anche il paesaggio (articolo 9), inteso anche come rappresentazione fisica della nostra identità culturale e storica, e di sicuro anche al Mit nessuno vorrà sfigurare le colline senesi con un groviglio di tangenziali. Tuttavia, proprio questa cautela tocca il punto più politico della faccenda: è corretto, oltre che sensato, «mettere in sicurezza» gli investimenti su piani del 2017, quando ancora non è dato sapere che Italia si sveglierà dalla pandemia, di che cosà avrà bisogno realmente, dove vorrà andare? Nel dubbio, però, due boiardi e 80 loro prediletti stapperanno lo spumante con la scusa del coronavirus.
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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