2019-03-29
Il giallo in cui la fede conta più dell’assassino
Il testimone di Mario Pomilio racconta la storia di un ladro, della sua donna e di un neonato che deve essere ritrovato. A indagare il commissario Duclair, ateo e stanco. «Se nel deserto del nostro spirito potessimo recuperare la coscienza di non essere soli...».«Il vento che investe i passanti allo sbocco di rue Rouelle ha della Senna il sentore, ma più il silenzio e la gelida ampiezza, resa squallida e smorta dal parapetto screpolato troppo alto sul fiume. A volgersi intorno è un grigiore di muri e più su l'altro grigio del fumo delle ciminiere che si ripiega verso il basso prima di sfarsi, in nembi di pulviscolo».Nessuno più scrive così. Nessuno può cominciare un romanzo così, tanto più tra quelli che finiscono sullo scaffale dei gialli.Il testimone di Mario Pomilio, prima edizione per Massimo nel 1956, si veste di giallo e non abdica alla centralità della trama. La dipana in una Parigi marginale, grigia, tra i luoghi di lavoro e dormitorio della ventunenne Jeanne, lo «stanzone irregolare con una stufa di ghisa al centro» del Café de la Paix e una triste mansarda dell'Hôtel de la Nuit: «Quassù per Jeanne il mondo è nuovo, come per una fioritura segreta che a lei sola riserbi il suo tepore. Ha un figlio, quassù, un figlio di tre mesi: Petit. Deve battezzarlo, deve chiamarlo Pierre, ma per ora è Petit». La genitorialità è un incidente, il compagno Charles uno sbandato che occasionalmente passa a trovarla: modi spicci, bottiglia e sigaretta, aliti di dolcezza; un'umanità minima, che cammina sul filo del disagio e della povertà. E che subito degrada, innescando il meccanismo.Charles fallisce una rapina in farmacia, la polizia arresta il complice, lui chiede rifugio a Jeanne cui piace l'idea di trovare un uomo (e non solo un neonato) ad aspettarla quando rientra dal lavoro: si prendono, si respingono, giocano, battibeccano, si amano con disperata purezza. Una notte Charles ruba le sue chiavi, raggiunge il Café de la Paix ed entra per svuotarne la cassa, ma viene aggredito dal proprietario. Reagisce, lo lascia steso a terra assieme al mazzo tintinnante: le chiavi di Jeanne, così facili da riconoscere. Nel giro di poche ore, tutto precipita. La ragazza viene arrestata e interrogata, ma non fa il nome di Charles neanche quando sul piatto finisce Petit, il suo bambino abbandonato da solo, a casa; ma come, non vuole che lo vadano a prendere? E allora parli, dica. Ecco, è appena entrato in scena il memorabile Duclair, assurdo che non lo si annoveri tra i grandi commissari delle letteratura mondiale.François Duclair, cinquantenne malinconico e ormai privo di ambizione, «la fronte calva, i denti anneriti dal fumo», una moglie da lasciare e una figlia morta all'età di 10 anni; disamorato del lavoro non legge più i giornali, è ateo, giudica e sentenzia da duro, eppure la sua morale vacillerà nel confronto con quei «relitti umani» quali Jeanne, che non confessa neppure per salvare suo figlio, o la compagna di cella Denise, sotto torchio per un sospetto aborto. O parlando con l'amico Leroy, il magistrato, in quello che diventa romanzo di formazione per uomini attempati. A caccia di alibi: «Questo nostro voler trascinarci dietro in ogni circostanza il peso di quel che noi siamo, affetti e passioni, impulsi o sentimenti, questo cercar di sovrapporre a tutte le altre la voce della nostra coscienza…».Pomilio svolge con strumenti diversi il suo lavoro di sempre: indaga il tormento e i dubbi dell'uomo. Per tenere accesa la miccia della tensione narrativa gli basta un neonato abbandonato da solo nella misera mansarda. Da cardiopalma. Quando lo vanno a prelevare, ci ha già pensato Charles, il padre. Lo ha portato nella sua tana, tenta di prendersene cura finché non esce a bere nel solito, maledetto bar. Errore colossale: il complice ha cantato, la polizia lo bracca. Charles fugge, finisce schiacciato sotto una macchina. Morto. Il piccolo Petit, adesso, è in un posto che nessuno conosce: quel solito neonato, di nuovo solo, in una altra misera stanza…Sembra che vi stia raccontando troppo? Deve ancora accadere tutto, specie nell'animo dei protagonisti, in quello di Duclair. «A lungo andare la nostra», gli dice una ragazza incontrata a pranzo, «quella di chi non crede, voglio dire, diventa per forza una morale relativa». E ancora: «Se almeno, in quel grande deserto che sta diventando il nostro spirito, potessimo recuperare la coscienza di non essere soli; se almeno, tutte le volte che stiamo facendo qualcosa, ci sforzassimo d'immaginarci d'avere un testimone alle nostre azioni…».Non è poi così lontana la sciamanica ricerca del cristiano Pomilio affinata con Il quinto evangelio (Rusconi, 1975, oggi L'Orma), uno dei romanzi più importanti del Novecento italiano, e così la luce funerea de Il Natale del 1833 (Ruscon, 1983, oggi Bompiani) il «componimento di storia e d'invenzione» che gli valse il Premio Strega: il Natale che al cattolico Alessandro Manzoni sottrasse l'amata moglie Enrichetta Blondel. «Come in ogni lettura d'anime», scrive in quel testo, «alla fine contano più le penombre, le cose non dette, gl'interstizi tra frase e frase, gli interrogativi lasciati in sospeso, anzi neppure pronunziati». In questo assai precedente Il testimone, sua seconda prova narrativa, è lontana quella rarefazione incantata ma è già vicina la sua idea di romanzo strumento, detective della coscienza. E la prosa è comunque magistrale.Nella sgualcita edizione che mi ritrovo in casa, un tascabile Rusconi con oscena copertina verde, scritte bianche e gialle su fondo fucsia e «Lire 5.000» quale richiesta di saldo, si scrive che «col tempo non ha perso affatto la sua attualità». Erano passati 24 anni dalla prima pubblicazione, oggi siamo a 63: potremmo dire lo stesso. «Un'occasione per andare alle radici del disamore e della violenza che intossicano la società moderna: la desolazione e la solitudine dei nostri agglomerati urbani, il vuoto di valori, l'inerzia e il dissesto morali, l'aggressività, le insufficienze della nostra giustizia». Sì, con il tempo siamo riusciti a far peggio.«Un'altra verità, un'altra morale, un'altra giustizia… Sarebbe tutto così facile! Ma c'è, un'altra giustizia?». «Dicono». «Ma tu ci credi?».Siamo alle battute conclusive: due uomini, Duclair e Leroy, il peso dei fallimenti sulle spalle, il mondo che frana d'intorno.«Ma che importanza può avere che io ci creda o no?».Un mazzo di carte, un posacenere.«C'è tanta gente che ci crede». Fine.
Donald Trump (Getty Images)
Donald Trump (Getty Images)
Andrea Crisanti (Imagoeconomica)