Al via in provincia di Brindisi i tre giorni del summit. Prime polemiche sul diritto all’interruzione di gravidanza: «È stato cancellato dalle bozze». Tra i dossier più caldi Ucraina, Cina, Ia e piano Mattei.Oggi inizia l’attesissimo G7 a conduzione italiana e come di consueto nelle scorse ore sono circolate le bozze del documento finale che verrà presentato al termine dei lavori. Trattandosi di bozze, appunto, non c’è nulla di definitivo. Più che altro va intesa come una traccia su cui i sette grandi dovranno confrontarsi per arrivare ad una sintesi. Nel pomeriggio di ieri alcune fonti stampa facevano notare che nelle bozze non fosse presente il passaggio in cui si sottolinea l’importanza di garantire «un accesso effettivo e sicuro all’aborto». Dure le polemiche interne alimentate sul tema. «In passato, Giorgia Meloni aveva assicurato che non avrebbe mai toccato la libertà di scelta delle donne sull’aborto. Le sue azioni raccontano una storia diversa», ha detto la tesoriera di +Europa, Carla Taibi. «È il G7, non Atreju. Utilizzare la presidenza italiana del più importante forum intergovernativo per attaccare i diritti delle donne è gravissimo». Così il dem Alessandro Zan, responsabile diritti del Pd. Fonti di governo hanno poi precisato: «Nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza delle conclusioni del vertice G7, così come riportato da alcuni organi di stampa in una fase in cui le dinamiche negoziali sono ancora in corso. Tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7». Nessuna smentita, invece, per altre indiscrezioni uscite nelle stesse ore. Secondo Bloomberg, il G7 intende «aumentare la produzione e le consegne di armi per aiutare l’autodifesa dell’Ucraina». In un altro passaggio, sempre sul tema guerra in Ucraina, sembra che i leader del G7 metteranno in guardia la Russia da minacce nucleari «irresponsabili». Inoltre, nelle bozze conclusive sembra che verranno avanzate anche delle richieste nei confronti di Pechino: si chiederà alla Cina di smettere di sostenere la guerra della Russia contro l’Ucraina. «Gli alleati di Kiev», si legge, «accusano Pechino di fornire alla Russia tecnologie e componenti, presenti nelle armi o necessari per costruirle, favorendo gli sforzi di Mosca per aggirare, ondata dopo ondata, le restrizioni commerciali del G7 su molti di questi beni. I materiali vietati spesso arrivano in Russia attraverso Paesi terzi come Cina e Turchia o reti di intermediari». Non solo Russia sul tavolo del G7, così come annunciato si parlerà anche di Medi Oriente e a quanto risulta sempre all’agenzia di stampa americana, i leader del G7 chiederanno ad Hamas di accettare l’accordo di cessate il fuoco delineato dal presidente Usa Joe Biden. Nel documento, inoltre, gli alleati esorteranno Israele ad allentare l’escalation di una «offensiva militare su vasta scala» a Rafah, e potrebbe usare un linguaggio che sollecita tali misure a essere in linea con le indicazioni provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia. «Esortiamo i Paesi che hanno influenza su Hamas a contribuire per garantire che accetti un cessate il fuoco», così nella bozza di comunicato G7.Da oggi a sabato può succedere di tutto naturalmente e quella che è una bozza potrebbe anche restare tale. Ciò che conta è quello che avverrà durante le giornate ricche di incontri formali, e informali. I lavori inizieranno dopo la classica foto di famiglia che ritrarrà Meloni con Biden, il francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, il premier canadese Justin Trudeau, il giapponese Fumio Kishida, il britannico Rishi Sunak, oltre ai vertici politici dell’Unione europea. Il primo appuntamento è previsto per le 11.15 con una sessione dedicata all’Africa, al cambiamento climatico e allo sviluppo. Meloni coglierà l’occasione per valorizzare il Piano Mattei e per discutere d’iniziative specifiche su clima, ambiente ed energia, guardando al continente con un approccio di partenariato e sviluppo sostenibile. A partire dalle 12.45 ci sarà la sessione dedicata al Medio Oriente. Nel pomeriggio sarà la volta dell’Ucraina, con una sessione divisa in due parti. Alla prima, al via alle 14.15 e della durata di circa un’ora, prenderà parte il presidente Zelensky; la seconda, di durata leggermente inferiore, vedrà la partecipazione dei soli leader del G7. Domani invece sarà la volta dell’Intelligenza artificiale. Sabato alle 14, ci sarà la conferenza stampa di chiusura della presidenza italiana. Importanti nelle due giornate anche i bilaterali tra le singole istituzioni e Paesi. Biden, che da ieri sera si trova a Borgo Egnazia, ha in programma già due incontri: uno il premier Giorgia Meloni e uno con Papa Francesco. Entrambi fissati per domani pomeriggio. Oggi invece è previsto un incontro cui seguirà una conferenza stampa congiunta con il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, invitato a Borgo Egnazia per partecipare alla sessione dei lavori dedicata al conflitto in corso nel suo Paese. Tra i due dovrebbe chiudersi un accordo sulla sicurezza in Ucraina simile a quelli già firmati da Zelensky con altri Paesi Nato. Domani sera al termine di colloqui e lavori, Biden lascerà l'Italia per fare ritorno negli Stati Uniti, recandosi a Los Angeles dopo aver fatto scalo alla base di Andrews, nei pressi di Washington.Tra i bilaterali già confermati, anche quello tra il presidente del Consiglio Meloni e il premier indiano Narendra Modi. A dirlo, il sottosegretario agli Esteri indiano Vinay Kwatra nel corso di un briefing con i media sulla partecipazione dell’India al summit G7. Insieme ai sette grandi infatti parteciperanno anche altri Paesi invitati dalla presidenza italiana. Oltre a India, Santa Sede e Ucraina, ci saranno: Algeria, Argentina, Brasile, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Kenya, Mauritania, Tunisia e Turchia. Inoltre saranno presenti i rappresentanti di Banca africana di sviluppo, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Ocse e Onu.
Daniela Palazzoli, ritratto di Alberto Burri
Scomparsa il 12 ottobre scorso, allieva di Anna Maria Brizio e direttrice di Brera negli anni Ottanta, fu tra le prime a riconoscere nella fotografia un linguaggio artistico maturo. Tra mostre, riviste e didattica, costruì un pensiero critico fondato sul dialogo e sull’intelligenza delle immagini. L’eredità oggi vive anche nel lavoro del figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e presidente Angamc.
C’è una frase che Daniela Palazzoli amava ripetere: «Una mostra ha un senso che dura nel tempo, che crea adepti, un interesse, un pubblico. Alla base c’è una stima reciproca. Senza quella non esiste una mostra.» È una dichiarazione semplice, ma racchiude l’essenza di un pensiero critico e curatoriale che, dagli anni Sessanta fino ai primi Duemila, ha inciso profondamente nel modo italiano di intendere l’arte.
Scomparsa il 12 ottobre del 2025, storica dell’arte, curatrice, teorica, docente e direttrice dell’Accademia di Brera, Palazzoli è stata una figura-chiave dell’avanguardia critica italiana, capace di dare alla fotografia la dignità di linguaggio artistico autonomo quando ancora era relegata al margine dei musei e delle accademie. Una donna che ha attraversato cinquant’anni di arte contemporanea costruendo ponti tra discipline, artisti, generazioni, in un continuo esercizio di intelligenza e di visione.
Le origini: l’arte come destino di famiglia
Nata a Milano nel 1940, Daniela Palazzoli cresce in un ambiente dove l’arte non è un accidente, ma un linguaggio quotidiano. Suo padre, Peppino Palazzoli, fondatore nel 1957 della Galleria Blu, è uno dei galleristi che più precocemente hanno colto la portata delle avanguardie storiche e del nuovo informale. Da lui eredita la convinzione che l’arte debba essere una forma di pensiero, non di consumo.
Negli anni Cinquanta e Sessanta Milano è un laboratorio di idee. Palazzoli studia Storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano con Anna Maria Brizio, allieva di Lionello Venturi, e si laurea su un tema che già rivela la direzione del suo sguardo: il Bauhaus, e il modo in cui la scuola tedesca ha unito arte, design e vita quotidiana. «Mi sembrava un’idea meravigliosa senza rinunciare all’arte», ricordava in un’intervista a Giorgina Bertolino per gli Amici Torinesi dell’Arte Contemporanea.
A ventun anni parte per la Germania per completare le ricerche, si confronta con Walter Gropius (che le scrive cinque lettere personali) e, tornata in Italia, viene notata da Vittorio Gregotti ed Ernesto Rogers, che la invitano a insegnare alla Facoltà di Architettura. A ventitré anni è già docente di Storia dell’Arte, prima donna in un ambiente dominato dagli uomini.
Gli anni torinesi e l’invenzione della mostra come linguaggio
Torino è il primo teatro della sua azione. Nel 1967 cura “Con temp l’azione”, una mostra che coinvolge tre gallerie — Il Punto, Christian Stein, Sperone — e che riunisce artisti come Giovanni Anselmo, Alighiero Boetti, Luciano Fabro, Mario Merz, Michelangelo Pistoletto, Gilberto Zorio. Una generazione che di lì a poco sarebbe stata definita “Arte Povera”.
Quella mostra è una dichiarazione di metodo: Palazzoli non si limita a selezionare opere, ma costruisce relazioni. «Si tratta di individuare gli interlocutori migliori, di convincerli a condividere la tua idea, di renderli complici», dirà più tardi. Con temp l’azione è l’inizio di un modo nuovo di intendere la curatela: non come organizzazione, ma come scrittura di un pensiero condiviso.
Nel 1973 realizza “Combattimento per un’immagine” al Palazzo Reale di Torino, un progetto che segna una svolta nel dibattito sulla fotografia. Accanto a Luigi Carluccio, Palazzoli costruisce un percorso che intreccia Man Ray, Duchamp e la fotografia d’autore, rivendicando per il medium una pari dignità artistica. È in quell’occasione che scrive: «La fotografia è nata adulta», una definizione destinata a diventare emblematica.
L’intelligenza delle immagini
Negli anni Settanta, Palazzoli si muove tra Milano e Torino, tra la curatela e la teoria. Fonda la rivista “BIT” (1967-68), che nel giro di pochi numeri raccoglie attorno a sé voci decisive — tra cui Germano Celant, Tommaso Trini, Gianni Diacono — diventando un laboratorio critico dell’Italia post-1968.
Nel 1972 cura la mostra “I denti del drago” e partecipa alla 36ª Biennale di Venezia, nella sezione Il libro come luogo di ricerca, accanto a Renato Barilli. È una stagione in cui il concetto di opera si allarga al libro, alla rivista, al linguaggio. «Ho sempre pensato che la mostra dovesse essere una forma di comunicazione autonoma», spiegava nel 2007 in Arte e Critica.
La sua riflessione sull’immagine — sviluppata nei volumi Fotografia, cinema, videotape (1976) e Il corpo scoperto. Il nudo in fotografia (1988) — è uno dei primi tentativi italiani di analizzare la fotografia come linguaggio del contemporaneo, non come disciplina ancillare.
Brera e l’impegno pedagogico
Negli anni Ottanta Palazzoli approda all’Accademia di Belle Arti di Brera, dove sarà direttrice dal 1987 al 1992. Introduce un approccio didattico aperto, interdisciplinare, convinta che il compito dell’Accademia non sia formare artisti, ma cittadini consapevoli della funzione dell’immagine nel mondo. In quegli anni l’arte italiana vive la transizione verso la postmodernità: lei ne accompagna i mutamenti con una lucidità mai dogmatica.
Brera, per Palazzoli, è una palestra civile. Nelle sue aule si discute di semiotica, fotografia, comunicazione visiva. È in questo contesto che molti futuri curatori e critici — oggi figure di rilievo nelle istituzioni italiane — trovano nella sua lezione un modello di rigore e libertà.
Il sentimento del Duemila
Dalla fine degli anni Novanta al nuovo secolo, Palazzoli continua a curare mostre di grande respiro: “Il sentimento del 2000. Arte e foto 1960-2000” (Triennale di Milano, 1999), “La Cina. Prospettive d’arte contemporanea” (2005), “India. Arte oggi” (2007). Il suo sguardo si sposta verso Oriente, cogliendo i segni di un mondo globalizzato dove la fotografia diventa linguaggio planetario.
«Mi sono spostata, ho viaggiato e non solo dal punto di vista fisico», diceva. «Sono un viaggiatore e non un turista.» Una definizione che è quasi un manifesto: l’idea del curatore come esploratore di linguaggi e di culture, più che come amministratore dell’esistente.
Il suo ultimo progetto, “Photosequences” (2018), è un omaggio all’immagine in movimento, al rapporto tra sequenza, memoria e percezione.
Pensiero e eredità
Daniela Palazzoli ha lasciato un segno profondo non solo come curatrice, ma come pensatrice dell’arte. Nei suoi scritti e nelle interviste torna spesso il tema della mostra come forma autonoma di comunicazione: non semplice contenitore, ma linguaggio.
«La comprensione dell’arte», scriveva nel 1973 su Data, «nasce solo dalla partecipazione ai suoi problemi e dalla critica ai suoi linguaggi. Essa si fonda su un dialogo personale e sociale che per esistere ha bisogno di strutture che funzionino nella quotidianità e incidano nella vita dei cittadini.»
Era questa la sua idea di critica: un’arte civile, capace di rendere l’arte parte della vita.
L’eredità di una visione
Oggi il suo nome è legato non solo alle mostre e ai saggi, ma anche al Fondo Daniela Palazzoli, custodito allo IUAV di Venezia, che raccoglie oltre 1.500 volumi e documenti di lavoro. Un archivio che restituisce mezzo secolo di riflessione sulla fotografia, sul ruolo dell’immagine nella società, sul legame tra arte e comunicazione.
Ma la sua eredità più viva è forse quella raccolta dal figlio Andrea Sirio Ortolani, gallerista e fondatore di Osart Gallery, che dal 2008 rappresenta uno dei punti di riferimento per la ricerca artistica contemporanea in Italia. Presidente dell’ANGAMC (Associazione Nazionale Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) dal 2022 , Ortolani prosegue, con spirito diverso ma affine, quella tensione tra sperimentazione e responsabilità che ha animato il percorso della madre.
Conclusione: l’intelligenza come pratica
Nel ricordarla, colpisce la coerenza discreta della sua traiettoria. Palazzoli ha attraversato decenni di trasformazioni mantenendo una postura rara: quella di chi sa pensare senza gridare, di chi considera l’arte un luogo di ricerca e non di potere.
Ha dato spazio a linguaggi considerati “minori”, ha anticipato riflessioni oggi centrali sulla fotografia, sul digitale, sull’immagine come costruzione di senso collettivo. In un paese spesso restio a riconoscere le sue pioniere, Daniela Palazzoli ha aperto strade, lasciando dietro di sé una lezione di metodo e di libertà.
La sua figura rimane come una bussola silenziosa: nel tempo delle immagini totali, lei ci ha insegnato che guardare non basta — bisogna vedere, e vedere è sempre un atto di pensiero.
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