
L'ad di Fs, rinviato a giudizio, incassa l'ok del cda. Ma se non avrà la fiducia del Tesoro, per statuto decadrà in automatico. Manca ancora l'accordo sul nuovo ad di Cdp e sul direttore generale del Mef. Le tre nomine andranno a sovrapporsi in agosto.Il clima attorno alle nomine delle partecipate si fa sempre più arroventato. Tra malizie e colpi di coda, la mediazione tra le varie componenti del governo è assai complicata. Non a caso per Cassa depositi e prestiti si ipotizza di tenere aperta l'assemblea per i 45 giorni successivi alla data della convocazione in modo da poter rinnovare soltanto il presidente (dal momento che tutti convergono su Massimo Tononi) e congelare la scelta di amministratore delegato e direttore generale. La fattibilità tecnica dell'operazione è prevista dalle norme. Accadrebbe però per la prima volta a governo già nominato. La poltrona sulla quale si sta però concentrando la politica gialloblù è quella di Renato Mazzoncini, numero uno di Fs. I vertici della maggioranza considerano il manager troppo renziano e sarebbero pronti a metterlo in discussione nonostante sia stato riconfermato soltanto lo scorso dicembre contestualmente al matrimonio tra Fs e Anas. Come ha riportato il quotidiano La Repubblica, lo statuto dell'azienda prevede che l'ad rinviato a giudizio decada dall'incarico, a meno che cda e azionisti di maggioranza (il Tesoro) rinnovino formalmente la fiducia. Il manager è stato infatti da poco rinviato a giudizio dalla Procura di Perugia per falso ideologico nell'ambito di un'inchiesta sulla mobilità umbra e tre settimane fa è finito indagato in un'altra indagine condotta dai pm di Parma. Qui le accuse parlano di turbativa d'asta e essere coinvolta è Busitalia, controllata di Fs che si occupa di trasporto su gomma. Il 14 giugno, secondo quanto risulta alla Verità, si è riunito il cda di Ferrovie dello Stato e ha rinnovato la fiducia a Mazzoncini. La riunione si è chiusa riservandosi di fissare l'assemblea (entro 60 giorni) durante la quale l'azionista pubblico dovrà dare il proprio parere. In pratica, sebbene dall'azienda confermino che non sono previsti cambi di alcun genere, le sorti di Mazzoncini sono nella mani del neo ministro all'Economia, Giovanni Tria. Starà a lui trovare il modo di lasciare in sella l'ad oppure di voltare pagina. Formalmente non sarebbe nemmeno spoil system, ma semplicemente si tratterebbe di interpretare in maniera rigida lo statuto. A essere in discussione da parte del M5s e della Lega è però anche l'intera operazione di aggregazione con Anas, che chiusa in fretta e furia sotto Natale, rischia di portarsi appresso alcune difficoltà a livello di stato patrimoniale del nuovo colosso. Il matrimonio non è ancora stato contabilizzato perché rientrerà nel bilancio 2018. In ballo c'è la valutazione degli asset di Anas sulla quale, stando a indiscrezione non smentite, ballerebbero 2 miliardi di euro. In caso di minor valutazione verrebbe meno buona parte dei dividendi e il nuovo governo non vorrebbe rinunciarvi. Potrebbe essere l'appiglio per smontare il matrimonio con Anas e riportare l'orologio indietro a novembre 2017. Tecnicamente sarebbe fattibile, visto che l'anno contabile è ancora in corso.D'altronde appena insediatosi al ministero delle Infrastrutture, Danilo Toninelli l'ha detto chiaro: «Valuteremo l'opportunità di bloccare l'iter». Se l'intenzione è quella di fare il blitz, l'assemblea straordinaria da convocare entro fine agosto rischia di essere un veloce teatro di scontro. D'altronde al momento Tria non avrebbe mandato alcun segnale. Nemmeno Mazzoncini ha incontrato il ministro. Ovviamente gli analisti politici interpretano i fatti in maniera opposta. Versione a) Tria non vorrebbe dare sostegno al manager renziano. Versione b) il silenzio equivale ad assenso. Fra pochi giorni si capirà. Tirare troppo per le lunghe non sarebbe però un buon segno. Perché i vertici più milanesi della Lega non hanno apprezzato l'approccio di Mazzoncini alle trattative con Ferrovie Nord e più in generale molti amministratori locali da tempo soffrono la politica espansiva di Fs nel trasporto locale su gomma. Senza dimenticare che anche a Pavia la Procura ha aperto un'inchiesta sull'assegnazione di una bando di gara nell'anno 2016 che tocca Autoguidovie, azienda affiliata a Busitalia e della quale Mazzoncini è stato in precedenza il numero uno.Insomma, i fronti aperti sono numerosi per il governo. E alcuni sono indice di forte spaccatura interna. Le nomine Rai non sono ancora nemmeno sul tavolo. E la scelta del direttore generale del Mef si allunga. Davide Casaleggio ha espresso il nome di Antonio Guglielmi, ma sempre Tria sarebbe di parere diverso. In queste settimane sta lavorando con il numero quattro del Mef, Alessandro Rivera, che lo accompagnerà anche al Consiglio Ue del prossimo 27 giugno. La figura è ancora da definire ed è fondamentale per le operazioni straordinarie, per la gestione del debito e pure per avallare nomine importanti come quelle in Cdp. A questo punto le tre nomine delicate a causa dei rinvii rischiano di sovrapporsi tutte a metà agosto.
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Il cancelliere ha annunciato un autunno di riforme «lacrime e sangue». In bilico il «Reddito di cittadinanza» per i disoccupati. Ma la Corte dei conti federale boccia la manovra perché non riesce a contenere il debito.
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La casa distrutta nell’area di Lublino è stata colpita dal missile sparato da un F-16, non dai velivoli di Vladimir Putin. Salta la pista russa pure per l’omicidio di Andriy Parubiy: l’ha ucciso un ucraino furioso per la morte del figlio al fronte.
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Il premier dalla campagna elettorale di Acquaroli ad Ancona: «Elly Schlein mi chiede di fare nomi e cognomi di chi mi odia? Ci stiamo una giornata».
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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