2019-02-25
Il fantasma di Gheddafi aleggia sulla Nord Corea
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Una denuclearizzazione "irreversibile" potrebbe costituire un elemento di profonda preoccupazione per un leader come Kim Jong un che ha sempre temuto di incorrere nella stessa fine di Saddam Hussein o dell'ex numero uno della Libia.Prosegue il processo di distensione tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Il prossimo 27 febbraio inizierà ad Hanoi un summit di due giorni, nel cui ambito si terrà un incontro tra il presidente americano, Donald Trump, e il leader nordcoreano, Kim Jong un. L'evento costituisce del resto un ulteriore passo verso il disgelo, dopo lo storico vertice che ebbe luogo tra i due a Singapore, lo scorso 12 giugno. Insomma, l'intesa tra i vecchi nemici sembra quasi a portata di mano. Ciononostante non è affatto detto che la strada possa definirsi del tutto in discesa. Di problemi sul tavolo ce ne sono ancora: un elemento che Donald Trump ha ben chiaro. Recentemente il presidente americano si è detto ottimista sulla distensione, affermando che la Corea del Nord disporrebbe di un elevato potenziale economico. Tuttavia il magnate newyorchese ha tenuto anche a precisare che Pyongyang debba ancora intraprendere "passi significativi" se vuole arrivare alla rimozione delle sanzioni. In questo senso, la principale incognita che incombe sui negoziati è quella della denuclearizzazione.Si tratta di un problema che è già stato affrontato nel corso del summit di Singapore. In quell'occasione, la Casa Bianca ha dichiarato fermamente di pretendere una denuclearizzazione "completa, verificabile e irreversibile". Una richiesta decisa e impegnativa, rispetto a cui Kim ha replicato, limitandosi a parlare di un generico impegno a denuclearizzare la penisola coreana, senza tuttavia entrare granché nel dettaglio. Ecco: arrivare a un accordo sulla questione tra le due parti non è affatto scontato. Anche perché non è esattamente chiaro quanto il leader nordcoreano sarà disposto ad accettare le condizioni statunitensi. Certo: la rimozione delle sanzioni è un obiettivo che fa gola a Pyongyang. Ma non è detto che basti per gettare le basi concrete di una distensione. Agli occhi di Kim, una denuclearizzazione "verificabile" potrebbe rappresentare un'inaccettabile violazione della sovranità nordcoreana. Ma – cosa più importante – una denuclearizzazione "irreversibile" potrebbe costituire un elemento di profonda preoccupazione per un leader che – secondo i beninformati – ha sempre temuto di incorrere nella stessa fine di Saddam Hussein e di Muammar Gheddafi.Ed è proprio lo spettro dello stesso Gheddafi ad aleggiare inquietantemente sull'intero processo di distensione. Quando, a maggio scorso, il National Security Advisor John Bolton disse di voler applicare alla Corea del Nord il modello di denuclearizzazione adottato per la Libia nel 2003, Kim Jong Un andò su tutte le furie e le trattative per il disgelo rischiarono di saltare. Lo stesso Trump fu costretto a intervenire, per gettare acqua sul fuoco. Un incidente a dir poco esplosivo. Tanto che qualcuno ipotizzò malignamente che Bolton avesse citato apposta il modello libico, per intralciare un processo di disgelo che – in realtà – non avrebbe mai apprezzato granché. D'altronde, equiparare la situazione della Libia del 2003 a quella della Corea del Nord di oggi era effettivamente un po' azzardato. All'epoca, Tripoli scontava un fortissimo isolamento internazionale, mentre la sua economia risultava letteralmente strangolata dalle sanzioni. Anche il suo programma nucleare non era avanzatissimo, senza considerare una capacità missilistica relativamente modesta. Situazione ben differente si riscontra invece nell'odierna Pyongyang: nonostante sia fiaccato dalle sanzioni, il regime nordcoreano vanta un programma nucleare particolarmente raffinato e una potenza missilistica non indifferente. Inoltre, contrariamente al Gheddafi del 2003, Kim Jong un non è isolato sul fronte internazionale, come spesso si dice. Il regime intrattiene infatti storici (e importanti) legami commerciali con la Cina e con la Russia. Senza poi dimenticare la collaborazione con l'Iran proprio nel settore nucleare.Tuttavia la questione dell'arsenale nucleare non sarà prevedibilmente l'unico tema ad essere affrontato durante l'incontro. Tra i dossier sul tavolo, comparirà probabilmente anche l'annosa questione dei prigionieri giapponesi detenuti in Corea del Nord: un elemento spinoso, su cui il premier nipponico Shinzo Abe ha più volte chiesto rassicurazioni a Trump. Rassicurazioni che il presidente americano non può permettersi di ignorare, se vuole effettivamente coinvolgere la scettica Tokyo nel più generale processo di distensione in atto con Pyongyang. Affinché le trattative vadano a buon fine, la Casa Bianca sa infatti benissimo di dover compattare il fronte con i suoi storici alleati in Estremo Oriente, evitando fratture e dissidi fratricidi.Insomma, Trump si trova davanti a un interlocutore potenzialmente pericoloso. E dovrà mostrare di possedere un'efficace abilità negoziale per arrivare a un accordo solido e duraturo. Tenendo sempre bene a mente di avere a che fare con un partner non eccessivamente affidabile. Non bisogna infatti dimenticare che, nel 1994, Bill Clinton aveva già raggiunto un'intesa con Pyongyang per limitare il suo programma nucleare: un accordo che venne puntualmente disatteso dalla Corea del Nord, per finire poi lettera morta. E, per quanto la Casa Bianca avesse tentato di rilanciare l'azione diplomatica nel 2000, si risolse alla fine tutto in una bolla di sapone. Del resto, anche dalle parti dell'establishment di Washington, le opposizioni al disgelo non sono affatto poche: all'interno dello stesso Partito Repubblicano le voci dissonanti e scettiche su questo dossier risultano svariate. Trump deve essere quindi pronto ad agire su un duplice fronte, se vuole portare a casa quello che potrebbe rivelarsi un obiettivo di portata storica. Il tutto, muovendosi con estrema cautela negoziale, per inaugurare una fase di concreta distensione e aggiungere così un ulteriore tassello al suo ambizioso obiettivo di superare definitivamente le vecchie logiche della Guerra Fredda.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)