2020-03-17
Il decreto è una farsa fiscale. Tasse rinviate di 4 giorni e 100 euro a chi va al lavoro
Per le imprese che fatturano oltre 2 milioni sospensione fino a giovedì. Agli autonomi un'elemosina da 500 euro e per i dipendenti costretti ad andare in sede ancora meno.Quando il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, sono andati in onda per annunciare agli italiani il varo del decreto Cura Italia (così è stato soprannominato) il testo era ancora in alto mare. Il Consiglio dei ministri di ieri mattina non è riuscito a definire tutti gli articoli e a calcolarne gli impatti economici. Questo la dice lunga sui ritardi che affliggono il governo che ha scelto di farsi travolgere da un documento inadatto per l'urgenza del momento. Il decreto è diventato, infatti, una manovra da circa 25 miliardi contente 120 articoli, quando sarebbe stato più facile emettere alcune disposizioni fiscali d'urgenza. Purtroppo, va detto, non sarebbe stato possibile prendere la strada migliore perché i tecnici del Mef e della Ragioneria dello Stato avrebbero fatto sapere che lo stop reale delle tasse avrebbe mandato lo Stato in sofferenza di cassa. Tradotto: se il governo avesse fatto la cosa giusta (non far pagare le tasse a tutte le aziende e agli autonomi) saremmo andati incontro al default. Il che a sua volta avrebbe imposto l'arrivo della Troika e quindi il commissariamento dell'Italia. Da questo drammatico bivio segue la scelta di imbastire una manovra finanziaria piena di contraddizioni e prese in giro. La prima riguarda le aziende. Al di là del fatto che il testo del decreto non è ancora in Gazzetta e resta - nel momento in cui scriviamo - ballerino. Le scadenze di ieri sono sospese fino al 31 maggio per tutti coloro che fatturano meno di 2 milioni di euro. Sono interamente abbuonate per le imprese costrette a chiudere i battenti dai precedenti decreti sul coronavirus (l'elenco preciso non è ancora stato diffuso). Immaginare che a fine maggio l'economia sia ripartita è un semplice inganno, oppure un auto inganno se, come immaginiamo, chi ci governa vuole convincersi del contrario. Il dramma è che le imprese che fatturano più di 2 milioni e non sono incluse nella lista dei «graziati» saranno comunque tenute a pagare le tasse il 20 marzo. Screzi ieri sera dentro la maggioranza potrebbero portare la data al 31 marzo, ipotesi che renderebbe la presa in giro meno eclatante. Pur sempre dannosa. Tolti gli autonomi, gli artigiani e i commercianti le imprese che superano la soglia sono almeno il 63% e quindi gran parte di essi si troveranno prosciugati e costretti a fare uso degli ammortizzatori sociali. Questi a onor del vero sono stati potenziati in modo importante. Ma si tratta di pilastri per chi perde il lavoro e non interventi per evitare che le aziende chiudano i battenti. A peggiorare la situazione c'è anche la confusione su tutti i termini fiscali per i contenziosi e gli arretrati. I differimenti delle udienze tributarie sono fissati per il 15 aprile. Il decreto però dà un mese e mezzo in più all'Amministrazione finanziaria. La sospensione dei termini per le attività relative al contenzioso degli uffici dell'Agenzia delle entrate vale fino al 31 maggio. Quindi tra un grado e l'altro di giudizio il cittadino ha 45 giorni in meno per difendersi e in un momento come questo è una somma prevaricazione nei confronti dei privati che perdono un altro pezzo di libertà e sembrano destinati a dover accettare le briciole come quelle erogate ai lavoratori autonomi.È confermato nel decreto il bonus per le partite Iva. Si tratta, però, di 500 euro una tantum. Somma con cui gli autonomi non pagano nemmeno il costo annuale della gestione delle fatture e del commercialista. All'interno dei commi dedicati al sostegno dei lavoratori, che saranno aiutati con cassaintegrazione straordinaria e altri stimoli come il bonus da 600 euro per le baby sitter, spunta un incentivo a dir poco offensivo. Per tutti i dipendenti impiegati in aziende che non possono utilizzare lo smart working sarà possibile incassare un bonus da 100 euro. Il governo tiene in questo caso a far sapere che sono netti ma saranno perimetrati sui giorni effettivi lavorati. Il che significa che potrebbero essere anche la metà, cioè qualche euro al giorno per chi rischia la salute o la vita per mandare avanti il Paese.Per il resto il decreto si articola su cinque pilastri, il primo dei quali serve per dare denaro alla Protezione civile, agli ospedali e all'esercito. Gli altri sono fatti di garanzie e fondi a pioggia. «Con questo decreto forte, deciso nei numeri e nelle misure, non esauriamo il nostro compito», ha chiarito ieri il premier ribadendo le parole di Gualtieri e precisando che «oggi il governo risponde presente e risponderà presente anche domani con nuove misure per ricostruire il tessuto economico e sociale». «L'esecutivo», ha annunciato Conte, varerà «un piano di ingenti investimenti che dovremo promuovere con una rapidità che il nostro Paese non ha mai conosciuto prima», attraverso una semplificazione burocratica e anche un «alleggerimento delle tasse». Il ministro dell'Economia si è limitato a dire che ad aprile si farà un altro decreto, una frase di grande sincerità o un lapsus che spiegano che le risorse varate ieri hanno un orizzonte di soli 30 giorni.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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