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2018-07-16
Il decreto Dignità lascia a casa soltanto Boeri
Da quando Matteo Renzi lo ha nominato presidente dell'Inps, nel 2014, Tito Boeri si occupa di tutto tranne che dell'Inps. In rete si possono trovare numerosi suoi interventi in difesa dell'immigrazione, nonostante gli sbarchi dei clandestini non siano una questione di stretta competenza dell'istituto di previdenza. Note sono pure le sue numerose prese di posizione contro i vitalizi dei parlamentari, che sebbene rappresentino uno scandalo, non paiono essere una questione che debba riguardare l'Inps e il suo presidente, in quanto la pensione agli onorevoli la pagano Camera e Senato, senza incidere sui conti dell'ente gestito da Boeri. L'uomo, del resto, è un prezzemolino che sbuca di continuo sulle pagine dei giornali e nelle aperture dei tg, intromettendosi in progetti e disegni di legge che pur non essendo affar suo lo spingono a manifestare opinioni e giudizi nonostante nessuno li abbia richiesti. La realtà è che la guida del più grande istituto previdenziale d'Europa è un incarico che sta stretto al professore, il quale per sé immagina ben altro.Quando Renzi lo installò ai vertici dell'Inps, sottraendolo al tranquillo mestiere di opinionista e insegnante, il docente della Bocconi si attendeva una carriera sfavillante, pronto a usare l'ente come un trampolino di lancio per più alti e prestigiosi incarichi. Già si vedeva ministro del Lavoro al posto di quel giuggiolone di Giuliano Poletti. Considerando il responsabile del dicastero meno di zero, nel miglior caso due braccia sottratte all'agricoltura in quel di Imola, Boeri si sentiva adatto a succedergli nella guida delle politiche dell'occupazione. E infatti, in quegli anni, più volte l'ufficio stampa dell'Inps si è sostituito ai pr del ministero del Lavoro nel commentare i tassi di occupazione, istituendo addirittura una specie di osservatorio che cominciò a sparare numeri a raffica, rischiando l'incidente con l'Istat, unico ente abilitato a censire assunzioni e licenziamenti. Intendiamoci, prendere il posto di Poletti per Boeri non sarebbe stato un punto d'arrivo, ma solo uno di partenza, perché credo che lui giudichi offensiva l'offerta di qualsiasi altro incarico che non sia quello di presidente del Consiglio. Eh, già. Quando Renzi lo nominò all'Inps nella speranza di tacitarne le critiche e levarselo dai piedi, in realtà non si rese conto di essersi messo al fianco un pericoloso concorrente. Dal giorno dopo aver preso possesso del nuovo ufficio, il professore di economia prestato alla politica cominciò infatti a martellare Palazzo Chigi con le sue prese di posizione. Via via sono state bocciate tutte le misure escogitate dal governo per creare nuova occupazione o per limitare le proteste dei pensionati. Dall'Ape alla riforma della Fornero, tutto è passato al severo vaglio di Boeri, che, ovviamente, non ha lesinato le critiche.Sopravvissuto all'era Renzi e organico al circolo di Repubblica e degli intellettuali progressisti che gravitano attorno a De Benedetti, Boeri sa di avere i giorni contati e per questo recentemente ha alzato i toni, giungendo a scontrarsi direttamente con il ministro dell'Interno. Visto che con i 5 stelle e la Lega al governo per lui non ci sono possibilità di diventare ministro e men che meno esiste l'ipotesi di essere nominato presidente del Consiglio, il professore deve aver pensato che al suo calibro meglio si addice il ruolo di martire. Figurare tra i perseguitati del nuovo fascismo, deve aver valutato, può valere una medaglia per il futuro. Fare la vittima, del resto, è un mestiere che in passato ha reso molto, in Rai e anche altrove, consentendo ai presunti epurati di tornare di lì a qualche anno in grande spolvero e con avanzamenti di carriera. Dunque, anche Boeri si prepara a fare l'esodato, ma ovviamente di lusso. In principio, quando Salvini gli replicò a brutto muso dopo averlo sentito raccontare la solita bufala degli immigrati che pagano le pensioni agli italiani, Luigi Di Maio lo difese facendo intendere come la riconferma del presidente dell'Inps non fosse in discussione. Ma ora, dopo le previsioni farlocche sugli effetti che il decreto Dignità creerebbe sul mercato del lavoro, anche il pentastellato lo ha mollato. Anzi: il vicepremier e ministro del Lavoro sospetta che alle origini delle notizie diffuse ci sia proprio lui, Boeri, e così, dopo un iniziale sbandamento che lo aveva portato a prendersela con il ministero dell'Economia, ha messo nel mirino il bocconiano. Che a questo punto pare ormai avere le valigie in mano. Ma il licenziamento non deve preoccupare i suoi estimatori. Privato dello scranno di presidente dell'Inps torneremo presto a vedere il professore nei talk show come esperto di economia. Perché Boeri può forse perdere d'occhio le statistiche sulle politiche del lavoro, ma di certo non perde d'occhio le prospettive della sua carriera politica.
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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