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2024-07-23
Il «Decameron» di Boccaccio diventa una serie tv
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«The Decameron» (Netflix)
La storia come pretesto, di nuovo. Netflix, che insieme a Shonda Rhimes s’è sentita di reinventare la Regency, costruendo Bridgerton e la sua realtà parallela, portando fra la nobilità inglese i flussi migratori contemporanei, ha deciso di riprovarci. Di rifarlo. Di prendere il classico e, in un impeto pseudo-rinascimentale, usarlo come punto di spunto per altro: un racconto diverso, in cui i «se» e i «ma» possano vivere della propria, immensa ambiguità. Eccolo, dunque, The Decameron, rilettura di una fra le più famose opere italiane. Eccoli, gli otto episodi, l’eredità del Boccaccio paragonata alla «stupidità» di un reality show.The Decameron, disponibile sulla piattaforma streaming da giovedì 25 luglio, non ha la serietà di un adattamento fedele. Non ha la profondità del contesto storico. Ha, invece, la leggerezza di un ricamo, colorato e pieno. Disegni su trame altrui. Lo show, del Boccaccio, ha scelto di usare le premesse, la cornice. Firenze, la Peste Nera, il 1348 e la decisione, di un gruppo di ricchi con servitù al seguito, di trasferirsi sulle colline toscane, a Villa Santa, in attesa che la pandemia faccia il proprio corso. Giovanni Boccaccio, nel suo Decamerone, ha immaginato un buen ritiro elitario, un tempo cadenzato da racconti. Sono novelle quelle che ha messo nella propria opera, attribuendone l’origine ai nobili del racconto. Se li sarebbero tramandati a turno, gli uni con gli altri, nel tentativo di riempire giornate altrimenti insopportabili. Ma nella serie, di questi racconti, è rimasto ben poco. The Decameron, così come Netflix ha voluto rileggerla, ai nobili dà altro. Dà sesso, alcol, una promiscuità vagamente abusata. E, ad un certo punto, quello che la creatrice, Kathleen Jordan, ha descritto come un imput da «Signore delle Mosche». I ricchi lasciano Firenze senza troppo pensare, con la sola idea di sfuggire alla morte e, insieme, regalarsi una vacanza. Una parentesi di lusso e lascivia. Si trovano, si accoppiano, ridono. Poi, qualcosa precipita. Il clima conviviale degli esordi degenera, soppiantato da una ritrosia diffusa, dalla diffidenza. Qualcuno si ammala e una lotta per la sopravvivenza cancella gli ultimi residui di allegria.«Pensata ad uno scenario tipo Love Island, ma indietro nel tempo. C’è un sacco di dramma, un sacco di sesso e, ovviamente, un sacco di follia», ha detto l’attrice Jessica Plummer, interprete di una fra le nobildonne della serie e artefice di un paragone azzardato. Di quelli destinati a veder levarsi sopraccigli. Love Island, il trionfo della televisione trash, e il Decamerone, la storia della letteratura. Un confronto così impietoso da aver spinto altre persone del cast a mitigarne la portata. Kathleen Jordan, pur scomodando parole come «arrapante», ha cercato di levare la propria opera, sostenendo affronti - con la leggerezza di una dark comedy - temi impegnati quali la lotta di classe. Lo scontro in tempi di crisi, quando il divario tra chi ha di più e chi ha di meno si accentua. «Certo, qualcosa di tutto questo lo abbiamo visto negli ultimi anni, con il Covid-19», ha dichiarato la creatrice dello show.
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The Decameron, rilettura di una fra le più famose opere italiane, sarà disponibile su Netflix da giovedì 25 luglio con otto episodi.La storia come pretesto, di nuovo. Netflix, che insieme a Shonda Rhimes s’è sentita di reinventare la Regency, costruendo Bridgerton e la sua realtà parallela, portando fra la nobilità inglese i flussi migratori contemporanei, ha deciso di riprovarci. Di rifarlo. Di prendere il classico e, in un impeto pseudo-rinascimentale, usarlo come punto di spunto per altro: un racconto diverso, in cui i «se» e i «ma» possano vivere della propria, immensa ambiguità. Eccolo, dunque, The Decameron, rilettura di una fra le più famose opere italiane. Eccoli, gli otto episodi, l’eredità del Boccaccio paragonata alla «stupidità» di un reality show.The Decameron, disponibile sulla piattaforma streaming da giovedì 25 luglio, non ha la serietà di un adattamento fedele. Non ha la profondità del contesto storico. Ha, invece, la leggerezza di un ricamo, colorato e pieno. Disegni su trame altrui. Lo show, del Boccaccio, ha scelto di usare le premesse, la cornice. Firenze, la Peste Nera, il 1348 e la decisione, di un gruppo di ricchi con servitù al seguito, di trasferirsi sulle colline toscane, a Villa Santa, in attesa che la pandemia faccia il proprio corso. Giovanni Boccaccio, nel suo Decamerone, ha immaginato un buen ritiro elitario, un tempo cadenzato da racconti. Sono novelle quelle che ha messo nella propria opera, attribuendone l’origine ai nobili del racconto. Se li sarebbero tramandati a turno, gli uni con gli altri, nel tentativo di riempire giornate altrimenti insopportabili. Ma nella serie, di questi racconti, è rimasto ben poco. The Decameron, così come Netflix ha voluto rileggerla, ai nobili dà altro. Dà sesso, alcol, una promiscuità vagamente abusata. E, ad un certo punto, quello che la creatrice, Kathleen Jordan, ha descritto come un imput da «Signore delle Mosche». I ricchi lasciano Firenze senza troppo pensare, con la sola idea di sfuggire alla morte e, insieme, regalarsi una vacanza. Una parentesi di lusso e lascivia. Si trovano, si accoppiano, ridono. Poi, qualcosa precipita. Il clima conviviale degli esordi degenera, soppiantato da una ritrosia diffusa, dalla diffidenza. Qualcuno si ammala e una lotta per la sopravvivenza cancella gli ultimi residui di allegria.«Pensata ad uno scenario tipo Love Island, ma indietro nel tempo. C’è un sacco di dramma, un sacco di sesso e, ovviamente, un sacco di follia», ha detto l’attrice Jessica Plummer, interprete di una fra le nobildonne della serie e artefice di un paragone azzardato. Di quelli destinati a veder levarsi sopraccigli. Love Island, il trionfo della televisione trash, e il Decamerone, la storia della letteratura. Un confronto così impietoso da aver spinto altre persone del cast a mitigarne la portata. Kathleen Jordan, pur scomodando parole come «arrapante», ha cercato di levare la propria opera, sostenendo affronti - con la leggerezza di una dark comedy - temi impegnati quali la lotta di classe. Lo scontro in tempi di crisi, quando il divario tra chi ha di più e chi ha di meno si accentua. «Certo, qualcosa di tutto questo lo abbiamo visto negli ultimi anni, con il Covid-19», ha dichiarato la creatrice dello show.
In Toscana un laboratorio a cielo aperto, dove con Enel il calore nascosto della Terra diventa elettricità, teleriscaldamento e turismo.
L’energia geotermica è una fonte rinnovabile tanto antica quanto moderna, perché nasce dal calore naturale generato all’interno della Terra, sotto forma di vapore ad alta temperatura, convogliato attraverso una rete di vapordotti per alimentare le turbine a vapore che girando, azionano gli alternatori degli impianti di generazione. Si tratta di condotte chiuse che trasportano il vapore naturale dal sottosuolo fino alle turbine, permettendo di trasformare il calore terrestre in elettricità senza dispersioni. Questo calore, prodotto dai movimenti geologici naturali e dal gradiente geotermico determinato dalla profondità, può essere utilizzato per produrre elettricità, riscaldare edifici e alimentare processi industriali. La geotermia diventa così una risorsa strategica nella transizione energetica.
L’energia geotermica non dipende da stagionalità o condizioni climatiche: è continua e programmabile, dando un contributo alla stabilità del sistema elettrico.
Oggi la geotermia è riconosciuta globalmente come una delle tecnologie più affidabili e sostenibili: in Cile, Islanda, Nuova Zelanda, Stati Uniti, Filippine e molti altri Paesi questa filiera sta sviluppandosi vigorosamente. Ma è in Italia – e più precisamente in Toscana – che questa storia ha mosso i suoi primi passi.
La presenza dei soffioni boraciferi nel territorio di Larderello (Pisa), da sempre caratterizzato da manifestazioni naturali come vapori, geyser e acque termali, ha fatto intuire il valore energetico di quella forza invisibile. Già nel Medioevo erano attive piccole attività produttive basate sul contenuto minerale dei fluidi geotermici, ma è nel 1818 – grazie all’ingegnere francese François Jacques de Larderel – che avviene il primo utilizzo industriale. Il passaggio decisivo c’è però nel 1904, quando Piero Ginori Conti, sfruttando il vapore naturale, accende a Larderello le prime cinque lampadine: è la prima produzione elettrica geotermica al mondo, anticipando la nascita nel 1913 della prima centrale geotermoelettrica al mondo. Da allora questa tecnologia non ha mai smesso di evolversi, fino a diventare un laboratorio internazionale di ricerca e innovazione.
Attualmente, la Toscana rappresenta il cuore della geotermia nazionale: tra le province di Pisa, Grosseto e Siena Enel gestisce 34 centrali, per un totale di 37 gruppi di produzione che garantiscono una potenza installata di quasi 1.000 MW. Questi impianti generano ogni anno tra i 5,5 e i quasi 6 miliardi di kWh, pari a oltre un terzo del fabbisogno elettrico regionale e al 70% della produzione rinnovabile della Toscana.
Si tratta anche di uno dei più avanzati siti produttivi dal punto di vista tecnologico, che punta non allo sfruttamento ma alla coltivazione di questi giacimenti di energia. Nelle moderne centrali geotermiche, il vapore che ha già azionato le turbine – chiamato tecnicamente «vapore esausto» – non viene disperso nell'atmosfera, ma viene convogliato nelle torri refrigeranti, che con un processo di condensazione ritrasformano il vapore in acqua e lo reimmettono nei serbatoi naturali sotterranei attraverso pozzi di reiniezione.
Accanto alla dimensione produttiva, la geotermia toscana si distingue per la sua capacità di integrarsi nel tessuto sociale ed economico locale. Il calore geotermico residuo – dopo aver alimentato le turbine dell’impianto di generazione - è ceduto gratuitamente o a costi agevolati per alimentare reti di teleriscaldamento che raggiungono oltre 13.000 utenze, scuole, palazzetti, piscine e edifici pubblici, riducendo le emissioni e i consumi di combustibili fossili. Lo stesso calore sostiene attività agricole e artigianali, come serre per la coltivazione di fiori e ortaggi e aziende alimentari, che utilizzano questo calore «di scarto» invece di bruciare gas o gasolio. Persino la produzione di birra artigianale può beneficiare di questa fonte termica sostenibile!
Ma c’è dell’altro, perché questa integrazione tra energia e territorio si riflette anche sul turismo. Le zone geotermiche della cosiddetta «Valle del Diavolo», tra Larderello, Sasso Pisano e Monterotondo Marittimo, attirano ogni anno migliaia di visitatori. Musei, percorsi guidati e la possibilità di osservare da vicino fenomeni naturali e impianti di produzione, rendono il distretto un caso unico al mondo, dove la tecnologia convive con una geografia dominata da vapori e sorgenti naturali che affascinano da secoli viaggiatori e studiosi, creandoun’offerta turistica che vive grazie alla sinergia tra Enel, soggetti istituzionali, imprese, tessuto associativo e consorzi turistici.
Così, oltre un secolo dopo le prime lampadine illuminate dal vapore di Larderello, la geotermia continua ad essere una storia italiana che unisce ingegneria e paesaggio, sostenibilità e comunità. Una storia che prosegue guardando al futuro della transizione energetica, con una risorsa che scorre sotto ai nostri piedi e che il Paese ha imparato per primo a trasformare in energia e opportunità.
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