2020-09-15
Il Cristo nero in braccio alla Vergine è solo l’ennesimo fuoco di Paglia
Il tweet della Pontificia accademia per la vita che «sfregia» la Pietà di Michelangelo è un'offesa alla religione e all'arte. Ma l'ex vescovo di Terni è ormai abituato a dare scandalo inseguendo immigrati e mondo gay.Se la buonanima di Michelangelo Buonarroti fosse ancora al mondo, il martello destinato al suo Mosè, splendido e muto nel candore del marmo bianco, lo tirerebbe a monsignor Vincenzo Paglia. Il quale, sull'account Twitter della Pontificia Accademia per la vita che sua eccellenza presiede, ha fatto pubblicare un'immagine molto provocatoria: la Pietà michelangiolesca con un Gesù nero tra le braccia della Madonna. Non è un'immagine nuova, visto che una ricerca su Google ne porta traccia almeno dal 2015. Per non parlare della Pietà di Fabio Viale che nel gennaio 2018 aveva eliminato la figura di Gesù sostituendola con quella di un ragazzo nigeriano nudo, con gli occhi chiusi e una croce tatuata sul braccio destro. La sua Pietà nera troneggiava all'inaugurazione della sede milanese di una galleria d'arte toscana e naturalmente le aveva fatto da traino con il suo nugolo di polemiche.Dunque, monsignor Paglia non ha avuto un'illuminazione originale. Probabilmente anche Viale si era ispirato al genio che ora ha acceso la scintilla all'arcivescovo. Ma allora il Black lives matter non aveva ancora messo sottosopra il pianeta e il comandamento nuovo dettato dal politicamente corretto non era penetrato così profondamente nei Sacri palazzi. Il tweet dell'Accademia fa accompagnare la foto dalla seguente frase, in inglese: «An image that is worth a speech», un'immagine che vale un discorso. La novità però non è l'iconografia, ma che un pezzo grosso del Vaticano, responsabile di un importante dicastero, se ne appropri e la diffonda come una riscrittura del Vangelo.La Chiesa insegna che l'incarnazione non è un capriccio divino, e ci mancherebbe. Duemila anni di riflessione teologica dicono che Gesù ha scelto quel certo momento storico e quel certo «popolo eletto», cioè gli ebrei, per venire al mondo. Un Gesù di colore, quindi, non è un omaggio all'uguaglianza dei diritti umani ma una colossale scemenza e una provocazione al limite della blasfemia se esce dalla Santa Sede. Gli artisti, o presunti tali, facciano quello che vogliono, ormai siamo abituati a vederne di tutti i colori. Ma qui la questione non è l'arte, è la scelta operata da monsignor Paglia, il vate della Comunità di Sant'Egidio. Se la faccenda fosse davvero stata trovare un'illustrazione che vale più di un discorso nell'incarnare l'idea di uguaglianza e convivenza pacifica, l'arcivescovo poteva pubblicare foto di Gandhi o di Martin Luther King, magari sbiancato. Ma taroccare un capolavoro dell'arte di ogni tempo custodito nella basilica di San Pietro è ridicolo prima che offensivo. La storia racconta la cura e la passione con cui Michelangelo scelse quel certo marmo bianco per raffigurare una delle scene più tragiche di tutti i tempi, una madre che piange il figlio morto, e quel figlio è Dio. E ora, dopo 500 anni di ginocchia piegate in preghiera davanti all'icona del dolore, arriva monsignor Paglia e come un writer qualunque passa una mano di nero sul corpo di Gesù e dice che i discorsi non valgono nulla. A proposito, Cristo stesso è parola, logos, discorso: è scritto nel Vangelo di San Giovanni. Forse l'arcivescovo dovrebbe fare un salto all'ex Sant'Uffizio e fare un ripassino del Catechismo.Monsignor Paglia, 75 anni ad aprile, è stato vescovo di Terni, diocesi lasciata con pesanti debiti accertati da un'inchiesta della magistratura. È il consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio dopo esserne stato uno dei fondatori: una specie di diplomazia parallela del Vaticano incaricata di aprire porte che ufficialmente resterebbero chiuse per la Segreteria di Stato. L'arcivescovo ha trasportato la stessa filosofia alla presidenza della Pontificia accademia per la vita, che guida dal 2016 (da sei mesi in regime di proroga), e anche al Pontificio istituto Giovanni Paolo II per gli studi su matrimonio e famiglia, di cui è gran cancelliere.Aprire porte sbarrate, provocare: è questo che piace a monsignor Paglia. Nel 2007 fece dipingere nel duomo di Terni l'affresco di un giudizio universale riveduto e corretto, con vasta iconografia gay oltre a due transessuali e una coppia di omosessuali tra i quali, come spiegò l'autore, il pittore argentino Ricardo Cinalli (egli stesso gay), «non c'è una tensione sessuale ma erotica sì». In alcune interviste l'arcivescovo ha fatto capire che per lui mantenere in vita Charlie Gard e Alfie Evans sarebbe stato accanimento terapeutico e «parlare di “soppressione" non è né corretto né rispettoso». Quando morì Marco Pannella, il padre della legge sull'aborto in Italia, monsignor Paglia lo lodò come un santo incompreso: «Un uomo di grande spiritualità, che sa aiutarci a sperare e che ha speso la vita per gli ultimi», disse presentando una biografia del leader radicale scomparso. Da presidente dell'Accademia per la vita, l'arcivescovo convinse papa Francesco a riscrivere gli statuti dell'organismo, ad azzerare gli incarichi e a insediare persone come il teologo anglicano Nigel Biggar, il quale qualche anno prima aveva affermato: «Non è chiaro che un feto umano sia dello stesso genere di cosa di un adulto o di un essere umano maturo, e che dunque meriti quasi lo stesso trattamento». Più di recente, Paglia ha dichiarato «la validità del cosiddetto testamento biologico». E ora è sceso nell'abisso del Cristo nero.
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