2019-09-11
Il Conte bis decolla ma è solo un’illusione. In realtà è appeso a un filo sottilissimo
Fiducia al Senato con 169 voti. Soltanto 8 oltre la maggioranza, ossia il risultato minimo. Se qualcuno fa le bizze, viene giù tutto. Tutto secondo un copione scontatissimo a Palazzo Madama: non era probabile che fosse ieri la giornata degli agguati, e infatti non lo è stata. E così il governo, al primo giro di pista, ha ottenuto esattamente i voti di cui disponeva sulla carta, secondo le previsioni della vigilia. Numeri più stretti rispetto all'amplissima maggioranza di cui Giuseppe Conte gode alla Camera (343 voti a favore, l'altro ieri sera): al Senato la conta dei sì s'è fermata a 169 (con 133 contrari e 5 astenuti, e 307 senatori complessivamente partecipanti al voto). Ma pur sempre una cifra superiore alla maggioranza assoluta di 161.Vediamo come si è arrivati a questa quota. Il Movimento 5 stelle disporrebbe di 107 voti (ma ieri partiva da 105, vista la pubblica posizione non favorevole di Gianluigi Paragone, tradottasi in un'astensione, e un'altra assenza giustificata) e il Partito democratico avrebbe un gruppo di 51 membri (ma ieri, vista l'astensione di Matteo Richetti e un'altra assenza per malattia, la cifra di partenza era 49). A questa base occorre aggiungere i 4 senatori di Leu; 3 voti dal composito gruppo delle Autonomie (Albert Lanièce dell'Union Valdôtaine, Gianclaudio Bressa e Pierferdinando Casini), e altri 5 dal Misto sulla base del dibattito in Aula (il socialista Riccardo Nencini, i due ex grillini più convinti, Saverio De Bonis e Maurizio Buccarella, e altri due orientati a «vigilare» su immigrazione e decreti sicurezza, Gregorio De Falco e Paola Nugnes, ma pur sempre assicurando il proprio ok nel voto). Si è invece espressa per il no Emma Bonino, in curioso contraltare rispetto a tre suoi colleghi deputati di Più Europa, che il giorno prima avevano fatto il contrario. Misteri «eurolirici»: una stessa lista, una senatrice che fa una cosa, e i suoi amici deputati che fanno il contrario. Quanto ai senatori a vita, hanno manifestato il proprio sostegno esplicito Elena Cattaneo (che ha parlato di una fiducia «non incondizionata né organica alla maggioranza»), Liliana Segre (che ha incitato il governo ad agire per difendere «la democrazia e i principi di solidarietà nati dalla Resistenza»), e Mario Monti, che ha espresso la posizione al tempo stesso più rumorosa politicamente, e anche più imbarazzante per chi, come i grillini, era partito per cambiare l'Ue e i suoi paradigmi, e ne è invece stato catturato. Assenti gli altri tre senatori a vita: Giorgio Napolitano, Renzo Piano e Carlo Rubbia. Dunque, la base di partenza era 169: 8 voti sopra la maggioranza assoluta di 161. Ma in teoria con margini di crescita, con almeno altri 7 voti (4 più 3) potenzialmente recuperabili da altri membri sparsi rispettivamente delle Autonomie e del Misto (ad esempio i membri del Maie, il movimento degli italiani all'estero, Riccardo Merlo e Adriano Cario, che hanno effettivamente optato per il sì). Dunque, una «forchetta» compresa tra 169 e 176. Naturalmente, c'erano incognite incontrollabili rispetto ad altri eventuali dissidenti grillini, o ad altri movimenti incrociati in entrata e in uscita. Alla fine, senza sorprese ma solo sulla base delle assenze, il pallottoliere si è fermato sull'estremo più basso della forbice, cioè 169.A ben vedere, dunque, restano almeno un paio di elementi politici da considerare. Per un verso, per quanto nettamente minoritario nel paese (il recente sondaggio di Nando Pagnoncelli colloca a favore dell'esecutivo Conte appena il 36% degli italiani: praticamente un caso più unico che raro di governo che nasce senza uno straccio di luna di miele), questo gabinetto ha i numeri anche al Senato, e, almeno per ora, il collante dello stipendio e del mutuo in banca non fa pensare a agguati e sgambetti. Ma attenzione: il Conte bis è tristemente è appeso e sospeso alle mutevoli volontà di Leu, di pezzi del Misto e delle Autonomie, di un pugno grillini dissidenti. Un'Armata Brancaleone che, già al momento della nomina dei sottosegretari, sarà attraversata da rabbia e disillusione. Inutile girarci intorno: alle prime difficoltà, Conte e i suoi dovranno negoziare come in un suk con ciascuno di quelli che ieri hanno dato il primo ok. E non sarà un grande spettacolo. Insomma, siamo chiaramente davanti a una maggioranza raccogliticcia. La stessa radiografia dei favorevoli che abbiamo compiuto qui sopra testimonia un'eterogeneità casuale e priva di identità politica, tenuta insieme solo dall'antisalvinismo, e - ancora di più - dal terrore delle urne. Da questo punto di vista, il programma di Conte, il suo patchwork pieno di toppe, le sue elencazioni sfibranti di temi (senza indicazione di risorse e senza vere priorità) sono assolutamente funzionali a una maggioranza parlamentare slabbrata e senza idee: in quello zibaldone programmatico ognuno trova una riga a cui appigliarsi, una citazione da rivendicare, una parolina per giustificare il proprio sostegno. Ben sapendo - in realtà - che c'è un solo obiettivo: durare finché si può. In questo, le esigenze politiche di Pd e Movimento 5 stelle coincidono con i miseri calcoli (questo dicono le proiezioni su un'eventuale prova elettorale) di ben tre parlamentari in carica su quattro, che, in caso di nuove elezioni, non sarebbero realisticamente confermati (o dai loro partiti o dai cittadini). E abbiamo detto tutto.
Sehrii Kuznietsov (Getty Images)