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2019-01-17
Il Consiglio d’Europa sdogana la sharia
Ansa
La reconquista islamica dell'Europa si appresta a fare un salto di qualità sul piano giuridico. E non per merito dell'invasione di fedeli musulmani propiziata dal fenomeno migratorio degli ultimi anni, ma per colpa della cedevolezza imbelle e ipocrita delle istituzioni europee.
A partire dal 20 gennaio, l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (Apce), organizzazione internazionale estranea agli apparati dell'Ue, si occuperà della compatibilità della sharia con la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Ora, il fatto stesso che se ne discuta fa sorridere chiunque abbia una minima conoscenza di quali sono i pilastri fondanti della Cedu, da un lato, e la sharia, dall'altro. Per farla brevissima: diritti, parità, uguaglianza contro intransigenza maschilista e stato etico.
Roba grossa, giusto? Ci sarebbe di che sentirsi «blindati» per quanto riguarda la gelosa conservazione quantomeno dei nostri diritti civili e politici se non di quelli sociali sui quali, come noto, tira una brutta aria. E invece no. A quanto pare, il Consiglio d'Europa ritiene utile e necessario considerare l'ipotesi di uno sdoganamento della sharia sul suolo europeo. In caso contrario, non avrebbe neppure senso aprire un dibattito su ipotesi di «compatibilità». C'è di che temere qualche bizantina soluzione di compromesso. Ciò avverrebbe in barba a quanto sancito dalla mission del Consiglio d'Europa, dagli articoli della Cedu e dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, in ripetute occasioni, si è espressa contro la sharia.
Paradosso nel paradosso, il 21 gennaio proprio dall'Apce partirà la campagna #NonNelMioParlamento per eliminare il sessismo, le molestie e la violenza contro le donne nei parlamenti nazionali. Tutte piaghe da cui, come noto, il mondo islamico è immune...
Con una storica sentenza del 31 luglio 2001, la Corte respinse il ricorso di un partito integralista islamico, il Refah Partisi, sciolto per ordine della Corte Costituzionale turca, asserendo testualmente che un sistema basato sulla sharia «violerebbe senza dubbio il principio di non discriminazione circa il godimento delle libertà civili e politiche»: la quintessenza dei valori democratici fondamentali.
Ciononostante, come esito dell'imminente dibattito, potremmo trovarci di fronte a una significativa apertura nei confronti della sharia: il primo eclatante riconoscimento della stessa, se non sul piano squisitamente normativo, su quello delle enunciazioni di principio di organi di diritto internazionale.
Il che non è affatto tranquillizzante visto che il passo successivo, rispetto a certe risoluzioni di matrice interstatuale, è proprio la declinazione giuridica (nei casi concreti e nell'ambito delle singole nazioni) di quanto affermato in alto loco e in linea di principio. Fino a oggi, abbiamo assistito, nella delicata materia del «confronto-scontro» tra civiltà, soprattutto a episodi di costume, sia pure allarmanti. Per esempio, l'implicito consenso alla formazione, nelle metropoli europee, di vere e proprie enclavi islamiche esentate, de facto, dal rispetto delle norme del Paese ospitante come il quartiere di Molenbeek, proprio in quel di Bruxelles, nel cuore nevralgico dell'Unione. Poi c'è stata la mobilitazione permanente delle intelligenze «impegnate» e delle suffragette della parità di genere e del politicamente corretto sempre pronte e diffondere una loro personalissima, e squilibrata, concezione di libertà. Della serie: parità e diritti per tutti, ma per i musulmani facciamo un'eccezione, persino a costo di mutilare le nostre tradizioni, di censurare le nostre credenze, di silenziare le nostre verità. E così, via i crocifissi dalle scuole, via la carne dalle mense, via i Bambin Gesù dai presepi. In nome della tolleranza nei confronti degli intolleranti.
Nel 2016, un tribunale tedesco arrivò a considerare legittime e «innocue» le ronde, vestite di gilet arancioni con tanto di scritta «sharia police», con le quali zelanti militi di Maometto pattugliavano i rioni di Wuppertal per richiamare all'ordine chi si dilettava in attività peccaminose come bere alcool o ascoltare musica. Ora, però, la questione si fa decisamente più seria proprio perché l'importazione della sharia non avverrebbe più solo episodicamente, per effetto di un illecito atto d'imperio altrui o per la nostra supina remissività, ma per il tramite di una delle istituzioni più rappresentative della identità e dei valori europei. Ma la discesa lungo il piano inclinato dell'indulgenza verso i missionari barbuti viene da lontano.
Da quando, innanzitutto, lorsignori si sono accuratamente «dimenticati» di inserire le famose radici cristiane nei Trattati europei e le hanno anche volontariamente escluse nel progetto di Costituzione europea, poi fortunatamente abortito. Un'amnesia micidiale, non solo perché si tratta di radici antiche, robuste e irrinunciabili della nostra storia - in quanto tali non emendabili con un tratto di penna -, ma soprattutto perché si tratta di radici cristiane.
Parliamo, ovviamente, del cristianesimo così come giunto a maturazione nel Novecento e sintetizzato nelle principali encicliche pontificie del secolo breve. In sintesi: le fondamenta stessa della nostra identità culturale sono inconciliabili con qualsivoglia forma di massimalismo totalitario, ma anche con il relativismo nichilista e senza valori (che non siano il Pil e la crescita) di cui si nutre la moribonda Europa attuale. Stiamo diventando una civiltà vuota e, proprio per questo, ci apprestiamo ad essere «riempiti», cioè conquistati con il nostro ebete consenso, dalla prepotenza di chi «valori» suoi ne ha da vendere. E ci costringerà ad accettarli a costo di imporceli con quella forza di cui noi siamo tragicamente privi.
Uccisi 4.305 cristiani in soli 12 mesi dai regimi musulmani e comunisti
Il numero di cristiani uccisi per ragioni legate alla loro fede sale dai 3.066 del 2017 ai 4.305 del 2018: si tratta di un inquietante aumento del 40% in un solo anno. Il dato arriva dalla World Watch List 2019, il report annuale dell'Ong Porte aperte, che fa il punto sulla situazione dei cristiani nel mondo.
E mostra una realtà con numeri non rassicuranti: oggi sono infatti oltre 245 milioni i perseguitati cristiani nel mondo: sostanzialmente un cristiano ogni nove subisce una forma di persecuzione a causa della propria fede. Sui 150 paesi monitorati dalla ricerca, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione definibile alta, molto alta o estrema. Sono invece 1.847 le chiese (ed edifici cristiani direttamente collegati ad esse) attaccati nello stesso periodo.
La maglia nera, in termini di uccisioni, spetta alla Nigeria. Nello Stato africano si registra addirittura il 90% dei massacri avvenuti nel mondo, per mano soprattutto degli allevatori islamici Fulani, oltre che dei terroristi Boko Haram. «Si contano infatti 3.731 cristiani uccisi in questa nazione, con villaggi completamente abbandonati dai cristiani, che alimentano il fenomeno degli sfollati interni e dei profughi», spiega Porte aperte.
Per quanto riguarda gli incarceramenti, si registrano 3.150 cristiani arrestati, condannati e detenuti senza processo, poco meno del doppio del 2017. L'Ong fa inoltre una precisazione che getta un'ulteriore luce preoccupante sui numeri: «Ricordiamo che questi sono dati di partenza verificati, dunque il sommerso, sia nell'ambito degli assassini che degli incarceramenti, potrebbe aumentarli di molto». Insomma, i dati presentati potrebbero non essere quelli reali: la realtà potrebbe essere peggiore.
La geopolitica del terrore anticristiano è complessa e variegata. La parte del leone la fa ovviamente la persecuzione a trazione musulmana: «Mentre la violenza dello Stato islamico e di altri militanti islamici è per lo più scomparsa dai titoli dei giornali in Medio Oriente, la loro perdita di territorio significa di fatto che una grossa parte dei combattenti si è spostata in altri Paesi non solo della regione, ma a quanto pare in particolare nell'Africa subsahariana. La loro ideologia radicale ha ispirato numerosi gruppi come l'Islamic state West Africa province (Iswap, gruppo terrorista staccatosi da Boko Haram in Nigeria), il quale rende schiave donne e ragazze cristiane come parte integrante della sua strategia», si legge.
Benché potentemente segnata dall'intolleranza di matrice musulmana, la «classifica» vede però tristemente al primo posto un regime non islamico, bensì comunista: la Corea del Nord. La quale, scrive l'Ong, non offre segnali di miglioramento: «Si stimano ancora tra i 50 e i 70.000 cristiani detenuti nei campi di lavoro di questo Paese per motivi legati alla loro fede». Anche Afghanistan e Somalia, rispettivamente secondo e terzo Paese nella graduatoria, mostrano un'intolleranza esacerbata, connessa «a una società islamica radicalizzata e all'instabilità endemica di questi paesi. Al quarto posto si posiziona la Libia, che peggiora il suo ranking ulteriormente, mentre il caso di Asia Bibi spiega bene la situazione in Pakistan, quinto tra i Paesi più intolleranti verso i cristiani.
In generale, spiega il rapporto, «continua l'involuzione della situazione in Asia, dove includendo il Medio Oriente addirittura un cristiano ogni tre è definibile perseguitato. Ad accelerare questo processo è il peggioramento della situazione in Cina, risalita al 27° e al primo posto per incarceramenti di cristiani, e in India». In Nordafrica, continua la World Watch List 2019, «allarmano le chiusure di chiese in Algeria (22°), gli episodi di violenza in Egitto (16°), il malcontento generale in Tunisia (37°) e la ricomparsa del Marocco (35° - era uscito dalla WwList nel 2014)». Nel report ricompare anche la federazione russa, al 41° posto, ma il dato va letto in relazione alla complicata situazione in Asia centrale e agli attacchi di chiese avvenuti in Dagestan e Cecenia.
«Cinque anni fa, solo la Corea del Nord raggiungeva un livello di persecuzione dei cristiani definibile estremo», ha commentato Cristian Nani, direttore di Porte aperte. Oggi invece, continua, « sono ben 11 i Paesi a ottenere un punteggio sufficiente per rientrare in questa categoria. In termini assoluti si perseguita i cristiani di più e in più luoghi rispetto all'anno precedente, e difficilmente nella storia dell'umanità troverete un altro periodo storico così oscuro per i cristiani. Se la richiesta di aiuto di oltre 245 milioni di persone non scuote le coscienze, allora siamo ufficialmente entrati nell'era della sordità emotiva».
Per il ministro per la Famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana, vicesegretario federale della Lega, i numeri dei report «sono sempre più allarmanti e dovrebbero indurre l'Europa a una presa di coscienza e a una mobilitazione concreta, in primis sul fronte dell'antiterrorismo, prima minaccia per i cristiani. La Lega è da sempre vicina ai nostri fratelli, tanto da aver istituito, in bilancio, un fondo per le minoranze cristiane perseguitate nelle aree di crisi».
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L'organizzazione internazionale (estranea all'Ue) dal prossimo 20 gennaio si occuperà della compatibilità della legge coranica con la Convenzione dei diritti dell'uomo. Solo il fatto di porsi un problema di questo tipo segnala un cedimento preoccupante.Uccisi 4.305 cristiani in soli 12 mesi dai regimi musulmani e comunisti. Secondo il report annuale dell'Ong Porte aperte, il 2018 è stato l'anno orribile dell'oppressione religiosa Sono 245 milioni i perseguitati nel mondo. La Corea del Nord ne detiene 70.000 nei suoi campi di lavoro.Lo speciale comprende due articoli.La reconquista islamica dell'Europa si appresta a fare un salto di qualità sul piano giuridico. E non per merito dell'invasione di fedeli musulmani propiziata dal fenomeno migratorio degli ultimi anni, ma per colpa della cedevolezza imbelle e ipocrita delle istituzioni europee. A partire dal 20 gennaio, l'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (Apce), organizzazione internazionale estranea agli apparati dell'Ue, si occuperà della compatibilità della sharia con la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo). Ora, il fatto stesso che se ne discuta fa sorridere chiunque abbia una minima conoscenza di quali sono i pilastri fondanti della Cedu, da un lato, e la sharia, dall'altro. Per farla brevissima: diritti, parità, uguaglianza contro intransigenza maschilista e stato etico. Roba grossa, giusto? Ci sarebbe di che sentirsi «blindati» per quanto riguarda la gelosa conservazione quantomeno dei nostri diritti civili e politici se non di quelli sociali sui quali, come noto, tira una brutta aria. E invece no. A quanto pare, il Consiglio d'Europa ritiene utile e necessario considerare l'ipotesi di uno sdoganamento della sharia sul suolo europeo. In caso contrario, non avrebbe neppure senso aprire un dibattito su ipotesi di «compatibilità». C'è di che temere qualche bizantina soluzione di compromesso. Ciò avverrebbe in barba a quanto sancito dalla mission del Consiglio d'Europa, dagli articoli della Cedu e dalla stessa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, in ripetute occasioni, si è espressa contro la sharia. Paradosso nel paradosso, il 21 gennaio proprio dall'Apce partirà la campagna #NonNelMioParlamento per eliminare il sessismo, le molestie e la violenza contro le donne nei parlamenti nazionali. Tutte piaghe da cui, come noto, il mondo islamico è immune...Con una storica sentenza del 31 luglio 2001, la Corte respinse il ricorso di un partito integralista islamico, il Refah Partisi, sciolto per ordine della Corte Costituzionale turca, asserendo testualmente che un sistema basato sulla sharia «violerebbe senza dubbio il principio di non discriminazione circa il godimento delle libertà civili e politiche»: la quintessenza dei valori democratici fondamentali. Ciononostante, come esito dell'imminente dibattito, potremmo trovarci di fronte a una significativa apertura nei confronti della sharia: il primo eclatante riconoscimento della stessa, se non sul piano squisitamente normativo, su quello delle enunciazioni di principio di organi di diritto internazionale. Il che non è affatto tranquillizzante visto che il passo successivo, rispetto a certe risoluzioni di matrice interstatuale, è proprio la declinazione giuridica (nei casi concreti e nell'ambito delle singole nazioni) di quanto affermato in alto loco e in linea di principio. Fino a oggi, abbiamo assistito, nella delicata materia del «confronto-scontro» tra civiltà, soprattutto a episodi di costume, sia pure allarmanti. Per esempio, l'implicito consenso alla formazione, nelle metropoli europee, di vere e proprie enclavi islamiche esentate, de facto, dal rispetto delle norme del Paese ospitante come il quartiere di Molenbeek, proprio in quel di Bruxelles, nel cuore nevralgico dell'Unione. Poi c'è stata la mobilitazione permanente delle intelligenze «impegnate» e delle suffragette della parità di genere e del politicamente corretto sempre pronte e diffondere una loro personalissima, e squilibrata, concezione di libertà. Della serie: parità e diritti per tutti, ma per i musulmani facciamo un'eccezione, persino a costo di mutilare le nostre tradizioni, di censurare le nostre credenze, di silenziare le nostre verità. E così, via i crocifissi dalle scuole, via la carne dalle mense, via i Bambin Gesù dai presepi. In nome della tolleranza nei confronti degli intolleranti. Nel 2016, un tribunale tedesco arrivò a considerare legittime e «innocue» le ronde, vestite di gilet arancioni con tanto di scritta «sharia police», con le quali zelanti militi di Maometto pattugliavano i rioni di Wuppertal per richiamare all'ordine chi si dilettava in attività peccaminose come bere alcool o ascoltare musica. Ora, però, la questione si fa decisamente più seria proprio perché l'importazione della sharia non avverrebbe più solo episodicamente, per effetto di un illecito atto d'imperio altrui o per la nostra supina remissività, ma per il tramite di una delle istituzioni più rappresentative della identità e dei valori europei. Ma la discesa lungo il piano inclinato dell'indulgenza verso i missionari barbuti viene da lontano. Da quando, innanzitutto, lorsignori si sono accuratamente «dimenticati» di inserire le famose radici cristiane nei Trattati europei e le hanno anche volontariamente escluse nel progetto di Costituzione europea, poi fortunatamente abortito. Un'amnesia micidiale, non solo perché si tratta di radici antiche, robuste e irrinunciabili della nostra storia - in quanto tali non emendabili con un tratto di penna -, ma soprattutto perché si tratta di radici cristiane. Parliamo, ovviamente, del cristianesimo così come giunto a maturazione nel Novecento e sintetizzato nelle principali encicliche pontificie del secolo breve. In sintesi: le fondamenta stessa della nostra identità culturale sono inconciliabili con qualsivoglia forma di massimalismo totalitario, ma anche con il relativismo nichilista e senza valori (che non siano il Pil e la crescita) di cui si nutre la moribonda Europa attuale. Stiamo diventando una civiltà vuota e, proprio per questo, ci apprestiamo ad essere «riempiti», cioè conquistati con il nostro ebete consenso, dalla prepotenza di chi «valori» suoi ne ha da vendere. E ci costringerà ad accettarli a costo di imporceli con quella forza di cui noi siamo tragicamente privi.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/il-consiglio-deuropa-sdogana-la-sharia-2626185040.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="uccisi-4-305-cristiani-in-soli-12-mesi-dai-regimi-musulmani-e-comunisti" data-post-id="2626185040" data-published-at="1765821285" data-use-pagination="False"> Uccisi 4.305 cristiani in soli 12 mesi dai regimi musulmani e comunisti Il numero di cristiani uccisi per ragioni legate alla loro fede sale dai 3.066 del 2017 ai 4.305 del 2018: si tratta di un inquietante aumento del 40% in un solo anno. Il dato arriva dalla World Watch List 2019, il report annuale dell'Ong Porte aperte, che fa il punto sulla situazione dei cristiani nel mondo. E mostra una realtà con numeri non rassicuranti: oggi sono infatti oltre 245 milioni i perseguitati cristiani nel mondo: sostanzialmente un cristiano ogni nove subisce una forma di persecuzione a causa della propria fede. Sui 150 paesi monitorati dalla ricerca, 73 hanno mostrato un livello di persecuzione definibile alta, molto alta o estrema. Sono invece 1.847 le chiese (ed edifici cristiani direttamente collegati ad esse) attaccati nello stesso periodo. La maglia nera, in termini di uccisioni, spetta alla Nigeria. Nello Stato africano si registra addirittura il 90% dei massacri avvenuti nel mondo, per mano soprattutto degli allevatori islamici Fulani, oltre che dei terroristi Boko Haram. «Si contano infatti 3.731 cristiani uccisi in questa nazione, con villaggi completamente abbandonati dai cristiani, che alimentano il fenomeno degli sfollati interni e dei profughi», spiega Porte aperte. Per quanto riguarda gli incarceramenti, si registrano 3.150 cristiani arrestati, condannati e detenuti senza processo, poco meno del doppio del 2017. L'Ong fa inoltre una precisazione che getta un'ulteriore luce preoccupante sui numeri: «Ricordiamo che questi sono dati di partenza verificati, dunque il sommerso, sia nell'ambito degli assassini che degli incarceramenti, potrebbe aumentarli di molto». Insomma, i dati presentati potrebbero non essere quelli reali: la realtà potrebbe essere peggiore. La geopolitica del terrore anticristiano è complessa e variegata. La parte del leone la fa ovviamente la persecuzione a trazione musulmana: «Mentre la violenza dello Stato islamico e di altri militanti islamici è per lo più scomparsa dai titoli dei giornali in Medio Oriente, la loro perdita di territorio significa di fatto che una grossa parte dei combattenti si è spostata in altri Paesi non solo della regione, ma a quanto pare in particolare nell'Africa subsahariana. La loro ideologia radicale ha ispirato numerosi gruppi come l'Islamic state West Africa province (Iswap, gruppo terrorista staccatosi da Boko Haram in Nigeria), il quale rende schiave donne e ragazze cristiane come parte integrante della sua strategia», si legge. Benché potentemente segnata dall'intolleranza di matrice musulmana, la «classifica» vede però tristemente al primo posto un regime non islamico, bensì comunista: la Corea del Nord. La quale, scrive l'Ong, non offre segnali di miglioramento: «Si stimano ancora tra i 50 e i 70.000 cristiani detenuti nei campi di lavoro di questo Paese per motivi legati alla loro fede». Anche Afghanistan e Somalia, rispettivamente secondo e terzo Paese nella graduatoria, mostrano un'intolleranza esacerbata, connessa «a una società islamica radicalizzata e all'instabilità endemica di questi paesi. Al quarto posto si posiziona la Libia, che peggiora il suo ranking ulteriormente, mentre il caso di Asia Bibi spiega bene la situazione in Pakistan, quinto tra i Paesi più intolleranti verso i cristiani. In generale, spiega il rapporto, «continua l'involuzione della situazione in Asia, dove includendo il Medio Oriente addirittura un cristiano ogni tre è definibile perseguitato. Ad accelerare questo processo è il peggioramento della situazione in Cina, risalita al 27° e al primo posto per incarceramenti di cristiani, e in India». In Nordafrica, continua la World Watch List 2019, «allarmano le chiusure di chiese in Algeria (22°), gli episodi di violenza in Egitto (16°), il malcontento generale in Tunisia (37°) e la ricomparsa del Marocco (35° - era uscito dalla WwList nel 2014)». Nel report ricompare anche la federazione russa, al 41° posto, ma il dato va letto in relazione alla complicata situazione in Asia centrale e agli attacchi di chiese avvenuti in Dagestan e Cecenia. «Cinque anni fa, solo la Corea del Nord raggiungeva un livello di persecuzione dei cristiani definibile estremo», ha commentato Cristian Nani, direttore di Porte aperte. Oggi invece, continua, « sono ben 11 i Paesi a ottenere un punteggio sufficiente per rientrare in questa categoria. In termini assoluti si perseguita i cristiani di più e in più luoghi rispetto all'anno precedente, e difficilmente nella storia dell'umanità troverete un altro periodo storico così oscuro per i cristiani. Se la richiesta di aiuto di oltre 245 milioni di persone non scuote le coscienze, allora siamo ufficialmente entrati nell'era della sordità emotiva». Per il ministro per la Famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana, vicesegretario federale della Lega, i numeri dei report «sono sempre più allarmanti e dovrebbero indurre l'Europa a una presa di coscienza e a una mobilitazione concreta, in primis sul fronte dell'antiterrorismo, prima minaccia per i cristiani. La Lega è da sempre vicina ai nostri fratelli, tanto da aver istituito, in bilancio, un fondo per le minoranze cristiane perseguitate nelle aree di crisi».
La risposta alla scoppiettante Atreju è stata una grigia assemblea piddina
Il tema di quest’anno, Angeli e Demoni, ha guidato il percorso visivo e narrativo dell’evento. Il manifesto ufficiale, firmato dal torinese Antonio Lapone, omaggia la Torino magica ed esoterica e il fumetto franco-belga. Nel visual, una cosplayer attraversa il confine tra luce e oscurità, tra bene e male, tra simboli antichi e cultura pop moderna, sfogliando un fumetto da cui si sprigiona luce bianca: un ponte tra tradizione e innovazione, tra arte e narrazione.
Fumettisti e illustratori sono stati il cuore pulsante dell’Oval: oltre 40 autori, tra cui il cinese Liang Azha e Lorenzo Pastrovicchio della scuderia Disney, hanno accolto il pubblico tra sketch e disegni personalizzati, conferenze e presentazioni. Primo Nero, fenomeno virale del web con oltre 400.000 follower, ha presentato il suo debutto editoriale con L’Inkredibile Primo Nero Show, mentre Sbam! e altre case editrici hanno ospitato esposizioni, reading e performance di autori come Giorgio Sommacal, Claudio Taurisano e Vince Ricotta, che ha anche suonato dal vivo.
Il cosplay ha confermato la sua centralità: più di 120 partecipanti si sono sfidati nella tappa italiana del Nordic Cosplay Championship, con Carlo Visintini vincitore e qualificato per la finale in Svezia. Parallelamente, il propmaking ha permesso di scoprire il lavoro artigianale dietro armi, elmi e oggetti scenici, rivelando la complessità della costruzione dei personaggi.
La musica ha attraversato generazioni e stili. La Battle of the Bands ha offerto uno spazio alle band emergenti, mentre le icone delle sigle tv, Giorgio Vanni e Cristina D’Avena, hanno trasformato l’Oval in un grande palco popolare, richiamando migliaia di fan. Non è mancato il K-pop, con workshop, esibizioni e karaoke coreano, che ha coinvolto i più giovani in una dimensione interattiva e partecipativa. La manifestazione ha integrato anche dimensioni educative e culturali. Il Dipartimento di Matematica dell’Università di Torino ha esplorato il ruolo della matematica nei fumetti, mostrando come concetti scientifici possano dialogare con la narrazione visiva. Lo chef Carlo Mele, alias Ojisan, ha illustrato la relazione tra cibo e animazione giapponese, trasformando piatti iconici degli anime in esperienze reali. Il pubblico ha potuto immergersi nella magia del Villaggio di Natale, quest’anno allestito nella Casa del Grinch, tra laboratori creativi, truccabimbi e la Christmas Elf Dance, mentre l’area games e l’area videogames hanno offerto tornei, postazioni libere e spazi dedicati a giochi indipendenti, modellismo e miniature, garantendo una partecipazione attiva e immersiva a tutte le età.
Con 28.000 visitatori in due giorni, Xmas Comics & Games conferma la propria crescita come festival della cultura pop, capace di unire creatività, spettacolo e narrazione, senza dimenticare la componente sociale e educativa. Tra fumetti, cosplay, musica e gioco, Torino è diventata il punto d’incontro per chi vuole vivere in prima persona il racconto pop contemporaneo, dove ogni linguaggio si intreccia e dialoga con gli altri, trasformando la fiera in una grande esperienza culturale condivisa.
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i,Hamza Abdi Barre (Getty Images)
La Somalia è intrappolata in una spirale di instabilità sempre più profonda: un’insurrezione jihadista in crescita, un apparato di sicurezza inefficiente, una leadership politica divisa e la competizione tra potenze vicine che alimenta rivalità interne. Il controllo effettivo del governo federale si riduce ormai alla capitale e a poche località satelliti, una sorta di isola amministrativa circondata da gruppi armati e clan in competizione. L’esercito nazionale, logorato, frammentato e privo di una catena di comando solida, non è in grado di garantire la sicurezza nemmeno sulle principali rotte commerciali che costeggiano il Paese. In queste condizioni, il collasso dell’autorità centrale e la caduta di Mogadiscio nelle mani di gruppi ostili rappresentano scenari sempre meno remoti, con ripercussioni dirette sulla navigazione internazionale e sulla sicurezza regionale.
La pirateria somala, un tempo contenuta da pattugliamenti congiunti e operazioni navali multilaterali, è oggi alimentata anche dal radicamento di milizie jihadiste che controllano vaste aree dell’entroterra. Questi gruppi, dopo anni di scontri contro il governo federale e di brevi avanzate respinte con l’aiuto delle forze speciali straniere, hanno recuperato terreno e consolidato le proprie basi logistiche proprio lungo i corridoi costieri. Da qui hanno intensificato sequestri, assalti e sabotaggi, colpendo infrastrutture critiche e perfino centri governativi di intelligence. L’attacco del 2025 contro una sede dei servizi somali, che portò alla liberazione di decine di detenuti, diede il segnale dell’audacia crescente di questi movimenti.
Le debolezze dell’apparato statale restano uno dei fattori decisivi. Nonostante due decenni di aiuti, investimenti e programmi di addestramento militare, le forze somale non riescono a condurre operazioni continuative contro reti criminali e gruppi jihadisti. Il consumo interno di risorse, la corruzione diffusa, i legami di fedeltà clanici e la dipendenza dall’Agenzia dell’Unione africana per il supporto alla sicurezza hanno sgretolato ogni tentativo di riforma. Nel frattempo, l’interferenza politica nella gestione della missione internazionale ha sfiancato i donatori, ridotto il coordinamento e lasciato presagire un imminente disimpegno. A questo si aggiungono le tensioni istituzionali: modifiche costituzionali controverse, una mappa federale contestata e tentativi percepiti come manovre per prolungare la permanenza al potere della leadership attuale hanno spaccato la classe politica e paralizzato qualsiasi risposta comune alla minaccia emergente. Mentre i vertici si dividono, le bande armate osservano, consolidano il controllo del territorio e preparano nuovi colpi contro la navigazione e le città costiere. Sul piano internazionale cresce il numero di governi che, temendo un collasso definitivo del sistema federale, sondano discretamente la possibilità di una trattativa con i gruppi armati. Ma l’ipotesi di una Mogadiscio conquistata da milizie che già controllano ampie aree della costa solleva timori concreti: un ritorno alla pirateria sistemica, attacchi oltre confine e una spirale di conflitti locali che coinvolgerebbe l’intero Corno d’Africa.
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Il presidente eletto del Cile José Antonio Kast e sua moglie Maria Pia Adriasola (Ansa)
Un elemento significativo di queste elezioni presidenziali è stata l’elevata affluenza alle urne, che si è rivelata in aumento del 38% rispetto al 2021. Quelle di ieri sono infatti state le prime elezioni tenute dopo che, nel 2022, è stato introdotto il voto obbligatorio. La vittoria di Kast ha fatto da contraltare alla crisi della sinistra cilena. Il presidente uscente, Gabriel Boric, aveva vinto quattro anni fa, facendo leva soprattutto sull’impopolarità dell’amministrazione di centrodestra, guidata da Sebastián Piñera. Tuttavia, a partire dal 2023, gli indici di gradimento di Boric sono iniziati a crollare. E questo ha danneggiato senza dubbio la Jara, che è stata ministro del Lavoro fino allo scorso aprile. Certo, Kast si accinge a governare a fronte di un Congresso diviso: il che potrebbe rappresentare un problema per alcune delle sue proposte più incisive. Resta tuttavia il fatto che la sua vittoria ha avuto dei numeri assai significativi.
«La vittoria di Kast in Cile segue una serie di elezioni in America Latina che negli ultimi anni hanno spostato la regione verso destra, tra cui quelle in Argentina, Ecuador, Costa Rica ed El Salvador», ha riferito la Bbc. Lo spostamento a destra dell’America Latina è una buona notizia per la Casa Bianca. Ricordiamo che, alcuni giorni fa, Washington a pubblicato la sua nuova strategia di sicurezza nazionale: un documento alla cui base si registra il rilancio della Dottrina Monroe. Per Trump, l’obiettivo, da questo punto di vista, è duplice. Innanzitutto, punta a contrastare il fenomeno dell’immigrazione irregolare. In secondo luogo, mira ad arginare l’influenza geopolitica della Cina sull’Emisfero occidentale. Vale a tal proposito la pena di ricordare che Boric, negli ultimi anni, ha notevolmente avvicinato Santiago a Pechino. Una linea che, di certo, a Washington non è stata apprezzata.
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