2019-06-16
Il complotto c’era, ma per insabbiare le inchieste e la verità
Cercare di condizionare una funzione pubblica è un reato: per abuso d'ufficio si può finire al gabbio per 4 o 10 anni e se poi, per modificare l'esito di un concorso, si compie anche un falso, alla condanna rischiano di aggiungersi altri 3 o 6 anni, a seconda della gravità del caso. Se poi ci si mette anche il traffico d'influenze, cioè il reato di chi cerca di sfruttare a proprio vantaggio una relazione con un pubblico ufficiale, la lista delle pene si allunga ancora: da 1 a 3 anni. Infine, nel caso si ravvisi anche la corruzione, cioè il reato di chi ottiene o promette una qualche utilità in violazione dei doveri d'ufficio, beh allora si butta la chiave. Ricordo tutto ciò perché più mi addentro nella lettura delle intercettazioni del cosiddetto caso Palamara, dal nome del pm da cui è partita l'indagine, e più mi sembra che si sia scoperchiato il vaso di Pandora. Come nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli e un'intera classe politica fu spazzata via dalle indagini, adesso, a 27 anni di distanza, pare di essere davanti a un altro terremoto in grado di scuotere fin nelle fondamenta le istituzioni. Non so come lo si possa chiamare, perché Togopoli o Giudicopoli suonano male. Forse, riecheggiando la vecchia inchiesta del Pool si potrebbe nominare Toghe pulite. Sta di fatto che ciò che sta emergendo dall'inchiesta della magistratura di Perugia è un sistema. Non so se di corruzione, come in almeno un caso parrebbe trattarsi, ma certamente di spartizione. Giudici e politici uniti nella lotta. Non in nome di una Giustizia con la G maiuscola, ma in nome dei propri interessi e delle proprie trame. Alle spalle degli italiani che chiedono una giustizia veloce e soprattutto imparziale, le toghe e gli onorevoli si attovagliavano la sera per decidere chi dovesse guidare gli uffici giudiziari più importanti d'Italia. Non contavano il curriculum, né i meriti: solo l'appartenenza a una determinata corrente e soprattutto l'obbedienza a una determinata cricca. Alla sera, attorno al tavolo, pare che onorevoli e magistrati si siano messi d'accordo su quali inchieste far finire su un binario morto, quali archiviare e quali tenere aperte per lasciare una spada di Damocle sul capo di un pm che non si adeguava o che, peggio, aveva osato l'inosabile, ossia indagare chi non doveva essere indagato.Stupisce dunque leggere l'intervista a un ex magistrato come Cosimo Ferri, oggi deputato Pd, che rivendica la correttezza di quelle riunioni, fra toghe e indagati. Già, perché al tavolo c'era anche Luca Lotti, un ex ministro rinviato a giudizio dalla Procura di Roma che si è trovato tra magistrati a decidere chi dovesse essere il futuro capo della medesima Procura. Ma ancora di più stupisce ogni giorno leggere i dettagli di un sordido scambio fra politica e magistratura, dove ciascuno ha il proprio interesse da tutelare e non è mai quello garantito dalla Costituzione. Lotti vuole mettere le mani sulle Procure. Palamara vuole salvarsi dall'inchiesta per corruzione che pende sul suo capo. Ferri, tramite la sua corrente, vuole mantenere il controllo sul Csm e sulle nomine. Ma dalle intercettazioni emerge anche altro, ovvero i contatti con il Quirinale. L'ex sottosegretario alla presidenza del Consiglio e parlamentare del Pd, senza sapere di essere ascoltato, racconta dei suoi incontri al Quirinale per informare Sergio Mattarella delle manovre. E però vengono a galla anche i presunti incontri fra l'ex procuratore capo Giuseppe Pignatone, lo stesso Lotti e perfino Matteo Renzi. Sì, ogni giorno si aggiunge un colpo di scena. Fonti del Colle accusano Lotti di essere un millantatore, mentre non sappiamo che cosa dica l'ex capo della Procura di Palamara. Sta di fatto che dalle conversazioni emerge uno spaccato inquietante. La notte, politici e magistrati si davano da fare per eliminare dal gioco i pm che non erano affidabili e lavoravano alacremente per chiudere le inchieste più imbarazzanti, come quella sulla Consip per cui nei guai è finito lo stesso Lotti. A leggere le carte ora fanno sorridere le accuse lanciate un po' di mesi fa da Matteo Renzi, il quale commentando le inchieste che vedevano il padre nel mirino, attaccò a testa bassa i magistrati lasciando intravedere un complotto contro di lui. Da quel che si apprende, qui l'unico complotto è quello tentato contro chi si occupava dell'accertamento della verità, a Firenze come a Roma. Nella Capitale si lavorava per insabbiare l'indagine Consip, mentre nel capoluogo toscano l'obiettivo era azzoppare il procuratore che aveva osato far arrestare i genitori dell'ex presidente del Consiglio. Si fosse trattato di comuni cittadini, probabilmente sarebbero tutti già in galera, ma molti sono magistrati. Dunque consoliamoci con Toghe pulite. Sperando che la pulizia serva.